*****ROXY E' TORNATA!

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Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

mercoledì 29 giugno 2011

MAY LIN




Fuori dal concorso "Delizie"
MAY LIN
di MERCURIO

La prima volta che ci andai avevo appena compiuto 18 anni.
Non ero mai stato con una donna e per farmi coraggio avevo bevuto un’intera
bottiglia di sciroppo per la tosse. Un saporaccio, ma mio padre non teneva alcool in
casa.
Mi venne una fortissima nausea, ma ormai avevo deciso: lei era l , sotto il lampione,
seduta sul guardrail con lo sguardo un po’ annoiato. Era inverno, e c’erano almeno
sei gradi sottozero, ma indossava lo stesso top e minigonna. Se si poteva chiamare
minigonna quella striscia di plastica rossa che strozzava le sue natiche piene.
Ricordo che rimasi a fissarla per un’ora e mezza nascosto dietro un muro dall’altra
parte della strada prima di farmi avanti.
Non so perch scelsi proprio lei.
Poco distante c’erano due brasiliane che salutavano i passanti in macchina alzando il
reggiseno e mostrando le tette. Erano enormi, sembravano grossi meloni color
cioccolato non ne avevo viste così neanche nelle riviste porno. Le due mulatte però
non facevano al caso mio.
Non facevano che ridere e agitare le braccia, i seni, il culo erano sempre0in
movimento e nel periodo in cui osservavo di nascosto la loro0collega, erano state
caricate almeno tre volte.
L’ultima non si erano fatte neanche portare via.
Erano salite nella BMW del loro cliente dopo aver contrattato il prezzo e in meno di
cinque0minuti avevano finito. Una delle due aveva gettato dal finestrino il tanga e gli
aveva sbattuto il culo in faccia, mentre vedevo la chioma ricciuta dell’altra muoversi
freneticamente su e giù .
Lei non le guardava nemmeno. Aveva gli occhi fissi sulla strada, mentre fumava una
sigaretta dopo l’altra. Quando aveva finito, spegneva il mozzicone sporco di rossetto
sotto il tacco e ne accendeva un’altra.
I suoi occhi a mandorla si posarono su di me leggeri, indifferenti, mentre
attraversavo la strada con la mia bicicletta cigolante. Non era molto alta, mi arrivava
s e no al petto, e aveva i seni piccoli come pugni.
Mi fermai a pochi passi da lei.
ォQuanto?サ Chiesi. Non rispose, si lisci i lunghi capelli scuri e mi prese per mano.
Stava accadendo tutto cos in fretta. Scavalcammo il guardrail e mi condusse dietro
un cespuglio.
Mentre mi scioglieva la cintura pensai che non avevo messo la catena alla bici. La
guardai, lei mi sorrise e s’inginocchi sull’erba. Sentii il suo alito caldo sulla mia
pelle.
Prese il mio pene tra pollice e indice e mise a nudo il glande. Ogni mio pensiero svanì
in una nuvola di fumo non appena lo prese in bocca. Rimase con le labbra incollate
alla base fino a che non crebbe a tal punto da ostruirle la gola provocandole un
conato di vomito.
Tremai di piacere a quella sensazione. La sua bocca risal lentamente l’asta, mentre
la lingua descriveva cerchi concentrici. Poi ridiscese di nuovo, soffiando aria bollente
sul mio membro ormai ipersensibile.
Sentii nuovamente le pareti della suo gola avvolgerlo, poi, all’improvviso, alz la
testa e mi succhi con foga la cappella.
Mi sentivo esplodere.
Lei capì dai miei mugolii che ero sul punto di venire, se lo tolse dalla bocca e prese a
leccarlo tenendolo fermo con una mano. Strinsi i denti e le accarezzai il viso. Mi
stava facendo impazzire. Il mio pene pulsava ad ogni colpo sapiente della sua lingua.
Prese a masturbarmi con la mano, mentre la sua bocca era scesa all’altezza delle
mie palle. Le prese entrambe dentro, spingendole con la mano libera mentre l’altra
continuava a scorrere sempre pi veloce. La sentii succhiare avida, portandomi di
nuovo al limite, poi d’un tratto si stacc , mise una mano in tasca e ne estrasse un
anello di plastica. Non era un preservativo. Sorrise misteriosa e infil il cerchietto alla
base del glande. Lo strano oggetto stringeva, ma non era spiacevole.
Lei si volt e si abbass le mutandine. Aveva il culo piccolo e sodo, sembrava una
pesca. Allarg le gambe e mi offr il suo tempio del piacere. Scivolai con facilit in
quel tunnel tiepido e stretto. La presi per i fianchi e spinsi sempre pi forte, lei cadde
a terra ed io su di lei, ansimando entrambi di piacere.
L’anello m’impediva di venire, sentivo il mio cazzo andare in fiamme, ma pi
pompavo e pi i colpi divenivano dolorosi, straziandomi i nervi impazziti. Lei
rispondeva alla mia furia con piccole grida compiaciute e strane espressioni orientali,
ma io non ne potevo più .
Uscii dal suo culo e cercai di liberarmi da quella tortura, ma lei mi blocc le mani e
mi fece cenno di no con la testa. Mi fece stendere a terra e si mise in piedi sopra di
me. Sempre sorridendomi si lecc due dita e inizi a stimolarsi il clitoride. Mentre lo
faceva, sospir piano stringendo gli occhi. Io la guardavo ammaliato, mentre la mia
asta vibrava impazzita.
Si sedette su di me, lasciandosi penetrare. Lei accompagn l’entrata con movimenti
lenti del bacino, fino a che non le fui dentro completamente. Lei strinse i denti, poi
inizi a cavalcarmi. Credetti d’impazzire. Sembrava che la pelle del mio pene volesse
strapparsi, tanta era la forza con cui la donna si muoveva su di me. I suoi glutei
sbattevano sul mio inguine con sonore pacche, mentre lei si godeva quel piacere
masturbandosi di gusto.
Andammo avanti un altro po’ fino a che lei improvvisamente con un grido si alz e si
gett a carponi sul mio viso. In principio non capii, poi lei mi prese la testa tra le
mani e mi avvicin la vagina colante alle labbra. Iniziai a leccarla, bagnandomi dei
suoi umori. Feci scivolare la mia lingua tra le sue labbra, su fino al clitoride. Lo feci
con forza, quasi a volerla penetrare. Lei ansim0 sempre più forte, agitando i fianchi
sul mio volto fino a che non venne con un lamento sordo e un vibrare di carni.
Riprese fiato e mi fece alzare. Io la guardai supplichevole. Lei soffoc una risatina e
si mise nuovamente in ginocchio di fronte a me. La sua bocca avvolse nuovamente il
mio glande mentre la lingua scorreva su e gi sull’asta bollente.
Accompagnai i movimenti del suo capo pompandole il cazzo fino alle tonsille. Non ne
potevo pi . All’improvviso lei strinse i denti attorno all’anello e lo tir via,
graffiandomi la cappella.
Fu un attimo. Uno schizzo le si schiant sulle labbra schizzando gocce di sperma su
tutto il viso, un altro le impiastricci lo zigomo destro e alcune gocce le invischiarono
i capelli.
Il resto lo prese in bocca, leccando avidamente quel nettare che le colava copioso
sulla pelle candida del viso.
Non volle soldi, si limitò a salutarmi con un bacio.
Andammo avanti così per 10 anni. Tutte le sere. Alcune volte ero andato anche con
le brasiliane, ma non era la stessa cosa. May Lin, così almeno mi disse di chiamarsi,
era un vulcano di fantasia. Con lei c’era sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
Un giorno, dopo aver fatto l’amore, le dissi
ォTi amo.サ
Lei si pulì la bocca, mi guardò seria e scoppio in una risata che mi lasci interdetto.
ォNon essere stupido.サ esclamè poi divertita ォ tu sei la mia pensione.サ
E mi presentò il conto.

domenica 26 giugno 2011

CALIBRO 18


Simona prese in mano il pene dell’uomo e abbassò l a pelle del prepuzio.
Diede un’occhiata a Elena, in piedi al suo fianco:
«Sarà un 18. Passami il 18».
Prese dalle mani della collega la busta sterile, l’aprì e ne estrasse il contenuto.
Con rapida sicurezza vi versò sopra del gel e, stringendo appena più forte,
cominciò a introdurre con delicatezza il catetere.

«Te la ricordi quella vol ta che l’hai messo a quel ragazzo del Senegal? Che
calibro era, un 20?».
«Certo che me lo ricordo».
«Tu sei la regina dei cateteri!», scherzò l’anestesista.
«Guanti di fata!», completò Elena.
Una risata divampò nella piccola sala operatoria. Regnava un’atmosfera
leggera, serena, quasi gioviale, non fosse stato per quell’uomo cinquantenne
che stava addormentato sul tavolo.

L’uretra opponeva qualche resistenza e Simona av anzava con cautela. Le
cadde lo sguardo sul glande, una grossa cappella a forma di fungo, con due
piccole macchie scure vicino al bordo.
Si sa che i fenomeni di déjà-vu sono frequenti, ma l’infermiera non si sarebbe
mai aspettata di provarne uno in quel momento. Guardò nuovamente il sesso
dell’uomo.
«Non mangiartelo con gli occhi, mi raccomando!», commentò Elena.
Simona non d iede cenno di aver inteso. Quel pene le stava parl ando.
Sembrava impossibile, eppure lo conosceva. Era abituata a vederlo un po’ più
turgido di così, ma l’aria le era familiare. E il ricordo l a spingeva a forza
indietro nel tempo. Praticamente in un’altra vita, otto anni prima.

Lei studentessa alla scuola infermieri.
Lui avv ocato.
Lei escort per pagarsi gli studi.
Lui cliente per divertirsi.
Lei stronza quel tanto che basta, che la professione richiede.
Lui perso. Compl etamente.



Sentì il sondino di silicone entrare in vescica e meccanicamente prese a
gonfiare il p alloncino, mentre un filo di urina colorava di giallo il tubo.
Istintivamente alzò gli occhi per guardare in viso il paziente, ma un telo steril e
nascondeva il vol to. In mancanza di riscontri oggettivi fu il ricord o a prendere
il comand o d ella sua mente.

Adesso era con lui. Il loro ultimo appuntamento, al solito motel. Nemmeno
per quel l’occasione aveva voluto fare eccezioni: il sol ito compenso, piuttosto
caro; il solito tempo, due ore, non un minuto in più.
Un sesso passionale, ben fatto, godibile.
Lui era un buon amante, attent o, premuroso. Forse era proprio per questo
motivo che Simona aveva deciso di non vederlo più. Era troppo amante.
E lei aveva bisogno di clienti, non di uomini che le incasinassero la vita.
Sopratt utto non di uomini sposati, più anziani, trop po benestanti, che le
incasinassero la vita.
Ma non gl ielo aveva detto. No. L’indomani aveva cambiato scheda al cellulare
ed era scomparsa.

«Pronti? Incido». Saverio, il chirurgo, alzò l a destra e diede un’ultima
occhiata circolare sulla sua equipe. Quando incrociò lo sguardo di Simona
non si arrestò. In ospedale era estremamente professionale, niente lasciava
immaginare che i due fossero sposati. Il lavoro era lavoro, la famiglia famiglia.
Una famiglia un po’ in difficoltà, forse. Ma pur sempre famiglia. Con una
bambina piccola ad allietare la casa. E con non pochi problemi tra l oro due.

Ormai che c’era, che un ponte si era creato tra le sue due vite, non potev a non
fare i paragoni tra ciò che era oggi e i sogni che aveva da ragazza. Ripensò ai
clienti che incontrava, alla tristezza che l e mettevano quegli uomini dalla
doppia vita. Ai suoi sogni per una storia diversa, pulita. Soprattutto non
squal lida. E ora si trovava alle prese con un marito probabilmente puttaniere,
certamente non più innamorato. Svogliato a letto e incap ace di riprendere in
mano il loro rapporto.

E rivide Giulio. Così ingenuo, così travolto dagli avvenimenti. Da quella
prima, esitante telefonata con cui aveva risposto al suo annuncio. Giulio, così
buono dentro, ma anche fragile.
Così “cliente per caso”. Gli aveva voluto subito bene, avev a d ovuto tenerlo a
distanza. Lei era quella “forte”. Che poneva i limiti, conduceva la danza,
concedeva e negava. Lui seguiva. Avrebbe accettato qualsiasi cosa da lei.
E così, aveva dovuto prendersi anche la responsabilità di decidere quando era
il momento di staccare la spina. Perché amarlo era un lusso che non poteva
permettersi.



Fingend o di control lare la sacca del catetere, Simona diede ancora uno
sguardo a quel pisello, singolarmente dotato di prol unga. “Non credevo che
avesse un 18”, pensò, ridendo fra sé.
«Incido», disse Saverio, sicuro. E la lama aprì un solco nell’addome
dell’uomo.

“La bella pancia di Giulio, è un po’ ingrassato ora…”, pensò l’infermiera,
rivedendosi a caval cioni su di lui, la sua posizione preferita. Ormai era sicura
che fosse lui. E si concesse anche il lusso di guardare Saverio concentrato
dietro alla mascherina senza arrossire.
Ma dentro un turbine la scuoteva. Era come se avesse aperto una porta chiusa
da tempo. Una sua vita paral lela di cui ovviamente il marito non sapev a null a,
ma che anche lei credeva aver dimenticato.


* * *

È un bel giorno di primavera. Giulio guida nervoso, quasi sbatte contro la
sbarra uscendo dal parcheggio del motel. Sono passate esattamente due ore
da quando vi è entrato ed è più l eggero di alcuni bigliettoni. Ma, quel che più
conta, ha una brutta sensazione sul la pelle.
Il sesso con Simona è stato bell issimo come al solito. Passionale, ben fatto
godibile. Sono una coppia affiatata, ormai, e quelle due ore sono state belle
per entrambi. Di questo è sicuro.
Non è quello il problema.
“Sono uno stupido. Stupido stupido stupido”, si ripete l’uomo. “Come ho fatto
a pensare che ci fosse altro?”.
Per carattere e per abitudine professionale, Giulio ammette difficilmente di
avere torto. Piuttosto preferisce provare a rigirare la realtà a suo favore.
L’imputato è innocente fino a prova contraria. C’è sempre una possibilità fino
alla sentenza del giudice.
“E la sentenza è arrivata”, rimugina.
È un suo vezzo, una sua reazione davanti ai problemi. Ne fa l’analisi ad alta
voce. Si fa domande e si dà risposte.
«Da cosa pensavi che non fosse solo un rapporto escort-cliente?».
«Dal feeling, da come ridevamo, dal tempo passato insieme».
«E non ti è mai venuto in mente che potesse essere tutta una finzione? Ben
recitata, ma pur sempre finzione?».
«Mi oppongo, vostro onore, il collega cerca di influenzare il teste!».
«Obiezione respinta. Risponda».
«Credevo, volevo credere che fosse così. Era così!».
«Sei un uomo sposa to, hai una buona posizione, un buon matrimonio. Che
cosa ti ha spinto in questa a vventura?».


«Forse… volev o sentirmi ancora uomo, sed uttore, cacciatore. Un uomo, a
quarant’anni è estremamente fragile. E una ragazza, a venticinque,
estremamente p otente».
«E quando hai capito di esserti sbagliato?».
«Quand o ho cercato di baciarla. E lei mi ha respinto. Oggi».

Giulio scoppia a piangere come un bambino a cui sia esploso un pal loncino.
Stringe il volante con entrambe le mani. Chiude gl i occhi al semaforo,
lasciand o passare il verde e i clacson nervosi degli altri automobilisti.
È travolto dalla sua stessa fragilità.


* * *

«Simona, stasera faccio tardi».
L’infermiera si voltò di scatto sentendo la mano del marito sulla spalla. Da
donna attenta ai dettagli qual era, notò subito un filo di incertezza nella voce e
una eccessiva durezza nella stretta.
«Lavoro?».
«Già».

Una barella traballante, spinta a grande vel ocità d a un portantino
centometrista, li costrinse a separarsi per un attimo. Il tempo sufficiente p er
prendere due direzioni diverse lasciando dietro le spalle un «ciao» poco
convinto.

“Pallista”, si disse la donna. “Sarai a scoparti qualche collega. Li conosco gli
uomini”.
Prese il corridoio a passi veloci, nervosi.
Spinse la porta antipanico.
Scese le scale.
Entrò nel lo sp ogliatoio dei paramedici.
All’armadietto di fianco al suo Simona ritrovò Elena che prendeva la borsa e il
cellulare.
«Simo, che faccia! Qualcosa che non va?».
«No, bene. Bene. Sì, bene».
«Capito, non starai pensando ancora al pisello di oggi? Sei proprio affamata!
Dai, vado. A mercoledì».

Simona afferrò il collo del camice e prese a sfilarlo.
Si bloccò.
Scosse il cap o.
Uscì dallo spogliatoio.
Percorso inverso.


Scale.
Corridoio.
Reparto solventi.

“E se non fosse lui?”.
“E se mi sono sbagliata?”.
“E se non volessi rivederlo?”.
“Ecco, è questa la d omanda”.

Stanza 209.
Letto 4.
Un tuffo al cuore.
Un po’ invecchiato. Bianco per l’operazione.
Addormentato.
Ma lui.
Lui.

Un vul cano esplose nel la sua mente. Un terremoto che le fece perdere
l’equilibrio. Lapill i di ricordi si abbatterono su di l ei, incenerendo la poca
serenità residua.
Lo sapeva, l o avev a sempre saputo, che lo teneva distante non per allontanare
lui da lei, ma lei d a lui. Non per proteggersi ma per proteggerlo.

Era una necessità del suo l avoro. Una scelta obbligata e costosissima che
aveva dovuto compiere.
Ogni “no” che gli aveva detto era uno strappo dentro. Ma era anche il prezzo
della loro libertà. Fino al l’addio definitivo, che non aveva nemmeno voluto
comunicargl i.

Sapeva che lui le aveva vol uto bene d avvero. E anche lei a lui, in fondo.
Era sicura che l ui l’avesse ancora cercata. Ma tutto ciò che le restava era
quella sua mail, l’ultima prima che chiudesse anche l’account hotmail: «Sei
come un oceano in burrasca, e io così fragile non so come non aggrapparmi a
te, mia unica scialuppa. Ma forse verrà un giorno in cui le parti si invertiranno
e tu verrai in cerca di me. Quel giorno spero di esserci e di aprirti le mie
braccia».

«Scusi? Sono la moglie di Giulio Mandelli. Posso vederlo?».
Dop o il vulcano, l’iceberg.
Simona restò impietrita, come se fosse stata sorpresa in flagrante adulterio.
Poi si ricord ò che, vista con gli occhi d ella moglie, la situazione era molto più
ordinaria: un malato appena operato assistito da un’infermiera.
«Certo», balbettò.



La donna si avvicinò al letto. Camminava piano, timorosa di rompere
qual cosa. Si chinò sul marito e gl i appoggiò un bacio lieve sulla bocca.
Una carezza sul vol to.

Si voltò verso Simona.
Una lacrima le scendeva sulla guancia.
«Come sta?».
«Bene, direi bene. L’operazione è stata più semplice del previsto».
«Lei non sa che spavento mi sono presa! Ho pensato di perderlo…».

Scoppiando a piangere, la donna abbracciò d’istinto Simona, decisamente a
disagio.
«Mi scusi… M i sono lasciata andare. La tensione, sa. È che… vede, ci vogliamo
così bene. Ne abbiamo passate tante! Oddio, mi scusi se mi sfogo così. E non
ci conosciamo neanche!».

Una guerra si stava combattendo nel cuore dell’infermiera. Fuggire, come
sarebbe stato saggio in un tale frangente? Restare, come l ’istinto suggeriva?
Era donna istintiva. Restò.
«Si figuri, la capisco», rispose poco convinta delle sue stesse parole.
Le due donne si sedettero sul divanetto della camera (lusso del reparto a
pagamento) con quella simmetria che generalmente rivela anche una sintonia
interiore.

«È strano, sa? Quando si vuole bene a un uomo per tutta una vita. E si è
lottato per tenere insieme il rapporto. E proprio quando ti sembra che le cose
stiano andand o finalmente bene… be’ lui rischia di lasciarti lì sola».
Simona deglutì. La donna le aveva preso la mano. E nulla sembrava arrestare
quella confessione ispirata dalla paura della morte.
«Vede, c’è stato un momento, una decina d’anni fa, in cui lo sent ivo così
lontano, credevo avesse un’amante, che stesse per lasciarmi. Un giorno l o
vedo tornare a casa sconvol to. Mi sono detta “ci siamo. Se ne v a”. È stato
arrabbiato per una settimana, e poi una mattina mi ha baciato e mi ha det to:
“Ho capito una cosa, forse tardi. Ti amo come non ho mai amato nessuna
donna”. Da l ì è iniziata la nostra ripresa».

«Ctt ctt… mmmmmm…».
La voce prov eniva dal letto 4.
Le due donne si voltarono di scatto.
La moglie scattò in piedi.
L’infermiera reagì con minore rapidità.

«Il catetere… mi fa mal e il catetere», ripeté l’uomo con voce impastata.


«Giulio!», esclamò emozionata la moglie. «C’è qui l’infermiera. Adesso te lo
rimette a posto…».
Poi voltandosi verso il divanetto, ormai vuoto:
«Signorina?
Signorinaaaaa?».

Osservò stupita la stanza e la porta socchiusa della camera 209.
«Oddio, che stup ida! Forse ci v uole un infermiere uomo per queste cose…».