*****ROXY E' TORNATA!

La mia foto
Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

venerdì 8 luglio 2011

UN RAPPORTO A TRE




Aveva voglia di fare l'amore con lei...no...aveva voglia di scoparla. Era ossessionato

da questo pensiero...lei non meritava il suo amore, soltanto una splendida scopata come la
peggiore delle donne.


Entrò in casa...silenzio; attraversò tutto il corridoio che lo portava alla sua camera
da letto, si sarebbe fatto trovare lì da lei al suo ritorno, non le avrebbe daato il tempo
nemmeno di salutarlo, l'avrebbe spogliata, penetrata, insultata così come desiderava da
giorni. la porta era chiusa, l'aprì e un mondo si spalancò ai suoi occhi: lei piegata sul letto e
un uomo, che non aveva mai visto, che le stava dietro e le stava mettendo il suo membro
nel culo, quel culoche lui desiderava tanto.


Un primo moto di rabbia si impossessò di lui,lei era la sua donna ma poi si
riprese...quale migliore occasione. Frettolosamante si spogliò, si avvicinò ai due che non si
erano neppure accorti del suo arrivo e si mise davanti a lei. Il viso di lei era vicino al suo
membro, le mise la mano sulla testa e la costrinse a prenderlo in bocca, incurante delle sue
parole che era appena riuscita a sussurrare. Stava impazzendo di piacere...si stava
reealizzando una sua fantasia...lei che le faceva un pompino mentre un altro la
scopava...era quello che meritava.Lui le venne in bocca e lei inghiottì il suo sperma, ma
non soddisfatto, fece cenno all'uomo di allontanarsi, aveva ancora voglia di lei, le faceva
sempre questo effetto di un desiderio irrefrenabile e infinito.


La penetrò con forza, con tutta la rabbia che covava dentro e insieme le mise un dito
nella figa e iniziò a muoversi prima lentamente, poi sempre più velocemente, la sua mano
era bagnatissima, lei era eccitatissima e gli diceva di non fermarsi fino a quando anche
l'altro le mise il suo membro in bocca per zittirla. Era in balia del desiderio di due uomini
che la stavano scopando senza pietà, ma in realtà il gioco lo conduceva lei che si faceva
desiderare e amare...si perchè lui l'amava.

I due uomini si allontanarono da lei e lei si gettò a bocconi sul letto, sprofondando
la faccia nel cuscino in cerca di riposo, ma durò un attimò, sentì mani forti, girarla di peso
aprirle le gambe e ficcargli il membro nella figa con una violenza inaudita...aprì gli occhi,
era il suo uomo che la stava scopando come una puttana, sembrava fuori di sè e la
penetrava con forza incurante delle sue parole e mentre era concentrata sul motivo di
questa aggressività senti la mano dell'altro cge cercava il suo culo e qualcosa le entrò
dentro...era sublime quello che stava accadendo...e contemporaneamente irreale...l'altro
iniziò a morderle i capezzoli duri epiù lui la faceva eccitare, più l'altro la scopava con
impeto quasi in tacito accordo. Lui uscì dalla sua figa, si abbassò su di lei e iniziò a leccare
il suo corpo, dal seno, stimolandole i capezzoli con la lingua, poi scese fino ad arrivare al
suo pube, lei aprì le gambe ancora di più e sentì la sua lingua entrarle dentro e giocare,
fino a quando lui le prese il clitoride fra le labbra e lei credette di svenire.ma lui non
sopportava vedere la sua donna in balia dell'altro e con un gesto gli fece capire che doveva
andar via...e continuò a scoparla fino a quando non si rese conto che lei era senza forze...


sua sottana nera quella che ama tanto, le abbassa le bretelline e inizia a leccarle i seni, i
capezzoli rispondono al suo stimolo, le solleva delicatamente la sottana, le sposta le
mutandine e inizia a giocare con il suo clitoride, lei si volta di spalle, è un chiaro invito, le
abbassa le mutandine e dopo averla leccata, glielo ficca dentro con la stessa forza del
sogno...troia, ti piaceva farti scopare da un altro...questo è quello che meriti e si muove
dentro di lei violentemente fino ad inondarla...

lunedì 4 luglio 2011

L'AMAI MI AMO0 - 85


L'amai, mi amò .

di Franz Krauspenhaar

È agosto, fa caldo ma moderatamente. Su una terrazza
abbandonata, dove mi ha portato lei che conosce questi luoghi
palmo a palmo, decidiamo di fare un gioco di splendore erotico.
Lei si sporge guardando in strada. Sono le sei del pomeriggio, la
cittadina si risveglia dopo la lunga siesta. Silva porta un abitino
molto leggero, indovino che sotto non ha le mutandine. Mi rivolge
la schiena, finge d'interessarsi ai passanti, là sotto. Io divento
adesivo col suo sedere meraviglioso, sono eccitato soprattutto da
questo suo sporgersi. Lei mi guarda in tralice, con un leggero
sorriso, poi i suoi occhi si socchiudono per l'eccitazione. Faccio
uscire il mio cazzo già duro dai pantaloni di cotone bianco, le tiro
su il vestito. Gioco con lo spacco delle sue natiche. Qualche
goccia di sudore, il mio cazzo già umido. Vado con le dita sulla
sua fica e l'arpeggio, delicatamente, suonandola come l'arpa
carnale di una libidine esclusiva. Lei geme. Pochi secondi dopo,
dal mio punto di osservazione, noto per caso, abbandonando gli
occhi a sinistra, che un corteo silenzioso ha iniziato a percorrere
la strada. È un funerale. Niente musica, niente banda. La grande
auto familiare con la bara dentro procede con lentezza
esasperante. Dietro, un girone di personaggi, al capo di quella
coda due donne in nero con i soliti occhiali scuri, poi qualche fila
di altre persone silenziose vestite a festa. E più il serpente della
morte s'allunga, più la gente è vestita meno elegantemente,
qualcuno sussurra al vicino, qualcuno addirittura accenna una
risata. È per me irresistibile. "Guarda, Silva, guarda..." le dico con
la voce rotta dall'eccitazione. Entrambi guardiamo passare il
funerale, ed entrambi aumentiamo la foga, la elargiamo dentro di
noi, allo stesso modo comprimendola. La penetro con un colpo
netto e intanto mi sporgo con la testa per vedere passare tutta
quella gente. E questo, mio e di Silvia, applicare l'amore alla
cerimonia della morte è una cosa estremamente potente, come
la messa in pratica perfetta di un istinto vitale che trascende
qualsiasi ragionamento. A quell'addio in certo modo festeggiato
risponde la festa della vita, fatta tra me uomo e lei donna con una
disperazione che ha parecchie linee di struggimento dentro la
tela intessuta di quel momento. Lei geme, io gemo, non diciamo
nulla. Il lunghissimo corteo sta per sparire dietro a una curva, io
tengo solo per qualche colpo, poi vengo, quasi urlando il mio
estremo disincanto.



85 secondi

Questa è una storia vera. Impiegherete circa 85 secondi a leggere tutto il racconto e questo è esattamente il tempo in cui si è svolta la scena che è
narrata. E già questo sarebbe notevole. Ma è quanto ci sta dietro, che mi ha dapprima stupito, poi intrigato, poi spinto a riflettere sul confine tra ciò che
per alcuni è normalità e per altri trasgressione. Su come si possa essere totalmente liberi proprio perché totalmente affidati alle mani di un altro.
Forse il vasaio non è padrone dell'argilla,
per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile
e uno per uso volgare?
Lettera ai Romani 9,21
0 secondi. Abbassi il capo in un cenno di conferma e il mio sguardo si sgancia dai tuoi occhi
per scivolare ai pantaloni neri, e alla cerniera lucente, e al pacco rigonfio che ho davanti alla faccia.
Pollice e indice stringono la clip e la abbassano senza esitare. Appena il tempo di guardarti ancora
e la mia bocca ingloba la cappella.
15 secondi. Mi appoggio sui talloni, inarco la schiena per offrirti la migliore vista possibile sul
sesso che ho depilato stamattina per te, subito prima di prendere il treno e raggiungerti. La bocca
mi si riempie di saliva. E' proprio lì, nella saliva, il segreto di un buon pompino. La lascio colare
sull'asta, sento le vene del pene scivolare sulle mie labbra. E succhio come se fossi tu.
30 secondi. Il collare di D&G rimbalza sul petto ad ogni affondo. E' parte di me. Mi ricorda
che sono tua, solo e totalmente. Per questo, quando hai indicato il tuo amico e mi hai detto “Ce la
fai a farlo venire in un minuto?”, non ho pensato se mi andava, se lo volevo, non mi sono chiesta
perché. Ho pensato solo che se era il tuo volere, era anche il mio. E che non ti avrei deluso.
45 secondi. Quanto tempo è già passato? E quanto gli ci vorrà per venire? Respiro dal naso,
appena in affanno. Sento gli occhi bagnarsi e spero tu veda il rimmel colare. Le palle mi sfiorano il
mento, le sento contrarsi. Aumento il ritmo affondando fino alla gola. Un altro odore, ma è te che
respiro. Un altro sapore, che ingoierò senza esitare. Succhio lui, ma per quanto mi riguarda è come
se succhiassi solo te.
60 secondi. So che ti piace guardarmi e che sei contento di me. Non lo dirai. Nemmeno mi
importa. Sono la tua schiava e quello che mi fa piacere è solo ciò che fa piacere a te, ciò che mi fa
godere è ciò che fa godere te. Mi porti al limite, mi fai desiderare l'indesiderabile. Sento uno
spasmo. Attraverso le lacrime che mi gonfiano gli occhi vedo il tuo volto sfocato e fiero.
85 secondi. Un fiotto colpisce il palato, spingo indietro la lingua con gesto meccanico,
deglutisco, mentre un secondo, più debole, mi riempie la bocca. Mi basta sentire la tua voce dietro
le spalle per immaginare che sei tu a svuotarti in me: “85 secondi. Qualcosa in più di un minuto, ma
niente male”. Creta nelle tue mani. Vaso che il tuo piacere riempie al colmo.

mercoledì 29 giugno 2011

MAY LIN




Fuori dal concorso "Delizie"
MAY LIN
di MERCURIO

La prima volta che ci andai avevo appena compiuto 18 anni.
Non ero mai stato con una donna e per farmi coraggio avevo bevuto un’intera
bottiglia di sciroppo per la tosse. Un saporaccio, ma mio padre non teneva alcool in
casa.
Mi venne una fortissima nausea, ma ormai avevo deciso: lei era l , sotto il lampione,
seduta sul guardrail con lo sguardo un po’ annoiato. Era inverno, e c’erano almeno
sei gradi sottozero, ma indossava lo stesso top e minigonna. Se si poteva chiamare
minigonna quella striscia di plastica rossa che strozzava le sue natiche piene.
Ricordo che rimasi a fissarla per un’ora e mezza nascosto dietro un muro dall’altra
parte della strada prima di farmi avanti.
Non so perch scelsi proprio lei.
Poco distante c’erano due brasiliane che salutavano i passanti in macchina alzando il
reggiseno e mostrando le tette. Erano enormi, sembravano grossi meloni color
cioccolato non ne avevo viste così neanche nelle riviste porno. Le due mulatte però
non facevano al caso mio.
Non facevano che ridere e agitare le braccia, i seni, il culo erano sempre0in
movimento e nel periodo in cui osservavo di nascosto la loro0collega, erano state
caricate almeno tre volte.
L’ultima non si erano fatte neanche portare via.
Erano salite nella BMW del loro cliente dopo aver contrattato il prezzo e in meno di
cinque0minuti avevano finito. Una delle due aveva gettato dal finestrino il tanga e gli
aveva sbattuto il culo in faccia, mentre vedevo la chioma ricciuta dell’altra muoversi
freneticamente su e giù .
Lei non le guardava nemmeno. Aveva gli occhi fissi sulla strada, mentre fumava una
sigaretta dopo l’altra. Quando aveva finito, spegneva il mozzicone sporco di rossetto
sotto il tacco e ne accendeva un’altra.
I suoi occhi a mandorla si posarono su di me leggeri, indifferenti, mentre
attraversavo la strada con la mia bicicletta cigolante. Non era molto alta, mi arrivava
s e no al petto, e aveva i seni piccoli come pugni.
Mi fermai a pochi passi da lei.
ォQuanto?サ Chiesi. Non rispose, si lisci i lunghi capelli scuri e mi prese per mano.
Stava accadendo tutto cos in fretta. Scavalcammo il guardrail e mi condusse dietro
un cespuglio.
Mentre mi scioglieva la cintura pensai che non avevo messo la catena alla bici. La
guardai, lei mi sorrise e s’inginocchi sull’erba. Sentii il suo alito caldo sulla mia
pelle.
Prese il mio pene tra pollice e indice e mise a nudo il glande. Ogni mio pensiero svanì
in una nuvola di fumo non appena lo prese in bocca. Rimase con le labbra incollate
alla base fino a che non crebbe a tal punto da ostruirle la gola provocandole un
conato di vomito.
Tremai di piacere a quella sensazione. La sua bocca risal lentamente l’asta, mentre
la lingua descriveva cerchi concentrici. Poi ridiscese di nuovo, soffiando aria bollente
sul mio membro ormai ipersensibile.
Sentii nuovamente le pareti della suo gola avvolgerlo, poi, all’improvviso, alz la
testa e mi succhi con foga la cappella.
Mi sentivo esplodere.
Lei capì dai miei mugolii che ero sul punto di venire, se lo tolse dalla bocca e prese a
leccarlo tenendolo fermo con una mano. Strinsi i denti e le accarezzai il viso. Mi
stava facendo impazzire. Il mio pene pulsava ad ogni colpo sapiente della sua lingua.
Prese a masturbarmi con la mano, mentre la sua bocca era scesa all’altezza delle
mie palle. Le prese entrambe dentro, spingendole con la mano libera mentre l’altra
continuava a scorrere sempre pi veloce. La sentii succhiare avida, portandomi di
nuovo al limite, poi d’un tratto si stacc , mise una mano in tasca e ne estrasse un
anello di plastica. Non era un preservativo. Sorrise misteriosa e infil il cerchietto alla
base del glande. Lo strano oggetto stringeva, ma non era spiacevole.
Lei si volt e si abbass le mutandine. Aveva il culo piccolo e sodo, sembrava una
pesca. Allarg le gambe e mi offr il suo tempio del piacere. Scivolai con facilit in
quel tunnel tiepido e stretto. La presi per i fianchi e spinsi sempre pi forte, lei cadde
a terra ed io su di lei, ansimando entrambi di piacere.
L’anello m’impediva di venire, sentivo il mio cazzo andare in fiamme, ma pi
pompavo e pi i colpi divenivano dolorosi, straziandomi i nervi impazziti. Lei
rispondeva alla mia furia con piccole grida compiaciute e strane espressioni orientali,
ma io non ne potevo più .
Uscii dal suo culo e cercai di liberarmi da quella tortura, ma lei mi blocc le mani e
mi fece cenno di no con la testa. Mi fece stendere a terra e si mise in piedi sopra di
me. Sempre sorridendomi si lecc due dita e inizi a stimolarsi il clitoride. Mentre lo
faceva, sospir piano stringendo gli occhi. Io la guardavo ammaliato, mentre la mia
asta vibrava impazzita.
Si sedette su di me, lasciandosi penetrare. Lei accompagn l’entrata con movimenti
lenti del bacino, fino a che non le fui dentro completamente. Lei strinse i denti, poi
inizi a cavalcarmi. Credetti d’impazzire. Sembrava che la pelle del mio pene volesse
strapparsi, tanta era la forza con cui la donna si muoveva su di me. I suoi glutei
sbattevano sul mio inguine con sonore pacche, mentre lei si godeva quel piacere
masturbandosi di gusto.
Andammo avanti un altro po’ fino a che lei improvvisamente con un grido si alz e si
gett a carponi sul mio viso. In principio non capii, poi lei mi prese la testa tra le
mani e mi avvicin la vagina colante alle labbra. Iniziai a leccarla, bagnandomi dei
suoi umori. Feci scivolare la mia lingua tra le sue labbra, su fino al clitoride. Lo feci
con forza, quasi a volerla penetrare. Lei ansim0 sempre più forte, agitando i fianchi
sul mio volto fino a che non venne con un lamento sordo e un vibrare di carni.
Riprese fiato e mi fece alzare. Io la guardai supplichevole. Lei soffoc una risatina e
si mise nuovamente in ginocchio di fronte a me. La sua bocca avvolse nuovamente il
mio glande mentre la lingua scorreva su e gi sull’asta bollente.
Accompagnai i movimenti del suo capo pompandole il cazzo fino alle tonsille. Non ne
potevo pi . All’improvviso lei strinse i denti attorno all’anello e lo tir via,
graffiandomi la cappella.
Fu un attimo. Uno schizzo le si schiant sulle labbra schizzando gocce di sperma su
tutto il viso, un altro le impiastricci lo zigomo destro e alcune gocce le invischiarono
i capelli.
Il resto lo prese in bocca, leccando avidamente quel nettare che le colava copioso
sulla pelle candida del viso.
Non volle soldi, si limitò a salutarmi con un bacio.
Andammo avanti così per 10 anni. Tutte le sere. Alcune volte ero andato anche con
le brasiliane, ma non era la stessa cosa. May Lin, così almeno mi disse di chiamarsi,
era un vulcano di fantasia. Con lei c’era sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
Un giorno, dopo aver fatto l’amore, le dissi
ォTi amo.サ
Lei si pulì la bocca, mi guardò seria e scoppio in una risata che mi lasci interdetto.
ォNon essere stupido.サ esclamè poi divertita ォ tu sei la mia pensione.サ
E mi presentò il conto.

domenica 26 giugno 2011

CALIBRO 18


Simona prese in mano il pene dell’uomo e abbassò l a pelle del prepuzio.
Diede un’occhiata a Elena, in piedi al suo fianco:
«Sarà un 18. Passami il 18».
Prese dalle mani della collega la busta sterile, l’aprì e ne estrasse il contenuto.
Con rapida sicurezza vi versò sopra del gel e, stringendo appena più forte,
cominciò a introdurre con delicatezza il catetere.

«Te la ricordi quella vol ta che l’hai messo a quel ragazzo del Senegal? Che
calibro era, un 20?».
«Certo che me lo ricordo».
«Tu sei la regina dei cateteri!», scherzò l’anestesista.
«Guanti di fata!», completò Elena.
Una risata divampò nella piccola sala operatoria. Regnava un’atmosfera
leggera, serena, quasi gioviale, non fosse stato per quell’uomo cinquantenne
che stava addormentato sul tavolo.

L’uretra opponeva qualche resistenza e Simona av anzava con cautela. Le
cadde lo sguardo sul glande, una grossa cappella a forma di fungo, con due
piccole macchie scure vicino al bordo.
Si sa che i fenomeni di déjà-vu sono frequenti, ma l’infermiera non si sarebbe
mai aspettata di provarne uno in quel momento. Guardò nuovamente il sesso
dell’uomo.
«Non mangiartelo con gli occhi, mi raccomando!», commentò Elena.
Simona non d iede cenno di aver inteso. Quel pene le stava parl ando.
Sembrava impossibile, eppure lo conosceva. Era abituata a vederlo un po’ più
turgido di così, ma l’aria le era familiare. E il ricordo l a spingeva a forza
indietro nel tempo. Praticamente in un’altra vita, otto anni prima.

Lei studentessa alla scuola infermieri.
Lui avv ocato.
Lei escort per pagarsi gli studi.
Lui cliente per divertirsi.
Lei stronza quel tanto che basta, che la professione richiede.
Lui perso. Compl etamente.



Sentì il sondino di silicone entrare in vescica e meccanicamente prese a
gonfiare il p alloncino, mentre un filo di urina colorava di giallo il tubo.
Istintivamente alzò gli occhi per guardare in viso il paziente, ma un telo steril e
nascondeva il vol to. In mancanza di riscontri oggettivi fu il ricord o a prendere
il comand o d ella sua mente.

Adesso era con lui. Il loro ultimo appuntamento, al solito motel. Nemmeno
per quel l’occasione aveva voluto fare eccezioni: il sol ito compenso, piuttosto
caro; il solito tempo, due ore, non un minuto in più.
Un sesso passionale, ben fatto, godibile.
Lui era un buon amante, attent o, premuroso. Forse era proprio per questo
motivo che Simona aveva deciso di non vederlo più. Era troppo amante.
E lei aveva bisogno di clienti, non di uomini che le incasinassero la vita.
Sopratt utto non di uomini sposati, più anziani, trop po benestanti, che le
incasinassero la vita.
Ma non gl ielo aveva detto. No. L’indomani aveva cambiato scheda al cellulare
ed era scomparsa.

«Pronti? Incido». Saverio, il chirurgo, alzò l a destra e diede un’ultima
occhiata circolare sulla sua equipe. Quando incrociò lo sguardo di Simona
non si arrestò. In ospedale era estremamente professionale, niente lasciava
immaginare che i due fossero sposati. Il lavoro era lavoro, la famiglia famiglia.
Una famiglia un po’ in difficoltà, forse. Ma pur sempre famiglia. Con una
bambina piccola ad allietare la casa. E con non pochi problemi tra l oro due.

Ormai che c’era, che un ponte si era creato tra le sue due vite, non potev a non
fare i paragoni tra ciò che era oggi e i sogni che aveva da ragazza. Ripensò ai
clienti che incontrava, alla tristezza che l e mettevano quegli uomini dalla
doppia vita. Ai suoi sogni per una storia diversa, pulita. Soprattutto non
squal lida. E ora si trovava alle prese con un marito probabilmente puttaniere,
certamente non più innamorato. Svogliato a letto e incap ace di riprendere in
mano il loro rapporto.

E rivide Giulio. Così ingenuo, così travolto dagli avvenimenti. Da quella
prima, esitante telefonata con cui aveva risposto al suo annuncio. Giulio, così
buono dentro, ma anche fragile.
Così “cliente per caso”. Gli aveva voluto subito bene, avev a d ovuto tenerlo a
distanza. Lei era quella “forte”. Che poneva i limiti, conduceva la danza,
concedeva e negava. Lui seguiva. Avrebbe accettato qualsiasi cosa da lei.
E così, aveva dovuto prendersi anche la responsabilità di decidere quando era
il momento di staccare la spina. Perché amarlo era un lusso che non poteva
permettersi.



Fingend o di control lare la sacca del catetere, Simona diede ancora uno
sguardo a quel pisello, singolarmente dotato di prol unga. “Non credevo che
avesse un 18”, pensò, ridendo fra sé.
«Incido», disse Saverio, sicuro. E la lama aprì un solco nell’addome
dell’uomo.

“La bella pancia di Giulio, è un po’ ingrassato ora…”, pensò l’infermiera,
rivedendosi a caval cioni su di lui, la sua posizione preferita. Ormai era sicura
che fosse lui. E si concesse anche il lusso di guardare Saverio concentrato
dietro alla mascherina senza arrossire.
Ma dentro un turbine la scuoteva. Era come se avesse aperto una porta chiusa
da tempo. Una sua vita paral lela di cui ovviamente il marito non sapev a null a,
ma che anche lei credeva aver dimenticato.


* * *

È un bel giorno di primavera. Giulio guida nervoso, quasi sbatte contro la
sbarra uscendo dal parcheggio del motel. Sono passate esattamente due ore
da quando vi è entrato ed è più l eggero di alcuni bigliettoni. Ma, quel che più
conta, ha una brutta sensazione sul la pelle.
Il sesso con Simona è stato bell issimo come al solito. Passionale, ben fatto
godibile. Sono una coppia affiatata, ormai, e quelle due ore sono state belle
per entrambi. Di questo è sicuro.
Non è quello il problema.
“Sono uno stupido. Stupido stupido stupido”, si ripete l’uomo. “Come ho fatto
a pensare che ci fosse altro?”.
Per carattere e per abitudine professionale, Giulio ammette difficilmente di
avere torto. Piuttosto preferisce provare a rigirare la realtà a suo favore.
L’imputato è innocente fino a prova contraria. C’è sempre una possibilità fino
alla sentenza del giudice.
“E la sentenza è arrivata”, rimugina.
È un suo vezzo, una sua reazione davanti ai problemi. Ne fa l’analisi ad alta
voce. Si fa domande e si dà risposte.
«Da cosa pensavi che non fosse solo un rapporto escort-cliente?».
«Dal feeling, da come ridevamo, dal tempo passato insieme».
«E non ti è mai venuto in mente che potesse essere tutta una finzione? Ben
recitata, ma pur sempre finzione?».
«Mi oppongo, vostro onore, il collega cerca di influenzare il teste!».
«Obiezione respinta. Risponda».
«Credevo, volevo credere che fosse così. Era così!».
«Sei un uomo sposa to, hai una buona posizione, un buon matrimonio. Che
cosa ti ha spinto in questa a vventura?».


«Forse… volev o sentirmi ancora uomo, sed uttore, cacciatore. Un uomo, a
quarant’anni è estremamente fragile. E una ragazza, a venticinque,
estremamente p otente».
«E quando hai capito di esserti sbagliato?».
«Quand o ho cercato di baciarla. E lei mi ha respinto. Oggi».

Giulio scoppia a piangere come un bambino a cui sia esploso un pal loncino.
Stringe il volante con entrambe le mani. Chiude gl i occhi al semaforo,
lasciand o passare il verde e i clacson nervosi degli altri automobilisti.
È travolto dalla sua stessa fragilità.


* * *

«Simona, stasera faccio tardi».
L’infermiera si voltò di scatto sentendo la mano del marito sulla spalla. Da
donna attenta ai dettagli qual era, notò subito un filo di incertezza nella voce e
una eccessiva durezza nella stretta.
«Lavoro?».
«Già».

Una barella traballante, spinta a grande vel ocità d a un portantino
centometrista, li costrinse a separarsi per un attimo. Il tempo sufficiente p er
prendere due direzioni diverse lasciando dietro le spalle un «ciao» poco
convinto.

“Pallista”, si disse la donna. “Sarai a scoparti qualche collega. Li conosco gli
uomini”.
Prese il corridoio a passi veloci, nervosi.
Spinse la porta antipanico.
Scese le scale.
Entrò nel lo sp ogliatoio dei paramedici.
All’armadietto di fianco al suo Simona ritrovò Elena che prendeva la borsa e il
cellulare.
«Simo, che faccia! Qualcosa che non va?».
«No, bene. Bene. Sì, bene».
«Capito, non starai pensando ancora al pisello di oggi? Sei proprio affamata!
Dai, vado. A mercoledì».

Simona afferrò il collo del camice e prese a sfilarlo.
Si bloccò.
Scosse il cap o.
Uscì dallo spogliatoio.
Percorso inverso.


Scale.
Corridoio.
Reparto solventi.

“E se non fosse lui?”.
“E se mi sono sbagliata?”.
“E se non volessi rivederlo?”.
“Ecco, è questa la d omanda”.

Stanza 209.
Letto 4.
Un tuffo al cuore.
Un po’ invecchiato. Bianco per l’operazione.
Addormentato.
Ma lui.
Lui.

Un vul cano esplose nel la sua mente. Un terremoto che le fece perdere
l’equilibrio. Lapill i di ricordi si abbatterono su di l ei, incenerendo la poca
serenità residua.
Lo sapeva, l o avev a sempre saputo, che lo teneva distante non per allontanare
lui da lei, ma lei d a lui. Non per proteggersi ma per proteggerlo.

Era una necessità del suo l avoro. Una scelta obbligata e costosissima che
aveva dovuto compiere.
Ogni “no” che gli aveva detto era uno strappo dentro. Ma era anche il prezzo
della loro libertà. Fino al l’addio definitivo, che non aveva nemmeno voluto
comunicargl i.

Sapeva che lui le aveva vol uto bene d avvero. E anche lei a lui, in fondo.
Era sicura che l ui l’avesse ancora cercata. Ma tutto ciò che le restava era
quella sua mail, l’ultima prima che chiudesse anche l’account hotmail: «Sei
come un oceano in burrasca, e io così fragile non so come non aggrapparmi a
te, mia unica scialuppa. Ma forse verrà un giorno in cui le parti si invertiranno
e tu verrai in cerca di me. Quel giorno spero di esserci e di aprirti le mie
braccia».

«Scusi? Sono la moglie di Giulio Mandelli. Posso vederlo?».
Dop o il vulcano, l’iceberg.
Simona restò impietrita, come se fosse stata sorpresa in flagrante adulterio.
Poi si ricord ò che, vista con gli occhi d ella moglie, la situazione era molto più
ordinaria: un malato appena operato assistito da un’infermiera.
«Certo», balbettò.



La donna si avvicinò al letto. Camminava piano, timorosa di rompere
qual cosa. Si chinò sul marito e gl i appoggiò un bacio lieve sulla bocca.
Una carezza sul vol to.

Si voltò verso Simona.
Una lacrima le scendeva sulla guancia.
«Come sta?».
«Bene, direi bene. L’operazione è stata più semplice del previsto».
«Lei non sa che spavento mi sono presa! Ho pensato di perderlo…».

Scoppiando a piangere, la donna abbracciò d’istinto Simona, decisamente a
disagio.
«Mi scusi… M i sono lasciata andare. La tensione, sa. È che… vede, ci vogliamo
così bene. Ne abbiamo passate tante! Oddio, mi scusi se mi sfogo così. E non
ci conosciamo neanche!».

Una guerra si stava combattendo nel cuore dell’infermiera. Fuggire, come
sarebbe stato saggio in un tale frangente? Restare, come l ’istinto suggeriva?
Era donna istintiva. Restò.
«Si figuri, la capisco», rispose poco convinta delle sue stesse parole.
Le due donne si sedettero sul divanetto della camera (lusso del reparto a
pagamento) con quella simmetria che generalmente rivela anche una sintonia
interiore.

«È strano, sa? Quando si vuole bene a un uomo per tutta una vita. E si è
lottato per tenere insieme il rapporto. E proprio quando ti sembra che le cose
stiano andand o finalmente bene… be’ lui rischia di lasciarti lì sola».
Simona deglutì. La donna le aveva preso la mano. E nulla sembrava arrestare
quella confessione ispirata dalla paura della morte.
«Vede, c’è stato un momento, una decina d’anni fa, in cui lo sent ivo così
lontano, credevo avesse un’amante, che stesse per lasciarmi. Un giorno l o
vedo tornare a casa sconvol to. Mi sono detta “ci siamo. Se ne v a”. È stato
arrabbiato per una settimana, e poi una mattina mi ha baciato e mi ha det to:
“Ho capito una cosa, forse tardi. Ti amo come non ho mai amato nessuna
donna”. Da l ì è iniziata la nostra ripresa».

«Ctt ctt… mmmmmm…».
La voce prov eniva dal letto 4.
Le due donne si voltarono di scatto.
La moglie scattò in piedi.
L’infermiera reagì con minore rapidità.

«Il catetere… mi fa mal e il catetere», ripeté l’uomo con voce impastata.


«Giulio!», esclamò emozionata la moglie. «C’è qui l’infermiera. Adesso te lo
rimette a posto…».
Poi voltandosi verso il divanetto, ormai vuoto:
«Signorina?
Signorinaaaaa?».

Osservò stupita la stanza e la porta socchiusa della camera 209.
«Oddio, che stup ida! Forse ci v uole un infermiere uomo per queste cose…».






lunedì 20 giugno 2011

VIRTU' FEMMINILE-RENDEZ VOUS-OGNI STRAMALEDETTISSIMO GIORNO-LEI E' SUA-OGNI STRAMALEDETTISSIMO GIORNO


Tratti dal concorso "Delizie"

VIRTU' FEMMINILE

di SIMONE COR

Non le sembrava vero, ma il copione che stringeva in mano era reale quanto il suo
sorriso.
Un film.
Da protagonista.
A trentacinque anni. Finalmente.
ォUna donna che uccide i suoi amantiサ gio . Sarebbe stata perfetta.
ォServiva pi ritmoサ farfugli il regista. ォPi azione. Pi tette.サ
Cos le spieg le piccole modifiche alla sceneggiatura.
ォSolo quelle, tranquillaサ prosegu . ォNon sono un porco, ma... sai com’ ... il pubblico
le esige.サ
Giovanna avrebbe stretto i denti. Quel film, per quanto scomodo e umiliante, era pur
sempre un punto di partenza. In fondo era solo il seno. Ce l’avrebbe fatta.
Sopport dodici tipi di lingue e ventiquattro mani sui suoi capezzoli, trattenendo
repulsione e voglia omicida. Sopravvisse grazie a un unico pensiero: doveva
castigare il regista e tutti gli occhi famelici che l’avevano stuprata.
Sapeva gi cos’avrebbe fatto, nell’ultima scena da girare.
Giovanna deve togliersi la maglietta ed estrarre la pistola nascosta tra i seni. ネ una
puttanata colossale, ma il copione prevede quest’inizio per il massacro che chiuder
il film.
Mentre i quattro attori la accerchiano vogliosi, lei si spoglia lentamente. La pistola
l , trattenuta dalla sua femminilit abbondante.
Si muove sinuosa, mentre incrocia gli sguardi finti delle sue vittime. ネ il momento
della vendetta.
Sbottona i jeans esulta il regista. ォLasciati andare e mostra tutto! Brava ragazza!サ
E lei sorride, sfoggiando un passato da Giovanni che nel presente di Giovanna non
ancora stato dimenticato.




RENDEZ-VOUS
di DONA FLOR


Prendimi.
Ho aspettato che mi toccassi in questo modo per anni.
La camera in penombra, il letto di ferro battuto, l’odore del piacere che ha intriso le
lenzuola.
Non parlo, non posso.
Ho le gambe doloranti per lo sforzo di tenderle.
Sono fuoco. Ansimo. Ansimi.
Ti diverte la mia eccitazione perch non la riconosci.
Nella stanza che ho prenotato, la rivelazione del sesso stanotte ti sconvolge.
Ansimo pi forte.
Mi sfioro portandoti le mani tra le cosce. Sono lucide e sode.
Stringile, Giorgio. Allargale.
Sussulti e mi guardi incredulo: credevi di conoscere tua moglie.
Mi volto e indovino la tua presenza: la testa, la bocca. Un bacio profondo.
Fa caldo. Sento che potrei perdere i sensi.
Grido forte, acceleri i colpi. S , vieni. Vieni Giorgio.
L’orgasmo mi strema.
Mentre la porta si spalanca e un filo di luce v・la la nostra unione, stai ancora
cercando di riprendere il controllo sulla respirazione.
Una sagoma di donna osserva il letto. E noi, ancora mischiati.
Intuisci confusamente che hai commesso un errore.
Io trovo la scena comica e scoppio in una risata.
Un’altra me ci guarda sconvolta.
Urla contro di te, piange parole incomprensibili.
Neanche lei ha capito.
Mi stacco, tra il formicolio del godimento e il piacere che mi d questo gioco
perverso. Eppure dovreste saperlo tutti e due che sono sempre stata io la gemella
pi fantasiosa. Lo dicevano anche mamma e pap : gocce d’acqua nell’aspetto,
differenti come giorno e notte nel carattere.
ォAndiamo sorella, non vorrai farne una storia?サ.




FUORI CONCORSO




OGNI STRAMALEDETTISSIMO GIORNO
di RAFFAELE IORIO

Scivolo.
Quando ci siamo ritrovati, non avrei potuto.
Non avrei.
Non ti preoccupare ora.
Cedi.
Fallo lentamente, fallo sotto le mie mani.
Ti ricordi i fiori di lavanda?
Lungo quel viale, profumavano il giardino.
Il tuo giardino. Me ne nutro, me ne cupo, me ne vanto con me stesso, ti
prendo adesso, prendimi anche tu e se non lo farai.
Fa lo stesso.
Mi guardi e leggi la mia bugia, scritta chiaramente, l per essere scoperta
e inondata dalle mie lacrime, le prime che vedrai mai. Le ultime.
Le mie menzogne non sono riuscite a scalfirti, solo a spezzare il tuo amore.
Ma la chimica non un'opinione, proprio come la matematica, ed
algebricamente chiaro che io pi tu facciamo un'esplosione di vita liquida e
profumi proibiti, senza poter frenare se non all'ultimo momento, appena in
tempo, incatenando bene il sentimento, come un vulcano.
Spento.
E' per questa paura di esplodere dentro e bruciare pure che ora il mio seme
schiaffeggia il tuo seno, che godi da stronza mentre sopra di te io idem, che
mi prendi la carne in mano e mi finisci, mi fai urlare, mi fai strozzare un
insulto, ti fai strozzare la gola, oh Cristo godi ancora, godi, godi ancora, godi.
Senti ma perch mi sembra di essere disperato?
Dannazione dimmi perch cazzo mi ami!
Io voglio sapere perch uno non pu uscire dal tuo letto senza sentire che già
gli manca il tuo calore, io voglio sapere perch il tuo caff migliore delle
altre, io mi chiedo ogni stramaledettissimo giorno che Dio e gli Altri hanno
messo in terra perch e se e.
Apro la cabina della doccia, l'acqua ti scorre addosso come farebbe sul
marmo, scorre sul tuo corpo di danzatrice della mia musica di sesso e
padronanza, scorro tutte le volte che abbiamo fatto l'amore e mi accorgo che
non ce n' una uguale all'altra, non c' un ingresso dentro di te che sia privo
di senso, privo di passione, del mio dominio, dei miei schiaffi messi a tacere,
della voglia della fame che hai in bocca.
Inginocchiati, prendimi.
Cos inizio un altro viaggio nella tua voracit , mischio le dita ai tuoi capelli.
Ecco, brava, cos , stringimi sotto, non importa se non sarai troppo gentile,
che stavolta voglio urlare.
Fai scorrere l'acqua.
Scivolo.


LEI E' SUA
di ZOLFO

I suoi occhi neri da meridionale osservano la doccia e poi le sue mani legate, mentre
la lingua tenta di togliere la benda. Dopo un ennesimo tentativo finalmente il
bavaglio cede e resta per un po’ a masticare l’aria per riadattare la mascella stata
troppo aperta nel tentativo di liberarsi. Osservando la doccia, sentendo gli schizzi
schiantarsi sul corpo di Sylvie, poggia furtivamente la bocca sulla corda della mano
destra e inizia a morderla, tentando di strapparla via. Mentre i canini incidono i fili
bianchi, gli occhi scrutano e la mente pensa alla vendetta. La dovrai pagare, e cara.
Dopo un ennesimo pensiero e un ennesimo schizzo d’acqua calda sul corpo nudo di
Sylvie, la corda cede. Serra la mano a pugno e la rilascia come un cuore che batte,
intorpidito nei polsi.
Con la stessa celerit e attenzione, ripete lo stesso lavoro nella mano sinistra
riuscendo dopo qualche minuto a liberarsi. Le mani gli fanno male, i polsi frizzano,
giunta l’ora della vendetta. Si toglie la benda dal collo e si rialza in piedi. E’ il
momento di Spartaco. Nessuna donna pu permettersi di infierire su Samuel. Per
terra i vestiti della ragazza mentre faceva lo spogliarello davanti a lui che non poteva
muoversi. Prende il perizoma rosso di trine e lo scaraventa via: mai scherzare col
fuoco, mai scherzare con Samuel. Questo lei lo avrebbe dovuto sapere. Si muove
veloce scansando i vestiti e raggiunge il bagno, spalancando la vetrata della doccia.
Come nella stupenda scena di ォPsychoサ, Sylvie apre la bocca e si lascia sfuggire un
grido, sobbalzando.
ォTa d ! Non mi aspettavi vero?サ
Le serra i polsi, le morde il collo, quasi a marchiarla a fuoco. Lei sua. Sylvie gli
pianta le unghie nella schiena, graffia, vuole avere la sua pelle, il suo corpo. Samuel
la bacia sul collo, proprio dove adesso c’ il segno dei denti.
Un altro, pi forte, lungo l’aureola del capezzolo destro. Come un bersaglio di tiro
con l’arco il morso, l’aureola e il capezzolo. Sylvie grida di piacere e di dolore mentre
Samuel la marchia dappertutto, mentre fa scivolare la sua lingua dentro di lei,
mentre la tiene stretta e la punisce per averlo legato, mentre l’acqua le scivola calda
sulla schiena e tutto vortica stando fermo, mentre tutto rimane diversamente
uguale.

mercoledì 15 giugno 2011

FINESTRA SUL CORTILE


Sto per tradire mio marito. Tra pochi minuti sarò tra le braccia del mio
amante e già pregusto il fuoco che ci brucerà. Sarà una sveltina, come
sempre: un amplesso rapido, spremuto, goduto. Un attimo rubato alla
giornata, in casa mia, approfittando di un momento di libertà.
Potremmo vederci da lui, o in albergo, ma sono io a volere così: lo voglio
nel mio letto, nella mia intimità. Voglio regalarmi il piacere nelle stesse
stanze in cui mio marito me lo nega. Voglio farlo di fretta, col brivido che il
cornuto rientri prima del previsto e che ci scopra.
Ormai è questo il mio gioco: quando il titolare esce per una
commissione, faccio uno squillo al sostituto. Se è libero, corre da me, mi
prende senza nemmeno spogliarmi. Mi piace farlo in piedi, con gli slip
calati al ginocchio, vicino alla finestra che dà sulla strada. Da lì posso
sorvegliare quando mio marito sta tornando. Vedo prima la sua auto
passare sotto casa alla ricerca di un posteggio, e un fremito mi scuote la
pancia. Ma godo veramente mentre lo osservo aprire il cancelletto esterno.
So esattamente quanto ci mette ad attraversare l’atrio, guardare se c’è posta
in casella, chiamare l’ascensore, salire. È precisamente il tempo che mi
basta per venire, alzare le mutande, abbassare la gonna, far uscire l’amante
sulle scale e riabbracciare il marito sentendo ancora in me il brivido
dell’orgasmo.
Se non l’avete mai provata, è una sensazione che non potete capire.
Sto per tradire mio marito e non mi sento nemmeno in colpa, e anche se
fosse, posso invocare le attenuanti generiche.
Primo, l’ho tradito, ma lui se l’è cercata. Per dirla tutta, è tenero,
affettuoso, ma non è capace a scopare. Non so come spiegarlo, fa male
l’amore: non ha ritmo, vigore, passione. Sembra che lo faccia per dovere, un
po’ rozzamente, come per un bisogno. Ho provato in tutti i modi ad
“educarlo”, nei primi anni di matrimonio. Ma ora ho rinunciato.
Secondo, è stato più forte di me, non ho saputo resistere. Fin da quella
cena a casa di amici in cui il mio futuro amante mi ha guardata come se
fossi nuda, poi mi ha spiazzato con quel commento preciso, sfrontato,
lievemente sessuale, pronunciato a mezza voce sotto gli occhi di mio
marito, e infine mi ha lasciato il suo numero di cellulare, come se fosse già
evidente che l’avrei chiamato.
E così è successo. L’ho chiamato l’indomani, anzi diciamo che l’ho
“convocato”. Abbiamo fatto sesso subito, al primo incontro. Non c’era altro
da dirsi. Sapevamo entrambi che eravamo lì solo per quello. Lui fa il
rappresentante, era in giro nella mia zona, dopo mezz’ora mi stava
prendendo alla pecorina sulla poltrona del salotto. Non ci siamo nemmeno
spogliati. Quella volta, per non correre rischi, avevo approfittato di
un’assenza un po’ più prolungata di mio marito. Abbiamo finito venti
minuti prima che lui tornasse. Poi, le volte successive, mi sono
perfezionata.
E così il gioco è diventato un bisogno e ormai è un’attrazione magnetica.
Forse perché lui è il classico stronzo, forse perché so che può avere tutte le
donne che vuole, forse per la sua faccia da schiaffi e il SUV nero da
pappone. Perché lui è un predatore. Ma anche io. Sono stata al gioco: ho
cacciato il maschio cacciatore. Sono stata preda, sono stata predatrice.
* * *
«Io esco!», mi grida il maritino aprendo la porta.
«Va bene! A dopo!».
Premo il tasto “chiama” del cellulare, avevo già preparato il numero.
«È uscito. Sbrigati».
«Sono già qui, parcheggio e arrivo».
Click.
Mi avvicino alla finestra appena in tempo per scorgere il cornuto uscire
in strada. Mi piacerebbe vedere i due che si incrociano. Prima o poi
succederà. Appoggio la mano al vetro e il freddo che sento sulla pelle mi
richiama improvvisamente il caldo che già inumidisce il mio sesso. Resto lì
immobile, gustando la sensazione piacevole del corpo che si prepara. Passa
qualche minuto, l’amante ritarda. L’attesa, anche se breve, mi innervosisce
lievemente.
Poi lo vedo arrivare. Lui non è mai di fretta, mai scomposto, ma dalla
sua camminata, da un ciuffo spettinato, capisco che ha corso.
Citofono.
Portoncino.
Ascensore.
Serratura.
«Scusa, ma oggi posteggiare è impossibile. Ho lasciato la macchina
praticamente in mezzo alla strada».
«Se ti compravi la Smart…».
Bocca.
Mani sul sedere.
Sul seno.
Sul corpo.
Nel corpo.
Mi gira e mi spinge verso la sala. Di nuovo le mani sul vetro. Ancora
quella sensazione di freddo insieme al caldo. Ancora più caldo. Mi allarga i
piedi con i suoi. Mi penetra con forza. Inarco il bacino e sporgo indietro le
natiche. Mi stringe forte. I suoi colpi sono ritmati, possenti.
Lo vorrei in bocca, ma non posso lasciare il mio posto di osservazione.
Eppure non resisto, mi chino e lo prendo avidamente. Spero che lui
sorvegli, ma non ne sono sicura. E non mi importa.
Il suo piacere cresce, pulsa, si prepara. Rallento un poco. Mi rialzo. Mi
giro nuovamente.
Scosto leggermente la tendina, il vetro è appannato, con il palmo della
mano ne asciugo una striscia lasciando un arcobaleno trasparente. In un
effetto acquarello vedo una sagoma familiare. Il maritino è appena passato
in macchina.
Un brivido.
Scopami, ti prego. Oddio, non smettere.
Ancora.
Ancora.
Ancora.
Eccolo!
Godo.
Portoncino.
Godo.
Posta.
Godo.
Pianerottolo.
Mutande. Gonna.
Ascensore.
Fuori!
«Vai!».
Passi sulle scale. L’ascensore si ferma al piano.
Ho appena fatto in tempo a chiudere la porta e a tornare in cucina.
«Sono tornato!».
«Ciao, amore. Fatto presto…».
«Lascia perdere! Non riuscivo a parcheggiare. C’era uno stronzo, ma
uno stronzo! Ha piantato il suo SUV nero in mezzo alla strada. Ma si può?
Ma mi sono preso la mia bella rivincita, sai? Gli ho messo sul finestrino un
biglietto: “SE SCOPI COME PARCHEGGI, NON MERAVIGLIARTI DI
ESSERE CORNUTO!” Eh, quando ci vuole ci vuole!».

giovedì 9 giugno 2011

NUTRIMENTI-LA PRIMA-LA STORIA E LA CARNE-DOLCE CREATURA


Tratti dal Concorso "Delizie"

NUTRIMENTI
di RAFFAELE SERAFINI

Maddalena seduta in una cantina vuota, in mutande.
Ha i gomiti appoggiati a un vecchio tavolo, il viso affogato negli avambracci. I crampi
arrivano assieme ai brividi di freddo, che le si arrampicano sulla schiena. Lei li
scaccia scrollando i lunghi capelli biondi.
Sono tre giorni che non mangia.
Luca non parla mentre cucina, non canticchia nemmeno.
Sta preparando un tiramis speciale.
Osserva i biscotti che cambiano colore, inzuppandosi. Le castagne bollite che
s'impastano al mascarpone e alle mandorle. L'ultimo strato di crema un mare color
nocciola, sul quale disegna le onde, una a una: sbuffi e riccioli di schiuma color
cacao.
Maddalena aspetta.
Al piano di sopra sono cessati i rumori. Appoggia la mano sul pizzo bianco, gi
umido. Infila le dita sotto l'elastico e affonda appena l'anulare fra le labbra. Poi lo
ritrae di scatto. Sa che non pu .
Luca spinge la porta con la schiena, schiaccia l'interruttore usando un gomito. La
luce e il profumo invadono la stanza. Indossa solo un paio di jeans.
Appoggia la teglia in mezzo al tavolo, vicino a una forchetta.
Maddalena si perde nei suoi occhi verdi e nel torso abbronzato, poi l'aroma del
cioccolato la travolge, come un coriandolo in un uragano. Si alza in piedi, con i grossi
seni che sussultano.
Luca la guarda e non parla, il suo sorriso gi una domanda.
Maddalena esita, poi manda in frantumi la teglia con una spinta e gli salta addosso.
Mentre lo bacia non pensa che domani sar il quarto giorno.


LA PRIMA di JAY DEMM

Eccola l , in tutto il suo metro e sessanta d’altezza. Le curve del suo corpo, sono dolci
linee in cui il mio sguardo si perde. Siamo entrambi nudi. Mi osserva con quegli occhi
maliziosi, forse un po’ troppo sfacciati, che m'invitano a farla mia, a prenderla su
quel letto cos vicino, cos provocante. Mi avvicino e lei mi stringe. Pare non volermi
lasciar andare. Mi tira con lei sul letto, non riscontrando mie resistenze. Ora sopra
di me, mi accoglie nella sua calda spelonca. Il suo corpo va su e gi con cadenza
ritmata da puro piacere carnale, non mi guarda nemmeno, non le interessa quanto
gradimento suscitino in me le sue movenze. ネ un amante egoista ed io sono
semplicemente il giocattolo di que sta notte di sesso. Mi sento un oggetto, quasi un
vibratore umano. Non vorrei essere l . Nel frattempo, inizia ad andare pi veloce, il
suo scendere e salire diviene una corsa frenetica. Lei inizia a dimenarsi sempre di
pi , sembra ricongiungersi con il suo lato bestiale, quello che tutti tengono pi
nascosto. Gemiti smorzati le fuoriescono dalle sensuali e carnose labbra, sento il suo
respiro divenire irregolare. Il viso pare sempre pi avvampato. Fino a che ha una
vera e propria esplosione di piacere carnale. Un orgasmo. Si distende accanto a me,
sorridendomi stordita. Mi chiede:
給ネ stato bello, eh?屁
Ed io, confuso e quasi inorridito per questa mia prima volta, non so cosa dirle. Cos
le sorrido e annuisco. Stavo meglio da vergine.




LA STORIA E LA CARNE di MATTEO POROPAT

La donna s’inchin e a un cenno dell’uomo entr nel minuscolo locale, colorato dalle
luci di piccole lampade di carta. In silenzio si volse alla finestra, facendo scivolare il
kimono, che fin attorcigliato ai suoi piedi come un cucciolo. Sinuosa si sedette
intrecciando le gambe, offrendo la schiena nuda all’uomo, che la attendeva
circondato da una decina di bacinelle colme d’inchiostro.
Il vento accarezzava la casa immersa nel silenzio e i suoi versi accompagnavano i
gesti del vecchio: intingere, colare l’eccesso, passare la punta irrigidita sulla pelle
della donna. A ogni tratto la ragazza socchiudeva gli occhi, rapita dall’umida carezza
del pennello, a ogni pausa tratteneva inconsapevole il respiro, nell’attesa del
prossimo tocco. Le singole parole le strappavano gemiti, i paragrafi pi lunghi erano
una dolce tortura.
L’uomo ripose il lungo pennello nella cassetta, si abbass , finch le labbra screpolate
non furono a pochi millimetri dalla pelle dipinta, e inizi a soffiare. Come l’inchiostro
si asciugava, assorbito dalla pelle candida, la ragazza si sentiva avvolgere dal fiato
tiepido dell’uomo. Il suo respiro la accarezzava e si mescolava con l’inebriante odore
dell’inchiostro.
ォSei pronta.サ La voce del pittore mozz le sue sensazioni.
Dal buio emerse un uomo alto, ricoperto da vesti rosse intessute d’oro, al quale il
vecchio si inchin . Prese la ragazza per mano, sparendo con lei nell’oscurit del
corridoio, accingendosi a leggere la nuova storia.



DOLCE CREATURA di LUIGI BRASILI


Quando ci siamo incontrati la prima volta, l'ho guardata di sfuggita; cos rossa, mi
era parsa insignificante.
In seguito ci siamo incrociati anche pi volte nello stesso giorno, e pian piano ho
iniziato a ricambiare i suoi sguardi. Ci siamo sfiorati, una prima volta, passando
vicino alla fontana di Trevi, poi, ancora, nel piazzale davanti alla stazione. Io ho
iniziato a guardarla con occhi diversi ma non trovavo mai il coraggio di toccarla, di
prenderla.
Alla fine ho deciso di rompere gli indugi, una sera, nel parcheggio del supermercato;
si fatta avanti e io mi sono abbandonato alle sue malie. Dannato per l'eternit ;
fuscello di carne nella tempesta chimica della mia solitudine. Prigioniero di un sogno
stretto tra le mie mani.

Da quella volta non passa giorno in cui io non ceda al suo fascino ipnotico, a quel
brutto anatroccolo che ho scoperto essere uno splendido cigno, sempre disponibile
ad accogliermi e a guidarmi nella beatitudine dei sensi.
Da allora, ogni notte mi coccola, mi fa gemere, si insinua dentro di me,
accendendomi di desiderio impellente.
So che si concede anche agli altri, ma non sono geloso per questo. Mi basta saperla
solo mia per quei pochi minuti in cui mi dona tutta la sua essenza, proprio come
adesso; adesso che la mia mano la stringe per paura di vederla svanire troppo
presto, prima di sciogliersi con un brivido nella mia bocca avida di sensazioni forti.
Grazie di esistere, dolce creatura.
A domani, mia dolcissima pillola.

sabato 4 giugno 2011

Boogeyman




Francesca è una giovane donna incolore, né bella né brutta; in alcuni giorni, quando i capelli
biondissimi, quasi bianchi, risplendono sotto il sole come argento illuminandola tutta, allora la si
nota, quasi fosse un bel dipinto nascosto sotto una crosta. Ma con le nuvole ritorna al solito
anonimato.
Lavora da sei anni in una banca vicina all’appartamento che occupa da sola, dopo la morte dei
genitori, avvenuta all’improvviso in un incidente d’auto.
Da cinque è fidanzata con Luca, un collega del tutto simile a lei: uomo privo di ambizioni, vive
ancora con i genitori, si accontenta della sua vita tranquilla, delle gite domenicali al lago e del
sesso tiepido e senza fantasia da consumare con Francesca in fretta e in silenzio, quasi un obbligo,
il sabato sera.
Sono già una vecchia coppia di coniugi, anche se non se ne rendono conto.
Francesca sa che da qualche parte c’è un mondo colorato, diverso dal suo, ma la paura di
affrontarlo, anche solo con un cambiamento di immagine adottando trucco, pettinatura,
abbigliamento diversi, è più forte della curiosità.
Eppure sempre più spesso l’assalgono strane inquietudini, desideri confusi e inconfessabili, di cui,
nel profondo della sua anima bigotta, si vergogna.
Un sabato pomeriggio, dopo aver rigovernato la casa, decide di riposarsi, in attesa che arrivi Luca
per cena, leggendo l’ultimo libro acquistato: “L'Arte della Gioia” di Goliarda Sapienza; quel
titolo l’ha attirata, nella libreria che frequenta abitualmente, forse per quella “gioia” stampato a
caratteri grandi o per il nome insolito dell’autrice.
Ha appena iniziato la lettura, seduta sulla poltrona preferita con il gatto in grembo, quando il
telefono squilla; allunga una mano, alza la cornetta, ma dall’altra parte non c’è nessuno; o
meglio, sente solo un debole crepitio di disturbi simile al suono che si ode quando si accosta
l’orecchio a una conchiglia e s’immagina di ascoltare il mare.
-Pronto!- ripete più volte, attende qualche secondo, poi riaggancia.
Fa in tempo a leggere un paragrafo, quando un’altro squillo la fa sobbalzare:
-Pronto, prontoooo!!!-
La sua voce ha un tono rassegnato, di chi si aspetta l’ennesimo spiacevole scherzo della sorte.
Ripete il “pronto” ad alta voce e attende a lungo, quasi a superare qualsiasi difetto della linea e
offrire una possibilità a eventuali chilometri di cavi che la collegano con chi sta dall’altra parte
dell’apparecchio.
Alla fine rinuncia.
Dopo altre tre telefonate mute, comincia a preoccuparsi.
L’idea che qualcuno, chissà dove, resti in silenzio di proposito, conferisce un’aria sinistra al brusio
che le pare di sentire.
Attende, fino al segnale di libero; posa il ricevitore, convinta che il telefono squillerà di nuovo.
Cosa che avviene puntualmente.
La situazione è irreale, ridicola: due persone ai capi di una linea telefonica, entrambe zitte...come
due ciechi che si voltano all’improvviso per guardarsi intenzionalmente negli occhi.
Dopo un po’, Francesca non riesce più a trattenersi e :
-Chi è lei? ma che vuole da me?-
Le pare di udire una risata, in sordina. Allora:

7


- Stacco il telefono, quindi non si disturbi più a chiamar questo numero-
La minaccia dell’esilio che separa l’innamorato dall’oggetto del suo desiderio funziona.
La voce è un bisbiglio persuasivo e mellifluo:
-Francesca, Francesca, sai chi sono? No, naturalmente, ma io ti conosco, sapessi quante cose so di
te, per esempio...-
-Chi parla?-
-...Dove abiti, come sei fatta, come ti vesti. Mi piace...-
-Che cosa vuole da me? - la voce della donna è un miscuglio di paura e curiosità.
-...Quel tuo vestito giallo, senza maniche, che indossi spesso, è uno dei tuoi preferiti? T’ho vista
alla finestra, Francesca, un paio di giorni fa, guardavi fuori e il sole nei capelli ti incoronava come
una regina.
Ho quasi creduto che stessi per sporgerti, per parlarmi: tutto era così immobile, poi ti sei chinata in
avanti, sul davanzale, ricordi? Le braccia tese, la testa sollevata, guardavi in alto, come un
nuotatore che si gira sott’acqua e punta alla superficie; ti ho osservata a lungo...-
-Ma chi è lei, che cosa cerca, la smetta...-
E’ affascinata dalla voce, bloccata dalle parole, quasi stia ascoltando una favola, come un
bambino che, curioso, voglia sapere la fine ma anche sentire tutto il racconto.
Il bisbiglio soffocato, monotono, è perfettamente intonato alla narrazione; il garbo e il ritmo
uniforme promettono malignità.
-...Incorniciata nella luce della finestra.
Hai addosso il vestito giallo, ora? Se venissi a casa tua, se suonassi il campanello, saresti lì, con
quel vestito?
Non è strano? tu non mi conosci affatto e io invece così bene. Ti penso Francesca, ti penso spesso,
ti sogno e in uno di questi sogni tu eri ammalata e venivi da me, il dottore; è bastato un mio tocco
lì, tra le gambe, dove ti faceva male e sei guarita...-
La donna di scatto posa la cornetta, quasi scottasse.
Si sente vuota, scavata e stanca.
Avverte un dolore sordo al polso e all’avambraccio, le dita che hanno stretto il telefono sono
intorpidite.
Non riesce a muoversi, soffocata dalla tensione che satura la stanza, mentre il bisbiglio continua
a echeggiare intorno a lei.
Quando il telefono squilla di nuovo la mano si muove da sola:
-Ti penso Francesca, così spesso da non poterne più...-
-Ma insomma, che cosa vuole da me ?-
E allora, alla sua richiesta che è un’implorazione, il bisbiglio risponde.
Le dice che cosa vuole, che cosa intende farle e quanto sia ansioso di toccarla.
Le parla del suo viso e del suo corpo, di ciò che sarebbe avvenuto quando si fossero incontrati, delle
sensazioni che le avrebbe fatto provare, minuto per minuto; la
intontisce di immagini che alla sua mente appaiono lussuriose e perverse e lei ascolta, rapita,
bambina persa nella favola, mentre la voce continua la sua cantilena sommessa, pronunciando di
tanto in tanto il suo nome:
-Francesca, Francesca, Francesca- come una preghiera.
Solo quando suona il campanello la donna si riscuote.
Con mossa fulminea stacca il telefono e preme il pulsante di apertura del portone.
I gesti sono meccanici, la sua mente ancora in balia dello sconosciuto.

8


Solo allora si accorge di avere addosso il vestito giallo.
Quando Luca si presenta sulla soglia con il solito sorriso educato, lo trascina subito in camera da
letto, avvinghiandosi al suo corpo, soffocandolo con un bacio.
E mentre lui, ammutolito, si chiede che cosa stia succedendo:
-Spogliati- gli ordina, con voce bassa, rabbiosa, mentre lei fa altrettanto, sciogliendo i capelli che
porta abitualmente raccolti.
Il vestito giallo finisce in un angolo della stanza, un groviglio di stoffa leggera.
Rotolano sul letto e quando Luca entra in lei, ancora confuso nonostante l’eccitazione, la donna
grida e inarca i fianchi perché la penetri fin dentro il ventre che non è mai stato così affamato.
Con le gambe gli attanaglia la schiena e lo stringe a sè, graffiandolo, in un miscuglio di passione e
paura, come posseduta dal demonio.
E l’uomo fosse il suo esorcista, mentre nell’orecchio come un mantra le risuona quella voce:
-Francesca, Francesca, Francesca...-



*Boogeyman è l’uomo nero di Stephen King

lunedì 30 maggio 2011

Madame-L'inserzione-La Credente e L'onda


Dal concorso "Delizie"



MADAME
di GIUSEPPE AGNOLETTI



Parcheggio sotto casa e salgo le scale come un fulmine. Suono il campanello, Madame apre. È una pantera, una gatta ricoperta di pelle scura. Sul viso una mascherina di seta nera. «Buonasera.» dico. Replica con un miagolio lungo e caldo, un rantolo che mi dà un brivido. Non parla. Mi tira dentro per la cravatta, va per le spicce. Mi spoglia, soffia e agita la coda; è già eccitata, e io m’abbandono al gioco di una professionista. La conosco, bisogna lasciarla fare. Poi il suo fiore oscuro e gonfio di desiderio mi accoglie. E niente ha più importanza. È finita. Sono svuotato e stanco. Recupero le mie vesti. Mi volto e getto in aria una banconota verde da cento. Madame l’afferra al volo mentre gli occhi le brillano impudici. «Buonasera.» «Miaoooo» rantola di nuovo. Mi lecca la guancia. La lingua scivola sul collo ed è meglio che vada. Scendo con calma. Fuori dal portone consumo una sigaretta in quattro boccate. Poi apro la macchina, prendo la borsa, ritorno sui miei passi. Salgo le scale e suono lo stesso campanello. «Ciao, tesoro» sorride la faccia ordinaria di mia moglie. «Ciao, cara.» Entro e mi affloscio sul divano. «Giornataccia in ufficio, vero?» Faccio di sì con la testa, senza parlare. «Fra poco è pronto!» trilla dalla cucina il mio simpatico leprotto domestico. Sento un profumo delizioso e mi chiedo cosa abbia preparato. Con la coda dell’occhio scorgo una calza a rete seminascosta dietro un cuscino. Sono un uomo baciato dalla sorte. Ma cosa succederà quando avremo dei bambini?



LA MORTE È UNA SIGNORA CHE VA A BRACCETTO COL PREGIUDIZIO

diMATTEO MANCINI

Fu quando il sole copulò con la luna che la lussuria proliferò sulla Terra, e la mia vita venne spezzata. «Viene a vedere l’eclisse, qui, sul promontorio?» mi chiese una lupa travestita da pecorella. Accettai, forse per via dell’intelligenza che la giovane mi aveva dimostrato nelle lezioni che impartivo ai tanti trovatelli di cui ero il precettore. Rammento la lunga salita sui prati in fiore e poco altro, se non l’avvento della massa discesa sul metallico bagliore lunare. Mi sdraiai sull’erba e lei… si, doveva avermi stregato, compiuto un chissà quale sortilegio, poiché me la ritrovai sopra, nell’attimo in cui l’eclisse raggiunse il suo apice. «Ti ho liberato, ora, amore mio» mi sussurrò, aggiustandosi i capelli dietro le spalle. Era nuda, col corpo velato di sudore e due mammelle che spiccavano dal gracile corpo da adolescente. Mi parve di vederla luccicare, quasi fosse scaldata da un fuoco che le ardeva nelle viscere. Strinse le cosce sul mio bacino e io… Dio, ero schiavo di un torpore figlio del maligno piacere offertomi da quella lingua che mi scivolava sul petto, sulle labbra. Che orrore ammetterlo, provai estasi, piacere. Diffusi il mio seme benedetto nel ventre di quella serpe e solo allora riconquistai il senno. Le allungai le mani sul collo e strinsi, strinsi forte, ma era troppo tardi! Ora sono chiuso in queste quattro mura a osservare la luna da una griglia arrugginita. Le preghiere del cappellano non mi salveranno: ho tradito il voto. Le fiamme sono ciò che merito. L'INSERZIONE di ORIETTA BRASILI La luna guardava benevola i due amanti. Due corpi allacciati in un famelico amplesso, con i respiri persi l’uno nella bocca dell’altro. Le mani toccavano ardite parti del corpo proibite. Il sesso di lui premeva con urgenza nella dolce spirale di lei. Le spinte si susseguivano sempre più forti. Lei morbida, pronta per posizioni ancora più audaci; lui duro, urgente nell’attesa di esplodere. La lingua famelica leccava e succhiava i rosei capezzoli, come due piccoli fiori umidi di rugiada. Le gambe intrecciate, serrate nell’ultimo grido, quasi una preghiera per ringraziare la Dea dell’orgasmo donato. Sfiniti si abbandonarono al sonno. L’inclemente luce dell’alba bruciò via la magia della notte, sorprendendoli nudi, in un letto sfatto, macchiato di sudore, di seme buttato. L’uomo si alzò. Prima di uscire lasciò alcune banconote sul comodino. Lei aprì gli occhi. Odiava l’arrivo di ogni nuovo giorno. Si accese una sigaretta e si versò l’immancabile dose di Martini. Guardò il bicchiere con un ghigno. Il suo unico alleato, l’unico modo per rendere sopportabile il tormento. Bevve tutto d’un fiato, brindando al suo perduto amore, alla felicità affogata nella fatale curiosità umana. Ora aveva bisogno di una doccia, per togliersi di dosso il fetore e l’impronta del maiale che l’aveva usata. Prima però doveva telefonare al giornale, riconfermare l’annuncio e proseguire nella sua eterna ricerca. Sempre la solita inserzione: “AAA – Psiche cerca disperatamente Eros”.



LA CREDENTE E L'ONDA

di FABIO BUSIELLO Nomade.

L’intenzione è nomade. Cerca la virtù che nascondi tu. Un’onda si spinge, tinge le tue caviglie piene di voglie: tremano come foglie. La pioggia arriva a battere la battigia, la schiuma grigia lungo di lei s’adagia. «Senti che vento» e ciò che senti sento. La pioggia insiste «mi sento così triste.» Mi faccio accanto. Il mare intona un canto. Ansima, la tua carne trepida, vuole il suo conforto, vuole essere porto. Libere, dita senza remore, corrono su te. Chiedono di te. Posso io fonderti e confonderti. Basta tu mi dica sì e battaglia sarà qui. «Cosa fai adesso?» il brivido è lo stesso. «Solo un momento» e il pudore s’è spento. Vibrano i corpi: i sensi son risorti. L’urto di un’onda ora ci affonda. Tutto scompare, nulla più conta. Timida. Tumultuosa e liquida, vuoi le mie intenzioni. E le mie attenzioni. Intrepida, la mia mano impavida scende tra i tuoi seni, tra i tuoi desideri. Slacciati, quei divieti stracciali. S’apre una voragine, ti muti in vertigine… tutto si fa indagine... e non c’è più caligine. «Guarda, l’ho tolta» ti scopro disinvolta. «Contento adesso?» sorridi molto spesso. Ogni carezza si unisce a questa brezza. Ogni sospiro diventa il tuo destino. Ogni tuo gesto scivola nel contesto: è una bestemmia che fa paura, ma è solo il gioco della natura. Tutto è perduto: tranne l’inconosciuto…

mercoledì 25 maggio 2011

Campanello D'allarme










«Signorina, io fossi in lei non suonerei a quella port a…».
Il dito indice di Camilla restò sospeso a mezz’aria, a pochi millimetri dal campanell o. E adesso, quella vecchia, che cosa voleva da lei? Da dove era saltata fuori? Come se la giornata non fosse già abbastanza difficile… La ragazza ignorò il consiglio, continuando a fissare la targhetta d’ottone e quel cognome “De Rossi” che, fino al giorno prima, non le avrebbe detto assolutamente nulla. Aveva ancora il fiatone. Per le scale, certo. Tre piani, quasi di corsa, a voler affrettare una risp osta.



Tre piani di una casa sconosciuta, anonima e
popolare, nella quale entrava per la prima volta. E ad ogni pianerottolo, una breve sosta per riprendere il respiro, e poi la rampa successiva, un po’ meno veloce. Un po’ meno convinta, soprattutto. Al terzo, si era guardata intorno, i sensi in allerta per cogliere una risata, un rumore, un indizio. Quattro nomi: “Hu”, “Abdelraziz”, “De Rossi”, “Mirand ola”. L’ind irizzo era giusto, il cognome corrispondev a. E poi, sotto, c’era la moto. Lui era certamente qui. Si era avvicinata all a porta. Dall’interno provenivano delle voci. Una femminile. L’altra, la sua. Aveva avuto una stretta al cuore. Si accorse che, gradino dop o gradino, aveva perso la determinazione che l’aveva portata lì. «Lo voglio davvero sapere?», era questo il dubbio che la stava tormentando. «A volte, non sapere è meglio». Ed era quello che si era ripromessa di fare quando le erano affiorati all a mente i primi sospetti. «Se lo metto alle strette, lo perdo», si era detta. «Mi l ascerà». «Ti sta già lasciando, cretina», avev a risposto la sua parte razionale. Camilla odiava la banal ità. Anche per questo motivo aveva scelto di studiare alla scuola d’arte e ora faceva uno stage di restauro. Le piaceva andare oltre lo strato più superficiale di un quadro, spesso dovuto a stili diversi e a interventi successivi. Amava scoprire un dettaglio sotto una mano di pittura, veder riaffiorare un corpo, che l’autore aveva voluto nudo, ma che qualche censore aveva pensato bene di rivestire. Odiava i luoghi comuni, l e ripetizioni, i clichè. Infatti stav a bene con Hermann. Tedesco, in Italia per un dottorato su Dante, un ragazzo diverso dagli altri.


Profondo, sensibile.
«E stronzo», aggiunse. Anche se magari la stronza era la tipa che l’aveva invitato a casa sua. Era solo un dettaglio, ma Camilla era infastidita dal fatto che la sua storia d’amore “speciale” stesse per finire nel modo più banale: un cell ul are e un sms. Le faceva venire in mente un film di cassetta che si era rifiutata di guardare perché troppo superficiale. Lei non era tipa da indagini segrete, ma proprio ieri non aveva resistito alla tentazione: lui era in doccia e sul suo Nokia era arriv ato un messaggio. L’acqua scrosciava in bagno e nuvolette di vapore filtravano d a sotto la porta. C’era poco tempo. Avev a preso il cellulare dal comodino. Un messaggio ricevuto. Se l’avesse letto, avrebbe saputo. Ma anche lui se ne sarebbe accorto. E avrebbero dovuto giocare a carte scoperte. Se il messaggio fosse stato innocuo, che figura ci avrebbe fatto? Ma se era davvero di un’altra come ormai sospettava? Anche in quel caso, il suo dito era rimasto sospeso, incerto se premere “ok” o deporre il telefono. «Signorina, mi scusi se sono invadente. Ma è proprio sicura di voler suonare?». Ancora la vecchietta! Questa volta C amilla non poté ignorare la voce. Si voltò lentamente pronta a rivendicare il suo diritto a fare come le pareva. Sul la soglia dell’appartamento adiacente a quello in cui voleva fare irruzione, stava una donnina minuta, avvolta in una vestaglia a fiori. Aveva due occhi neri, penetranti, dolci. I capelli un po’ in disordine. Alle sue sp alle si intravedev a una casa semplice ma curata. A Camilla venne in mente una tela che stava restaurando nella chiesa del Crocifisso. Era un dipinto enorme, al quale lavorava stando arrampicata in cima a un ponteggio. Proprio il giorno prima aveva scoperto un bellissimo volto femminile, sepolto da decenni sotto un mal destro rifacimento. Guardò la donna e poi spostò nuovamente lo sguard o sul suo dito ancora alzato davanti al campanel lo. Abbassò con noncuranza la mano: «Dice? E che cosa glielo fa credere?». «E se ne parlassimo dentro?», propose l’anziana, scostandosi dalla soglia. «Tanto quelli ne avranno per un po’», commentò impietosamente la sua parte razionale. Hermann era decisamente un bel ragazzo. A vederlo uscire dalla doccia, la pelle chiara arrossata dal caldo dell’acqua, i capelli biondi gocciolanti sulla schiena, Camilla aveva pensato che, se non altro, aveva buon gusto: se lo era scelto proprio bene. Lui si era sdraiato, ancora umido, sul letto accanto a lei. Sporgendosi da un lato, aveva estratto un pacchetto dalla borsa appoggiata in terra. «È per te. Spero che ti piace». «Piaccia», precisò la parte razionale; ma, di fronte alla sorpresa, il sentimento aveva prev also sulla lezione di grammatica.



Aveva aperto il
pacchettino e sfoderato davanti ai suoi occhi un paio di slip a fiori, molto primaverili, e un reggiseno combinato. Lo aveva baciato, per dirgli “grazie”; per dire a se stessa “speriamo non sia vero”. Ma poi aveva messo in borsa il completo senza provarlo e, scusandosi, era andata via. «E allora mi sono detta: “Vaffanculo, io lo leggo”. E ho premuto il tasto. Scusi per il “vaffanculo”». «Si figuri…», la donnina sorrise. «C’era un messaggio, da un numero non in rubrica; il testo era minimalista: un indirizzo, un cognome, un’ora. Poteva essere anche il dentista, per quello che ne sapevo, ma sentivo che era lei». Camilla si lasciò andare sulla poltrona; si sentiva meglio, alleggerita di un peso, anche se non riusciva a spiegarsi come fosse arrivata a raccontare la sua vita a una sconosciuta impicciona. «I dentisti non mandano sms», avanzò l ’anziana. Era esat tamente quell o che aveva osservato la sua parte razionale. «Appunto. Comunque ho letto il messaggio, memorizzato l’indirizzo, e poi l’ho cancellato. Cavoli suoi, se gl i saltava l’appuntamento, tanto meglio…». «Invece, non è saltato», puntualizzò l’ospite. «Già». «Ancora un po’ di tè, Camilla?». «No grazie, signora…». «Che sbadata! Non le ho nemmeno detto il mio nome! Mi chiamo Antonia. Antonia Mirandola. Ma il cognome lo aveva già letto sulla porta». Le due donne erano sedute nel salotto della casa del l’anziana. Divani un po’ demodè ma ben tenuti, diverse foto alle pareti, pochi ninnoli. In ogni caso, meno di quanti ce ne fossero nel la media dell e case di pensionati. «Mi scusi se mi sono permessa di intervenire in maniera così intempestiv a», aveva premesso poco prima Antonia facendo strada nel soggiorno. «Ma io la conosco, quella. E, non faccio per v antarmi, ma un po’ conosco anche gli uomini. E sono certa che il suo gesto non avrebbe portato a nulla». La ragazza aveva sollevato leggermente la schiena e si era sport a in avanti: «E lei, cosa ne sa?». In quel preciso momento, attraverso il muro che separava i due appartamenti si era udit a chiaramente una risata. «Vede», osservò l’anziana, «qui le pareti sono così sottili… Si sente tutto». La risata si era fatta più intima, complice. Camilla aveva fatto scorrere le mani sulla gonna di jeans, poi sulle cosce, stringendo infine le ginocchia fino a farle diventare bianche. «Inoltre», completò maliziosamente Antonia, «le mie giornate sono così noiose. È inevitabile che mi accorga di quello che accade qui accanto». Camilla si aggiustò sulla p oltrona, sembrava quasi che i cuscini scottassero. «Stia tranquil la. Lui è la prima volta che viene…». «Grazie», rispose, subito arrossendo, la ragazza. «E ora, se me l o consente, mi permetta di esporle la mia personale visione dei fatti». Un cigolio proveniente dall a stanza vicina, indusse la donnina ad entrare nel viv o delle sue argomentazioni senza prolungare tropp o quella tortura. «Dunque, deve sapere che, anche se può ora sembrarle poco credibile, io ho avuto una giovinezza piuttosto vivace. Sessualment e, intend o. E, per dirla tutta, non solo l a giovinezza». Camilla deglutì, ma Antonia non intendeva prendere pause. «Mi sono tolta le mie soddisfazioni, potremmo dire.


Ora, il mio
personale convincimento, consolidato da una lunga teoria di corna, tradimenti, scenate e vendette, è che non si debba mai, ripeto mai, rincorrere gli uomini». «Cosa ti avevo detto?», solidarizzava la parte razional e della ragazza. I muri, in effetti, erano davvero sottili. Dalla camera da letto proveniva il sonoro di un amplesso in diretta. Camilla fece per alzarsi. «Aspetti», la trattenne Antonia. «Capisco il suo disagio, ma posso assicurarle che questa è una scopata grigia. Fa male, certo. Ma non gl i darà niente. È ginnastica. Se lei è corsa fin qui, è perché l a vostra storia rappresenta qualcosa di serio. E, se può consolarla, le posso testimoniare che due ore fa c’era un altro giovanotto lì dove ora c’è il suo ragazzo. A proposito, come si chiama?». «Hermann», balbettò Camill a confusa. «E ieri sera… be’ ieri sera abbiamo fatto le ore piccole, qui!». La vecchia scoppiò in una sonora risata, che poco a poco contagiò anche Camilla. «Quindi, lei cosa mi consiglia?». Domandò timidamente la ragazza. «Dovrei perdonarlo, vero?». La tipa era di quelle dall’orgasmo loudness e i suoi gemiti stavano riempiendo il salotto. «Ma nemmeno per sogno!», esclamò battagliera la nonnina. «Deve castigarlo!». Camilla era decisamente persa. Tra i gridolini della sciupauomini (altrui) e la filosofia di vita d ell’anziana gaudente, non riusciva più a ragionare lucidamente. «Ascolti», riprese Antonia, «non ha con sé qualcosa che lui potrebbe riconoscere subito? Non so, un regalo, un oggetto significativo. Non si preoccupi, sarà mia premura farglielo ritornare al più prest o». La ragazza fissò per alcuni istanti il muro, pensosa. «Be’, avrei… avrei le mutandine e il reggiseno. Me li ha regalati lui». «Ieri», aggiunse la sua parte razionale. «E tu, scema, te li sei messi proprio oggi». «Le dispiacerebbe darmeli?». Camilla strabuzzò gli occhi. «Suvvia! Crede che mi imbarazzi a vedere una ragazza spogliarsi? Non mi costringa a raccontarle il mio periodo bisex…». Sentendo il desiderio di rivalsa fondersi con un sentimento di fiducia nei confronti della bizzarra vecchietta, C amilla si alzò in piedi e si slacciò la camicetta bianca, lasciand ola cadere sul divano. I seni erano contenuti da due cop pe imbottite. Portò le mani dietro la schiena e slacciò il gancetto. Sfilò il reggiseno e lo porse ad Antonia. «Complimenti per le puppe!», rise la donna. La ragazza arrossì mentre sollevava la gonna e abbassava gli slip alle caviglie. Li raccolse e li affidò alla mano tesa della vecchietta. «Ai miei tempi, quel tipo di depil azione non era ancora in voga», notò Antonia. Il rosso si fece carminio. Camilla si sedette nuovamente sul divano, tenendo le cosce strette. Guardò con aria interrogativa la donna che si era al zata e stava prendendo un foglietto e una penna dal mobiletto del telefono. «Vede», chiarì la nonnina, «se lei avesse suonato, cosa sarebbe accaduto? Avrebbe aperto l ei, ovviamente, e avrebbe capito subito la situazione. Avrebbe negato, l’avrebbe costretta ad una scenata sul pianerottolo. Lui non si sarebbe fatto vedere. E lei avrebbe fatto la figura della cretina». «Esatto!», esclamò concorde la parte razionale della ragazza. «Invece, noi ora…», Antonia stava scrivendo qualcosa con mano incerta sul foglietto, «gl i facciamo una bella sorpresa». Aprì una scatolina delle Pastiglie Leone e prese uno spillo. «Mi segua», ordinò a Camilla. «Ma prima conviene che ci sal utiamo. Dop o non ci sarà tempo, e lei dovrà essere sv elta ad allontanarsi. Non si preoccupi per le mutandine, gliele conserverò io qui. Può passare a prenderle quando vuole, a partire da questo pomeriggio». Le due donne si abbracciarono. La più anziana con un luccichio complice negli occhi; la più giovane decisamente perplessa. Puntando con lo spillo agli slip il biglietto su cui aveva vergato un tremolante “Per Hermann”, Antonia uscì sul pianerottolo. Appese reggiseno e mutandine alla manigl ia della porta della disinibita vicina e abbracciò nuovamente Camilla. «E ora, mia cara, lo suoni pure questo campanello. In fondo è venuta qui per questo! Aspetti solo che io abbia chiuso l a porta e abbia preso posto dietro lo spioncino».



Camilla tese il dito, negli occhi un’impressione di d éjà-vu, accompagnata da una strana sensazione di serenità. «E poi giù veloce! Mi raccomand o…», strizzò l’occhio Antonia, chiudendosi in casa. Il click della porta raggiunse Camilla tra il secondo e il primo piano. Le parve anche di sentire un «Ma che cazz…» provenire dal pianerottolo del terzo. Uscì in strada, salì sul motorino e si diresse al lavoro. Dopo pochi metri, inchiodò dav anti a un negozio di biancheria intima. «Sarà meglio che mi compri un paio di mutande», ricord ò. «Oggi devo lavorare in cima al ponteggio».