*****ROXY E' TORNATA!

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Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

mercoledì 22 aprile 2009

REGALO DI NATALE


L'appartamento in cui vivevo era situato al secondo piano di un modesto condominio in Via Efklias, al Pireo, l’immenso porto commerciale e turistico della capitale ellenica.Mi ero trasferito in quelle poche stanze quasi cinque anni prima, dopo aver lasciato definitivamente la casa dei miei genitori ad Atene.Avevo scelto di abitare al Pireo perchè mi è sempre piaciuto sentir fluire attorno a me la frenetica attività di un porto di mare, il miscuglio incredibile di razze e di persone che lo vivevano, quell'eterno andirivieni di uomini e donne che partivano e che arrivavano, per vacanza o per affari.Mi piaceva passeggiare nel caos indescrivibile delle sue vie, sentire il suono penetrante delle sirene delle navi che entravano o uscivano dal porto, annusare l'odore salmastro del mare mischiato agli scarichi delle migliaia d’auto e camion bloccati nelle strade in un perenne e caotico ingorgo, scrutare nelle tipiche taverne malfamate che erano il dopolavoro di marinai e facchini.Il porto del Pireo (Pireàs, per noi greci) è l'ultima porta d’uscita dell'Europa verso l'Oriente, e la prima porta d’entrata dall'Oriente in Europa.E' una disordinata, pazzesca, isterica ma meravigliosa zona di confine fra culture e religioni così diverse, tra abitudini ed usanze lontane, ma, allo stesso tempo, straordinariamente vicine.Il Pireo è il Pireo.E solo chi vi è stato può capire fino in fondo quanto io sto dicendo.A quel tempo lavoravo in banca, ad Atene, e la sera, prima di rientrare a casa, m’immergevo, passeggiando lentamente, in quel folle caos d’umanità accaldata ed indaffarata, sentendomi parte di quella babilonia di lingue e di odori. Poi, nella quiete del mio appartamento, tornavo ad essere quella persona solitaria e silenziosa che fondamentalmente ero stato sin dalla nascita.Il rapporto con la mia famiglia non era mai stato idilliaco.Forse un vero e proprio rapporto non c'era mai stato. O forse, a causa della malattia che avevo contratto in tenera età, mio padre e mia madre avevano visto in me il figlio meno riuscito dei tre che avevano avuto, quello di cui andare meno fieri, quello che, negli anni, aveva rappresentato più un fastidio che una gioia.La poliomielite mi aveva lasciato una gamba più magra e più debole dell'altra (la mia "gamba matta", così l’avevo sempre chiamata), precludendomi tutte le varie attività sportive e ricreative che un bambino prima, e un ragazzo poi, era solito fare: giocare e correre con gli amici, tirare calci ad un pallone, ballare alle feste con le ragazze.Mio fratello e mia sorella, invece, per loro fortuna belli e sani, erano la luce degli occhi dei miei che a me, forse anche inconsciamente e senza cattiveria, riservavano, il più delle volte, sguardi di pietà e compassione.Sia quel che sia, il risultato di quegli anni era stato un uomo insicuro e fragile, chiuso in se stesso e ampiamente deluso dalla vita.E’ vero che mi piaceva la confusione della gente e il movimento caotico nelle strade, ma osservavo tutto sempre con estremo distacco, senza mai sentirmi veramente parte integrante di quello che mi circondava.Perché, in definitiva, io mi sentivo solo, disperatamente solo.Avevo 34 anni e la mia vita andava avanti così, piatta come il mare d’agosto, con pochi amici veri, e con poche, pochissime donne.Già.Le donne. Anche quello era stato un altro grande problema da affrontare.Parliamoci chiaro: anche l'occhio vuole la sua parte, ed io, all'occhio femminile, non è che abbia mai offerto un grande spettacolo, con il mio fisico di certo non atletico e la mia andatura perennemente claudicante.A dir la verità, avevo avuto una sola vera storia sentimentale di una certa importanza.Quella volta che mi ero innamorato, a ventitrè anni, avevo creduto che la mia vita fosse sul punto di cambiare in modo radicale: avevo toccato il cielo con un dito, e sentivo che il futuro sarebbe stato molto più interessante e promettente del mio squallido ed insignificante passato.Lei si chiamava Anna, una mia coetanea, studentessa di filosofia all'università d’Atene: con lei avevo instaurato un rapporto affettivo per me molto appagante, ed i progetti per il futuro, dopo quasi due anni di frequentazione, sempre più spesso mi tenevano la mente occupata.Credevo proprio di aver incontrato la ragazza giusta, e con la quale mettere su famiglia.Ma tutti i castelli che mi ero fatto in testa crollarono miseramente la sera in cui Anna mi comunicò, e senza alcun preavviso, che si sentiva confusa e che era indecisa sul reale sentimento che provava per me, anche perchè un suo collega di corso le faceva la corte, e che, quindi, aveva bisogno di tempo per pensare, per riflettere sul nostro rapporto.Evidentemente la sua confusione era così grande che immagino lei ci stia ancora pensando.Dopo qualche patetico tentativo, da parte mia, di salvare i cocci di quella relazione, Anna sparì dalla mia vita, e non la vidi mai più.E fu così che restai sepolto sotto le macerie di quell’amore sfortunato.Mi ritrovai nuovamente solo, convinto sempre di più che uno come me era destinato alla solitudine, e che, a questo mondo, si nasca con un destino già segnato, scritto da una mano invisibile che a noi non è data conoscere.E gli avvenimenti che poi andarono a verificarsi testimoniano come sia il fato a muoverci come semplici pedine sulla grande scacchiera della vita.La sera di quel mercoledì di fine ottobre, dopo l’ufficio, andai allo stadio a vedere una partita di coppa dell'Olympiakòs.Il calcio è sempre stata una mia grande passione: pur non avendolo mai potuto praticare per via della mia “gamba matta”, sono stato sempre un grande appassionato di questo sport, e acceso tifoso della più importante squadra del Pireo. Andavo allo stadio con alcuni colleghi della banca, e queste uscite rappresentavano l'unica parvenza di vita sociale che avevo al di fuori del lavoro.Per evitare il caos del fine partita, ero solito parcheggiare la mia auto in una strada piuttosto lontana dallo stadio. A dispetto della mia "gamba matta", sono un discreto camminatore: anche se lentamente, ho sempre camminato volentieri, e con una notevole resistenza alla fatica.E quindi, anche quella sera, salutati i miei colleghi al termine dell’incontro, tutti abbastanza depressi per l’ennesima sconfitta rimediata, mi avviai a piedi ed in tutta tranquillità verso la mia auto.Mi trovavo lontano dallo stadio e, vista l'ora tarda della sera, non vi erano molti pedoni, quando, passando di fronte ad un portone buio, sentii due voci discutere animatamente.Incuriosito, voltai la testa, e intravidi un uomo urlare con fare minaccioso verso una ragazza, e quindi colpirla con un sonoro ceffone.La donna barcollò, indietreggiando e addossandosi ad un muro, portandosi una mano alla guancia colpita.Non sono mai stato un cuor di leone, per carità, ma in certe situazioni non si può restare indifferenti a ciò che accade attorno a noi.Mi avvicinai dunque all'uomo, che ancora imprecava letteralmente inferocito, e gli afferrai il braccio che si era nuovamente alzato per colpire una seconda volta la donna.L’energumeno si voltò verso di me come una furia e, stravolto dall'ira, abbaiò:- E tu che cazzo vuoi ? - .Il suo viso era una maschera di rabbia, di certo accentuata da quel mio improvviso intervento.- Ma non si vergogna a dare uno schiaf... - .Il pugno mi arrivò diretto, sparato in piena faccia con una forza terrificante: la "gamba matta" non resse il mio peso e, sbilanciato, caddi goffamente all'indietro, andando lungo sul marciapiede.Il dolore mi accecava e la testa sembrava sul punto di esplodermi, ma ugualmente cercai di rialzarmi per tentare di far ragionare quell'indemoniato.Quando, con molta fatica, riuscii a rimettermi in posizione verticale, lui se ne era già andato, dileguandosi nella notte.Accanto a me era rimasta solo la ragazza, che mi guardava preoccupata.- Si è fatto molto male ? Le sanguina uno zigomo... mi dispiace che a causa mia... -.Nei suoi occhi leggevo il senso di colpa che lei provava.Presi il fazzoletto e mi tamponai la ferita.- No, credo di no, a parte questo taglio - le dissi guardandola in viso, la testa che ancora mi girava vorticosamente.Era una ragazza minuta, sui venticinque anni, un caschetto di capelli neri e lisci, un viso dall’ovale perfetto e due occhi scuri e meravigliosi, anche se truccati in modo pesante e volgare.- Ma cosa diavolo voleva quel tipo da lei ? -.La ragazza mi guardò e, dopo un attimo di silenzio e d’imbarazzo, rispose alla mia domanda.- A volte, i clienti cercano di fregarti sul prezzo, o magari ti richiedono prestazioni particolari. Se rifiuti, si infuriano e... e in qualche caso fanno anche di peggio... -.La ragazza era una prostituta. Quella realtà mi colpì con forza, convinto come ero stato di avere assistito ad un semplice litigio fra innamorati, ad una scena di gelosia che aveva superato il livello del consentito.Si trattava, invece, di una prostituta che veniva picchiata da un cliente per chissà quale schifosissima ragione.Restai senza parole, non sapendo cosa dirle, il fazzoletto premuto sulla ferita che ancora sanguinava.- Grazie - mi disse ancora la donna - spero proprio che, a parte il taglio sul viso, non si sia fatto altro di serio. Grazie per il suo intervento... -.Con un accenno di sorriso, lei si allontanò velocemente.La seguii con lo sguardo scomparire nella notte.Mi chiedevo che razza di vita fosse quella che conduceva la ragazza, una vita che presupponeva non solo l'accettazione dello sfruttamento del proprio corpo, ma anche la capacità di convivere con la violenza ed il pericolo.Ancora un pò stordito per il colpo ricevuto, raggiunsi lentamente la mia auto e tornai a casa.Qualche giorno più tardi, dopo essere rientrato a casa dal lavoro e aver finito di cenare, mi ero messo a guardare un vecchio film in tv, sbadigliando a ripetizione, annoiato a morte.Gli occhi erano fissi sulle immagini dello schermo, ma la testa vagava per ogni dove. E, a forza di vagare, mi ritrovai a ripensare alla ragazza che avevo incontrato quella sera e al cazzotto che mi ero beccato.Rivedevo con la mente la rassegnazione che avevo letto sul viso di quella donna, quasi che episodi di quel genere fossero, in definitiva, per lei la normalità, la drammatica consuetudine in una vita così diversa dalla mia.Pensavo a tutto questo, ma in realtà pensavo a lei. Al suo viso. Ai suoi occhi.Alla sua voce. Volevo rivederla, questa era la verità.Contro ogni logica, avendola incontrata per caso e solo per pochissimi minuti, ma sentivo la mancanza di quella ragazza.Lentamente sentii crescere in me questo desiderio assolutamente irrazionale: guidato da sensazioni a me fino ad allora estranee, mi alzai dal divano, spensi il televisore, afferrai la giacca, ed uscii di casa, nella notte.Percorrevo con l'auto a velocità ridotta la strada dove l'avevo incontrata qualche giorno prima, scrutando nel buio, a destra e a sinistra, ma di lei non c'era alcuna traccia.Avevo notato altre due o tre prostitute (una si era alzata anche la corta gonna che indossava, scambiandomi per un potenziale cliente), ma su quella strada lei non riuscivo a vederla.Frustrato, certo ormai d’averla persa, e dandomi dell’idiota per quella mia insolita follia, presi una traversa a destra per raggiungere la via parallela e tornare indietro, quando, sotto un lampione, finalmente la vidi.Era sicuramente lei, con minigonna e stivali, segno inequivocabile della sua professione.Mi accostai al marciapiede e la ragazza si avvicinò subito al finestrino che avevo nel frattempo abbassato.- Ciao bello, andiamo ? - mi chiese tutta sorridente.Il cuore mi andava a mille e l’imbarazzo quasi mi soffocava.- Ehm... bè... a dire il vero... volevo solo sapere se l'altra sera... aveva avuto altri problemi... con quel tipo... - risposi, decisamente impacciato.Per un attimo lei sembrò non mettere a fuoco la mia faccia, poi mi riconobbe e, di nuovo sorridente, mi disse: - Oh... è lei ! -.Restammo a guardarci senza sapere bene come continuare quell’insolita conversazione.Fu la ragazza a rompere quel velo d’imbarazzo che si era fra noi frapposto. - Si, la ringrazio. E' andato tutto bene dopo il suo intervento... - .Avrei dovuto salutarla, e andare via. Che altro ci facevo io in quella strada ? Cos’altro avrei avuto da dirle, se non qualche vuota parola ? Era una pazzia, lo sapevo per certo. Ma non mi mossi. Restai a guardarla senza sapere più cosa inventarmi.Il silenzio, tra noi, si era fatto quasi fastidioso.Fu lei, come prima, a prendere l’iniziativa.- Senta - proseguì la ragazza - facciamo così. Io prendo ottomila dracme per un lavoro di bocca. Ma siccome lei è stato gentile con me, facciamo cinquemila e così mi posso sdebitare per l'altra sera. Va bene ? -.Rimasi allibito. Cioè, non pensiate che fossi offeso o che altro: ma cavoli, io ero passato solo per accertarmi che lei stesse bene (almeno così volevo ostinarmi a credere) e mi sentivo offrire (e con uno sconto, per giunta !) un pompino !!Lei notò la mia espressione, e si ritrasse, evidentemente convinta che non avrei accettato la sua proposta.Ebbi un tuffo al cuore: forse non ero venuto solo per controllare come lei stesse. Non volevo che la serata finisse così, che la ragazza se ne andasse un’altra volta, e che uscisse definitivamente dalla mia vita, ancora prima di esservi entrata.No. Non volevo che questo succedesse.- Prego, salga - le risposi con una voce che non riconoscevo più come la mia.E così lei era salita in auto e mi aveva indicato la strada per raggiungere un vecchio molo abbandonato lì vicino, il luogo buio ed isolato dove lei era evidentemente solita appartarsi con i clienti.Arrivati, spensi il motore e le luci della macchina e mi voltai a guardarla.- Come lei ha potuto vedere l'altra sera, nel mio lavoro incontro persone di tutti i generi. Non si offenda, la prego, ma il pagamento deve avvenire in anticipo -.La guardavo, e volevo dirle che non l'avevo cercata per farmi fare un pompino: volevo dirle che in vita mia non ero mai stato con una puttana, e che una ragazza bella come lei non si doveva buttare via così...Volevo dirle questo ed altro, ma le parole non mi venivano.Presi i soldi dal portafoglio e li misi nella sua mano. Lei li fece sparire nella minuscola borsetta che aveva e, sempre sorridendo mi disse: - Le farò un lavoretto speciale. E' giusto che io la ringrazi -.Prima che potessi dire qualcosa, ammesso che ne fossi stato capace, le sue mani mi slacciarono velocemente i pantaloni, scostarono gli slip e me lo tirarono fuori.Ero nel pallone più totale: imbarazzato come poche volte mi era capitato, probabilmente rosso come un peperone, ero però, mio malgrado, anche eccitato da quella situazione strana, ma, per me, altamente erotica.La piega che aveva preso la serata era decisamente sconcertante, ma, inutile negarlo, m’intrigava alquanto.D’altronde, lei era una ragazza troppo bella perché io, volente o nolente, non subissi il suo fascino, e il fatto che fosse una prostituta non riusciva a stemperare l’eccitazione che mi aveva pervaso.Con movimenti rapidi, e quasi senza che me ne accorgessi, la ragazza m’infilò un profilattico sul pene già incredibilmente eretto.- Come ti chiami ? - mi chiese lei, passando al tu.- Manoli. Mi chiamo Manoli. E tu ? -.- Caterina. Lo so, un nome schifoso. Ma non siamo noi a scegliere come chiamarci... " mi rispose, abbassando la testa verso il mio pene.Senza alcuna esitazione, Caterina lo prese in bocca, iniziando a succhiarlo e a far scivolare le labbra sulla sottile pellicola del profilattico. La mano stretta attorno alla base, la ragazza succhiava e leccava con impegno, ma ovviamente, visto il lavoro che faceva, senza alcuna partecipazione emotiva.Non è che fossi un grande esperto in pompini, tutt’altro, ma il mio corpo mi disse che lei ci sapeva fare. Anche se teso e nervoso, non certo a mio agio in quel frangente così insolito, venni in pochissimo tempo.Caterina si rialzò, riaccomodandosi sul sedile dell'auto.Ero esterrefatto. Avevo goduto come non mi ricordavo di avere mai fatto in vita mia.La ragazza si aggiustò i capelli e mi disse: - Dai, ora riportami indietro -.Evitando di guardarla, mi sfilai il profilattico, lo misi nel portacenere del cruscotto, mi detti una rapida ripulita con il fazzoletto e mi richiusi i pantaloni.Pochi minuti dopo lei scendeva sotto il lampione dove l’avevo incontrata.- Ciao Manoli, e grazie ancora per l'altra sera - mi disse dal finestrino.- Ciao Caterina - le risposi - e...volevo anche dirti... -.- Si ? -.Avevo la gola secca, e le parole sembravano carta vetrata.- Bè... volevo dirti che... il tuo nome... Caterina... non è per niente brutto... a me piace... -.La ragazza scoppiò a ridere del mio evidente imbarazzo e, salutandomi con la mano, si allontanò dall'auto.Le doveva accadere molto spesso che qualche cliente potesse credere di essersi innamorato di lei: c’erano sicuramente quelli che diventavano violenti, e che la picchiavano o la insultavano, ma anche quelli che, come me, si comportavano come adolescenti al primo appuntamento.Per Caterina era certamente routine.Ma non per me.Tornai a casa, confuso e pensieroso, pensando a lei e a quello che era successo in quella folle notte.Alcuni giorni più tardi mi resi conto definitivamente che Caterina stava entrando sempre più nella mia vita. Era un qualcosa che sentivo nel mio animo, ma che cercavo di tenere nascosto anche a me stesso.Sapevo che stavo imboccando una strada pericolosa e senza uscita: io, uno zoppo e dal fisico non certo attraente, che mi stavo innamorando di una puttana...Non ne poteva uscire nulla di buono.Ne ero consapevole. A tutti i costi dovevo impormi di non cercarla più.E così feci, quasi usando violenza a me stesso, per alcune settimane.Ma poi, quel giorno...Era un sabato pomeriggio di fine novembre e passeggiavo per Akti Miaoli osservando, come al solito, il caos che mi circondava.I marciapiedi erano invasi da centinaia di persone, e la strada era un unico fiume d’auto, camion e motorini.Ad un tratto, davanti a me, a non più di una quindicina di metri, vidi improvvisamente Caterina. Stentai quasi a riconoscerla, perché non era vestita con quegli abiti provocanti che le avevo visto indossare la sera che ero andato a cercarla; quel sabato pomeriggio la ragazza portava un semplice paio di pantaloni grigi, con sopra una camicia bianca ed una felpa azzurra.Mi bloccai sul marciapiede, mentre gli altri passanti mi superavano indaffarati e spazientiti: non volevo, nel modo più assoluto, che lei mi vedesse, e che potesse restare imbarazzata dall’incontro.Anche perché...Di fianco a lei, mano nella mano, camminava un bimbo di tre o quattro anni, che stava mangiando, estasiato, un grosso cono gelato.Quasi mosso da una volontà superiore, iniziai a seguirli, anche se a debita distanza.Ad un tratto vidi Caterina fermarsi, quindi piegarsi sulle ginocchia e, con un fazzoletto di carta, pulire le labbra del piccolo, con un gesto carico d’inequivocabile e straordinario amore materno.Caterina sembrava essere un'altra persona. Non è esatto dire che sembrava: era un'altra persona.Senza un filo di trucco e senza apparire provocante in alcun modo, la ragazza era ancora più bella di come la ricordavo.Il mio cuore aveva preso a battere all'impazzata, e tutti i buoni propositi che avevo fatto nelle settimane precedenti, e cioè di evitare accuratamente di illudermi di poter avere una relazione con lei, si dissolsero all’istante.Senza farmi vedere la seguii ancora per un tratto di strada, fino a che la ragazza ed il bimbo giunsero di fronte ad un bar, dove erano state collocate alcune giostrine a gettoni per bambini.Caterina prese il figlio in braccio e lo mise seduto su un cavalluccio bianco e nero: quindi inserì la moneta nell’apposita fessura, e il bimbo iniziò un lento trotto, ridendo eccitato, mentre la musica di un qualche cartone animato si diffondeva nell’aria.Il cavalluccio trottava mentre il mio cuore galoppava sempre più rapido.Rimasi a guardarli a lungo, nascosto dietro un cartellone pubblicitario, terrorizzato all’idea che lei mi potesse scoprire.Quella sera resistetti, non so nemmeno io come, alla voglia di andarla a cercare, di andare a chiederle perchè mai buttasse via così la sua vita: le avrei voluto domandare come riuscisse ad essere così amorevole con suo figlio di giorno e poi, di notte, ad accompagnarsi con uomini per denaro, vendendo il suo corpo e la sua dignità di donna e di madre.Resistetti.Mi tormentai per ore, ma non andai a cercarla. Quella sera.Ma la sera successiva ero in auto alla sua disperata ricerca.Sarei stato male se non l’avessi vista.La trovai due lampioni più in là rispetto alla volta precedente, ma la trovai.E questa volta Caterina mi riconobbe subito.- Ehi, ma allora sono stata brava ! - mi disse ridendo.- Vuoi salire ? - le chiesi timoroso, perdendomi nei suoi occhi.- Certo, mi piace lavorare con persone educate e gentili come te -.Lo stesso molo dell'altra volta.Anche se quella sera, ve lo garantisco, non avrei voluto fare del sesso con lei. Avevo solo bisogno di starle vicino.Ma Caterina si sarebbe meravigliata di questo mio comportamento, e magari avrebbe iniziato a considerarmi un tipo strano, con il quale evitare di accompagnarsi.Avrebbe potuto decidere di non venire più con me.Ma io non volevo che lei me lo rifacesse con la bocca. Mi sarebbe sembrato di umiliarla, di calpestare la sua dignità, di approfittare di lei.Fu per questo che mi decisi a scegliere il male minore.Pagai Caterina per un " lavoretto di mano " (come lei lo chiamava), e lei, sempre senza perder tempo, m’infilò il profilattico e prese a masturbarmi.La sua mano scivolava sul mio pene con movimenti ritmici, ora lenti, ora veloci, rudi e delicati allo stesso tempo.Il suo profumo m’inebriava, facendomi girare la testa.Venni velocemente anche questa volta, eccitato e smarrito da quello che mi stava capitando.Mentre mi ricomponevo, trovai finalmente il coraggio, e le chiesi: - Posso farti una domanda ? -.- Certo - fece lei, guardandomi negli occhi.- Perchè fai questa vita ? Perchè la butti via così ? Certo, i soldi, lo capisco. Ma esistono altri lavori, altre opportunità. Insomma, una vita più pulita e rispettabile, senza correre inutili rischi. Sei una donna troppo bella per vivere in questo modo -.Lei continuò a guardarmi, ora però con espressione dura e seria, un’espressione che non le avevo mai visto sul volto.Con un lampo di risentimento negli occhi, e in tono aggressivo, mi rispose: - Perchè mi piace, mi piace guadagnare tanti soldi, togliermi tutte le voglie che ho, comprarmi vestiti e profumi. Non ho nessuno che pensa a me da troppi anni; me la devo cavare da sola. E questo è il modo più semplice per sopravvivere. Soddisfatto ? -.Questa risposta, cruda e rabbiosa, mi lasciò di sasso. Non poteva essere così: sotto quella maschera che indossava ci doveva essere per forza un'altra Caterina.Lo sapevo. Lo sentivo. L'avevo visto con i miei occhi.Non sapevo cos’altro dirle.Il silenzio che era sceso tra noi era ostile e fastidioso.- Adesso riaccompagnami - disse lei bruscamente, girando la testa dall’altra parte.Girai la chiavetta e misi in moto l’auto.Avevo sbagliato tutto, e lei aveva frainteso le mie reali intenzioni.Era tutto finito, andato in malora per la mia indelicatezza.Poi, di slancio, le presi la mano, stringendola tra le mie.- No... no, Caterina... non ci credo. Ti ho vista con tuo figlio, un paio di giorni fa. Eri una mamma, bella e felice. Eri una donna che dalla vita non vuole vestiti e profumi. Tu non sei quella che dici di essere... - .Mi guardò e, con un singhiozzo, la sua maschera cadde rovinosamente.La ragazza scoppiò in lacrime. E, piangendo disperatamente, mi raccontò tutto.Veniva da Larissa, dove era nata ed aveva vissuto con la sua famiglia; a vent’anni era rimasta incinta di un suo coetaneo che, appena saputa la cosa, si era volatilizzato.Il padre voleva farla abortire, ma lei sentiva che non lo avrebbe mai fatto, che non si sarebbe mai liberata di quel figlio che sembrava essere il frutto del peccato.E allora i genitori, visto il suo caparbio rifiuto, l'avevano cacciata, per la vergogna di avere una figlia che si era fatta mettere incinta prima del matrimonio.E Caterina, allora, si era trasferita ad Atene, presso una vecchia parente della madre, che l'aveva ospitata, anche se di malavoglia, fino al momento del parto; lei si era anche trovata un lavoro di qualche ora in un negozio di frutta, ma quando i proprietari si erano accorti che aspettava un bambino l'avevano licenziata su due piedi.Una volta nato il piccolo Dinos, l'anziana parente divenne ancor più insofferente per l'inevitabile confusione che un neonato comporta, e Caterina si era vista costretta ad andar via e a trovarsi un’altra sistemazione. Ora erano tre anni che stava in una camera in affitto, presso una donna che la sera si prendeva cura di Dinos.Aveva provato a cercare un altro lavoro, ma gli orari non coincidevano mai con la necessità di seguire il figlio, e così si era ritrovata sulla strada, per necessità non di vestiti ma di pannolini, non di profumi ma di latte in polvere, non di lussi per se stessa ma di qualche giocattolo per il suo piccolo.Faceva la puttana per poter fare la mamma.Caterina parlava e piangeva. Il suo era un pianto straziante, il pianto di un'anima ferita e calpestata dalla vita, il pianto di una donna che dava via la sua vita, la sua salute e la sua dignità per poter crescere il figlio.Quando la lasciai si era calmata un pochino.Guardandomi con occhi ancora umidi di pianto, il pesante trucco disfatto, mi disse:- Grazie. E' destino che io ti debba sempre ringraziare. Avevo bisogno di parlare con qualcuno. Tu, con la tua dolcezza, appartieni a quella parte di mondo che non ho mai incontrato. Sei buono e gentile, ma ti prego: non mi cercare più. Lasciami stare. La mia vita è questa e nulla la potrà mai cambiare -.Stavo per dirle che no, potevamo cambiare tutto, che noi, sfortunati e delusi dalla vita, avevamo diritto ad una speranza, ad un futuro diverso e migliore.Ma lei mi chiuse la bocca con un bacio, solamente un lieve e morbido sfiorarsi di labbra, poi aprì di scatto la portiera e fuggì via nella notte.Non tornai per quasi un mese da Caterina.Per paura, per vigliaccheria, perchè incapace di decidermi, timoroso di infastidirla e di perderla per sempre.Tutte le sere mi tormentavo nella mia battaglia interiore.Volevo andare da lei, per parlarle, per farle una carezza, perchè l’amavo. Sì. Amavo Caterina con tutto me stesso, e nulla mi sembrava più bello.Ma sempre mi bloccavo, per timore di essere rifiutato, per la preoccupazione di scoprire che per lei ero stato solamente una semplice valvola di sfogo, un qualcosa magari anche di piacevole, ma da dimenticare, e in tutta fretta, il giorno successivo.Mi limitai a spiarla un paio di volte quando era con suo figlio, nascosto dietro ad un’auto o ad un angolo di qualche palazzo.Nascosto come l'amore che sentivo crescere sempre più per lei.Ma, alla fine di tutti quei miei tormenti, il coraggio di tornare da lei lo trovai.Mancavano due giorni a Natale. Era una serata invernale, insolitamente fredda e piovosa.Da mezz'ora giravo con l'auto, cercandola disperatamente.Le strade erano deserte e inzuppate di gelida pioggia.Guardavo ansioso sotto tutti i lampioni, negli androni scuri dei palazzi, davanti alle saracinesche chiuse dei negozi.Ma lei non c'era. Mi fermai scoraggiato nel punto dove l'avevo vista la prima volta, dove quel bastardo l'aveva picchiata, mentre la pioggia scrosciante tamburellava sul tetto dell’auto.Pensai che lei non fosse venuta per la pioggia e per il freddo, o magari perchè il bambino aveva la febbre, e Caterina non si era sentita di lasciarlo in mani estranee.Cercavo affannosamente una spiegazione plausibile, che mi consolasse da quell'angoscia gelida che mi straziava l’anima.E se avesse cambiato zona ? E se le fosse successo qualcosa ?Ero alla disperazione. Avevo bisogno di lei, solamente di lei.All'improvviso, quando le prime lacrime già mi scorrevano sulle guance, sentii un lieve bussare al finestrino, e lei era lì, un’apparizione sotto la pioggia che si stava trasformando in diluvio.Aprii la portiera e Caterina salì in macchina.Era bagnata ed infreddolita come un cucciolo sperduto.- Ti avevo detto di non tornare, no ? - mi disse tutta seria.Ma poi il suo viso si allargò in uno splendido sorriso. Forse era contenta anche lei di rivedermi.- Caterina... io dovevo rivederti... desideravo troppo stare ancora con te. Perdonami, ma non ho resistito più a lungo - le risposi, con un filo di voce e soffocato dall'emozione.E proseguii: - Senti, stasera fa freddo... ti prego, vieni a casa mia... ti preparerò un the caldo... così ti asciugherai... e... e... ascolta... ti pagherò ugualmente... ma stasera non voglio sesso da te... voglio solo starti un pò vicino... ti prego... non dirmi di no... -.Chiusi gli occhi e aspettai rassegnato il suo rifiuto. Mi aspettavo che scendesse dall’auto e sparisse per sempre dalla mia vita.- Andiamo - rispose invece lei, facendomi una carezza sulla guancia.Eravamo seduti sul divano, con una tazza di the in mano.Avevamo parlato poco, lei pensierosa e confusa, io innamorato e timoroso che tutto potesse finire ancora prima di iniziare.Da una busta appoggiata su una poltroncina presi un orsetto di peluche e lo porsi a Caterina.- E' quasi Natale. Questo è un piccolo pensiero per Dinos, per il tuo piccolo. Spero possa piacergli -.Caterina si portò l'orsetto al viso, quasi a saggiarne la morbidezza: negli occhi le spuntarono subito due lacrime.Forse di dolore. O forse di piacere.Dalla tasca della mia giacca tirai fuori una scatolina e la consegnai alla ragazza.- Questo, invece, è il mio regalo di Natale per te. E' una piccola cosa, ma non sono molto esperto nel fare regali. Come non sono molto esperto nel corteggiare una ragazza: ma... non so trovare le parole giuste... ma io ti amo Caterina, ti amo così intensamente e così disperatamente da avere il cuore in tumulto. Ti amo anche se sono mezzo storpio e così imbranato. Ti amo perchè hai portato la luce nella mia vita, e vorrei essere capace di accendere quella luce anche nella tua -.Ora Caterina aveva il viso rigato di lacrime.Aveva aperto la piccola scatola e teneva in mano una catenina d'oro con un pendaglio stilizzato della rosa di Rodi, l'isola del sole.Mi guardò e, tra le lacrime che brillavano nei suoi occhi come le luci dell'albero di Natale che non avevo, mi sorrise, mandandomi un lieve bacio con le labbra.E fu in quel momento che ebbi la certezza che lei, Caterina, sarebbe stata il più bel regalo di Natale che io avessi mai ricevuto.Le mie mani carezzavano i seni caldi e morbidi di Caterina.La mia lingua esplorava estasiata il suo sesso bagnato, tiepido e profumato. La ragazza gemeva sommessamente, completamente abbandonata sul letto.Poco prima era stata lei a darmi il piacere: la sua bocca e la sua lingua avevano danzato a lungo sull'asta del mio pene, con una partecipazione ben diversa da quella volta in auto.Staccai la bocca da lei e risalii lungo il suo splendido corpo; la sua mano afferrò il pene e lo appoggiò a quel delizioso mistero che aveva tra le gambe perfette.Ed io affondai, prima lentamente, poi aumentando il ritmo, in quel morbido cuscino di seta che erano le sue pareti interne.Ora, finalmente, mi sentivo diverso: non ero più quell'uomo insicuro e tremebondo di prima. Anche lei mi amava e questa consapevolezza mi aveva trasformato.La penetravo con gioia, la prendevo con passione ed ardore, strappandole grida di piacere e parole d'amore.Andammo avanti per ore, in una confusione di sentimenti e di corpi, in un intreccio di sensazioni e di membra, lei bevendo il mio seme, io succhiando il suo nettare.Ed era quasi Natale.Seduto al tavolo della cucina sto bevendo un caffè.E' quasi ora di andare in ufficio.Alzo gli occhi e vedo Dinos alle prese con la sua zuppa di cereali. Ha quasi otto anni, ora. E mi chiama papà.Ed io mi sento in tutto e per tutto il suo papà.Dalla porta sul corridoio entra Caterina, in pigiama, ancora assonnata.E' bellissima: ha in braccio Dimitri, il nostro piccolo figlio di due anni.Ci guardiamo e ci diciamo con gli occhi il nostro amore.Avevo ragione io.C'è sempre una speranza per tutti.C'è sempre un futuro migliore.Dobbiamo saperlo cercare, dobbiamo saperlo trovare.Dobbiamo imparare a cercare il nostro più prezioso regalo di Natale.E, una volta trovato, non lasciarlo mai più.

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