*****ROXY E' TORNATA!

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Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

mercoledì 22 aprile 2009

LA RAGAZZA DEL MIO AMICO - STUPRO - LA DAMA

Ho appuntamento a casa del mio amico Claudio alle ore 14. 00. Sono già d'accordo con lui che, in caso di una sua assenza, lascerò a Sara, la sua ragazza, il libro di cucina che gli avevo promesso. Arrivo, come mi capita di sovente con un certo ritardo. Lui è già uscito per lavoro. Salgo in ascensore e penso a lei, a come sarà vestita. Penso che mi piacerebbe vederla scollata, cosa inusuale; lei ha un seno piccolo, che nella sua mente rappresenta, lo so per certo una sorta di limite. Mi interessano di meno le sue gambe, pure molto sensuali, forse perchè le ho già viste tante volte. Sì, vorrei proprio che indossasse una maglietta larga, così da intravvederne, in caso di certi spostamenti, le forme del piccolo seno, oppure il seno stesso, se fossi fortunato; ma mi concedo poche speranze, lei abitualmente indossa un reggiseno. Suono finalmente alla porta. Mi apre lei e, sorpresa, è solo in un costume da bagno a due pezzi; sta prendendo il sole in terrazzo, mi spiega. La speranza di vederle il petto è ormai nulla, mi dico. Ma non ne sono poi così dispiaciuto; appena si dirige verso il terrazzo, invitandomi a seguirla, noto il suo culetto magnifico, piccolo e al tempo stesso armonioso, che non vedevo da qualche tempo, così, dall'ultima vacanza trascorsa insieme, almeno due anni prima. Mi fa accomodare mi offre da bere, mi spiega che Claudio è uscito da pochi minuti, ringraziandomi comunque per il pensiero del libro; non fa nulla, le dico. A questo punto, mi offre di prendere il sole con lei. Accetterei, le dico, ma sotto i pantaloni, non ho il costume; solo un paio di slip. Lei mi dice che non è un problema; acconsento. Dopo un poco, discutendo, le dico che sono fortunati con il loro terrazzo all'ultimo piano del palazzo; nessuno che li possa vedere, mentre prendono il sole, anche nudi, volendo. Lei ride, facendomi notare che comunque sarebbe difficile, data la sua pudicizia. Proprio allora rialzandosi, e passanomi a fianco mi rimette il culetto sotto il naso in bella vista; si piega per prendere altre bibite. Noto che il mio pene sta avendo un'erezione: sono ovviamente in imbarazzo. Temo mi esca dagli slip; non ho neanche il tempo di girarmi che lei si volta e lo nota, ne sono certo. Non diciamo nulla; penso alla figura di merda, a cosa racconterà a Claudio al suo ritorno, quando noto, con la coda dell'occhio che comincia a fissarmi proprio lì. Rieccitato riprendo la mia erezione. A quel punto decido di giocare a carte scoperte. Scusami, le dico, ma come avrai notato, mi ecciti. Mi spiace per Claudio, ma è cosi. D'altro canto sei tu ad avermi convinto a prendere il sole così. Lei rimane colpita dalle mie parole e mi invita a togliermi gli slip, laddove ciò mi possa essere d'aiuto. Non dirà nulla a Claudio, non me ne devo dar colpa, mi dice. È una reazione naturale. Quelle parole non mi fanno capire più niente. Starà scherzando, penso; ma so che non è possibile, data la sua timidezza. Allora mi sfilo gli slip e sono eccitatissimo. C'è un momento di imbarazzo, è ovvio. L'erezione non se ne andrà da sola, lo so. Dopo un poco, lei mi fissa di nuovo e sorride. A quel punto le chiedo scusa, ma io devo masturbarmi. Mi risorride. Comincio. Noto che anche lei è eccitata. Si muove. Non sta ferma. Penso che è incredibile, ma forse scoperemo. Lei si alza. Le chiedo un aiuto. Si avvicina. Sorride di nuovo. Mi prende il pene eretto come non mai, in mano. Le chiedo se possa prendermelo in bocca; ormai ho perso ogni inibizione, ogni controllo. Lei mi dice che non lo fa mai, neppure con Claudio. Non insisto. Sto comunque godendo. Le chiedo di fermarsi. Le sfilo le mutandine per prime. La cosa che mi eccita di meno in lei, il pensiero che mi ha sempre eccitato di meno in lei, sarò pazzo, ma è la figa. È la prima cosa che guardo, quasi disinteressato. Poi la faccio voltare, le guardo finalmente il culo nudo, le chiedo di masturbarmi di nuovo. Sto per venire una prima volta, non sarà l'ultima, lo so. Sto per sfilarle anche il reggiseno. Ha due tettine piccole, così delicate. Vengo, le dico: vorrei farlo addosso a te; ma lei non vuole. Vengo dove capita. Lo sperma finisce tutto per terra. Ora però sono io a toccarla, a leccarle la fichetta ormai bagnata. Più gode e più godo; le spiego che vorrei andare oltre, che già lo stiamo facendo. Non dice no adesso; non dice nulla. Allora allungo un dito tra le sue natiche; lei è di nuovo perplessa; smetto di colpo di leccarle la fica, lei mi prega di ricominciare. Allora io riallungo le dita dietro; finalmente mi lascia fare. Ora le rilecco meritatamente la fica. Il buco del culetto è vergine, si straintuisce. Lentamente, ma molto lentamente, con dolcezza, il dito medio vi si inflila; gode, anch'io con lei. Mi alzo, le chiedo di girarsi. Lei però mi chiede di metterglielo prima nella figa; acconsento. Avanti e indietro; è bellissimo. Penso a Claudio. Non mi sento in colpa; in una situazione eccezionale potrei accettare lo stesso da lui. Questa è una situazione eccezionale. Ora riprendo a toccarle il culo. Questa volta le dita sono due. Lei ci sta. La giro. Mi vedo davanti quel culo da favola. Vorrei venirle dappertutto. Cerco di entrarci. È difficile. Ha un buchetto stretto già per la fica, figuriamoci dietro, non avendolo mai usato. Ma questa situazione mi eccita a dismisura. Sento i suoi gemiti, mi implora ad essere delicato. La ripenso a com'era pochi minuti fa, così trattenuta; cosa le avrà fatto cambiare idea; ormai ci sono quasi; sta entrando, è dentro. Godo troppo, così anche lei. Vado su e giù. Mi implora di continuare. Lo faccio. Quando sto per venire le chiedo di potergli mettere, solo per soddisfazione personale l'uccello sulle tette. Sulle tette, badate, non tra le tette. Sono così piccole che una spagnola propriamente detta sarebbe impossibile. Gliele accarezzo col pene duro, per un poco. Sembra apprezzare, al punto che ora lo vuole anche in bocca. Non sia mai, penso, ed eccola accontentata. Poco dopo, vengo; lo faccio copiosamente nella sua bocca; lei non capisce più nulla, è evidente. Lascia uscire, lentamente, il mio sperma dalla sua bocca. Va giù, tocca le tettine, se lo spalma sopra; poco dopo ricominciamo; siamo in soggiorno, ora; le sollevo le gambe; il suo culo poggia sul divano ora; mi è venuta voglia della sua fichetta; non appena sento di venire le guardo i peli tutti intorno, estraggo il cazzo duro e le vengo addosso; sulla pancia, sullo stomaco, ma soprattutto, in faccia e sui capelli.

Stupro

Lea stava imprecando sul bordo del'isolata strada di campagna… erano le due e trentacinque di giovedì tredici agosto e stava impegnando tutte le proprie forze nel tentativo di cambiare la ruota della sua Yaris, quando s'avvicinò una vecchia 164 rossa con a bordo quattro ragazzi. Brutti ceffi, arie da galera, tipi poco raccomandabili. "hei, bella, serve una mano ?" chiese quello a fianco del guidatore, aprendo lo sportello. "No, grazie, ho quasi finito…" rispose Lea, per niente convinta dei quattro individui. "Lascia, faccio io…"ribattè Fausto prendendole il crick dalle mani. Ci mise pochi minuti a cambiare la ruota e mentre Lea, nervosissima (gli altri tre nel frattempo erano scesi dalla vettura e le si erano avvicinati…) si apprestava a congedarlo con gentilezza, la lama di un coltello brillò alla luce della luna d'agosto e si posò sotto il suo mento. "Vieni con me !" fu il secco ordine di Paolo. Che la portò sino alla 164 e la fece sedere sul sedile posteriore. Fausto e Tony presero la Yaris di Lea mentre Paolo e Ciro stavano sulla grossa Alfa. Svicolarono in una stradina di campagna ed arrivati in una larga piazzola, spensero le luci. La fecero uscire dalla vettura e tirarono giù il ribaltabile: era chiaro ciò che volevano da lei… La denudarono in piedi, palpandola ovunque. Lea era nuda, stretta tra i quattro ragazzi, con le loro mani sulle poppe, sul culo, sulla fica, sulla pancia, sulle cosce, sulla schiena, infine la trascinarono nella vettura. Fausto stava in ginocchio sul sedile, con le mani le serrava fortemente le caviglie e fissava le grosse tette che danzavano mentre se la scopava. Paolo, sdraiato sopra di lei, le venne nella pancia, stringendo i grossi glutei della ragazza. Tony se la scopò alla pecorina, riempiendole la pancia di sborra e strizzandole le grosse tette. Ciro la inculò fino alle palle. Il tutto non durò nemmeno un'ora, dopodichè Lea si ritrovò da sola a guidare verso casa, fumando nervosamente e cercando di pensare solo alla guida. Si accostò quando si accorse che a causa del lavoro di Ciro il culo aveva perso elasticità e si cagò nelle mutandine. Appoggiò la testa al volante e pianse per più di un'ora. Passarono alcuni mesi da quel giorno. Era una notte di marzo. Lea percorreva la lunga strada che tagliava la campagna deserta, quando venne sorpassata da una macchina con a bordo tre giovani che la fissarono rivolgendole baci e sorrisi. Elana rispose strizzando l'occhio a quello a fianco dell'autista. La Punto con i tre ragazzi a bordo mise la freccia e si accostò sul ciglio della strada. Per tutta risposta Lea accelerò violentemente e si perse nella notte. La ritrovarono un paio di chilometri più avanti, intenta a cambiare una ruota ed accostarono. "Serve aiuto ?" domandò gentilmente uno dei giovani che nel frattempo era sceso dalla vettura, e trasalì nel vedere che Lea, inginocchiata nel tentativo di inserire la ruota di scorta, aveva un capezzolo fuori dal reggiseno. "Mi faresti un grande favore…" rispose Lea con un sorriso ammaliante, con gli occhi del giovane sempre puntati sul capezzolo in libera uscita. "Hai un capezzolo fuori…" fece osservare il ragazzo, mentre gli altri due si erano avvicinati alla Yaris. "Non ti piace ?" ribattè Lea abbassandosi le spalline del vestito e liberando le due grosse tette… Pochi minuti dopo era nuda sulla Punto con un grosso cazzo infilato nel culo, mentre gli altri due ragazzi si raccontavano di come se l'erano scopata. A giugno fu il turno di altri due. Ad agosto altri quattro. Ci furono più di trenta casi di aids nell'anno da quelle parti.

La Dama(Lesbo)

Il porto questa notte è illuminato da luci soffuse, la nebbia, dolcemente, lambisce i colli alle mie spalle ed inumidisce i leggeri abiti che a malapena coprono il mio corpo. Da quella finestra, il profumo di salsedine sale inebriante ed inonda le narici, il cuore e la mente. I ricordi si susseguivano a ritmo incalzante, la luce del faro, da lontano, scandisce il passaggio delle immagini che come un film muto vorticano negli occhi dell'anima.Come giunsi in questo luogo, non mi è dato confessare. Come divenni ciò che sono, non mi è dato spiegare...Attorno a me nessuno a parte quel piccolo topolino che rapido corre da un angolo all'altro della fetida stanza. Un angusto locale in affitto, una misera casa. Chi è come me non ha neppure il diritto d'avere dimora.Era l'anno di grazia 1795. Sulle rive del Danubio una fanciulla vestita di velluto scarlatto passeggiava portando una rosa rossa tra le dita della mano destra. Nascosta in piccolo viottolo, osservavo il lento incedere dei suoi passi leggeri. Un viso familiare, ricordi che innescavano sensazioni che da anni inseguivo come il bimbo insegue l'aquilone. Tremavo avvolta nelle vesti leggere ma non era il freddo scuotere il mio esile corpo, quella figura pareva uscita da un libro mai scritto, il testo che nella mia memoria si componeva di versi maledetti e imploranti supplice. Lentamente quell'apparizione giunse vicino al mio nascondiglio, il volto appariva nitido e chiaro in tutta la sua fierezza e beltà.Gli occhi profondi di un grigio intenso, le labbra carnose, il collo ben levigato e le guance paffute. Ogni viandante che incrociava i suoi passi, quasi fosse stregato, voltava il capo in contemplazione di si grande bellezza. L'incanto di quell'occhio triste e mesto soggiogava la volontà di chiunque cercasse di carpire il pensiero che solingo nascondeva la sua essenza dietro palpebre di mandorla. Fiocchi di neve leggera cadevano lenti sul viso e la brezza pungente feriva le mani. Vedevo quella figura farsi strada tra la piccola folla che animava il viale adornato di ghirlande natalizie, detestavo quel periodo dell'anno, troppi ricordi solleticavano la mia mente, dolori mai passati, ferite mai rimarginate continuavano a sanguinare nell'anima mia dannata. Un camino, un albero addobbato e i giochi di bimba. Troppo arduo questo pensiero, troppo mesto il vagare per lande ormai lontane. Avvolta nel mio mantello blu notte, rimiravo quella figura, il cappuccio copriva i neri e folti capelli che in morbide onde cadevano sulle spalle. La candida veste non s'addiceva al mio spirito demoniaco ma questo mi era dato indossare, poveri stracci che il tempo, suo malgrado, ha logorato. Le pieghe ed i fronzoli che adornavano il mio abito non esistevano più, solo qualche fiocco resisteva alle intemperie della sorte. La figura avanzava lenta ed inesorabile, sapevo che sotto quelle vesti scarlatte si celava il segreto che per anni avevo cercato. Un passo ed uscii da quel rifugio, il viso abbassato per non incontrare lo sguardo inquisitore di sconosciuti che al mio passaggio si fermavano ad osservare. Sono strana, cosi, un'esile figura avvolta in un vecchio mantello passato di moda. Quante volte mi sono chiesta quale pensiero prendesse forma nella mente umana al mio passaggio, sfiorare quei fianchi, percepire l'essenza dell'umana natura, per me, era come essere inondata di vita, guardare dritto negli occhi il creatore. Repentine domande, subitanei dubbi prendevano il posto delle spavalde certezze, sicurezze non umane, tramutate in vaghe apparenze. In fondo, anche il mio essere era pura apparenza, null'altro che il riflesso di una solitudine cercata, anelata ed in fine, amata. Domande senza pretesa, da tempo non rivolgo parola a sconosciuto, il mio cercare si è tradotto in sublime osservazione. Se solo l'uomo potesse immaginare ciò che i miei occhi hanno visto, io vedo l'anima, vedo ciò che non è dato sapere. L'alba era vicina, una campana emetteva il suo urlo straziante ed io, impavida creatura stavo ferma, immobile appoggiando la scarna mano al muro che separa questa via dal nero fiume che ha nome Danubio. In quell'istante, mentre mille pensieri inondavano la mente, la ragazza con rosa rossa mi passò accanto. Il mio cuore subì una lacerazione improvvisa, sentivo gocce di rosso liquido colare tra le carni ormai defunte. Tremavo, il gelo invernale aveva intorpidito le membra. Per quanto inumana, percepivo il variare della temperatura, lo percepivo come mai nella mia esistenza mortale avevo sperimentato. Udivo il fruscio delle sue vesti, il tulle che reggeva l'ampia gonna strofinava le sue fibre emettendo un sordo rumore. Impietrita, immobile come statua di marmo, la mia pelle pallida e trasparente lasciava intravedere le vene che un tempo recavano linfa vitale a questo corpo. Pulsavano le tempie, fremevano le mani e senza accorgermi del dolore, strinsi il pugno infilzando con le lunghe unghie il palmo. Gocce rosse colavano tra le dita, scendevano lente fino al balzo ed a terra la neve copriva i ciottoli ed il mio sangue si mescolava a quel candore. La fanciulla era a pochi passi da me. Assorta nei mie languidi pensieri non riuscivo a smuovere le gambe da quella posizione ma, improvvisamente, qualcosa scosse il torpore, dalle rosse labbra di quella magnifica creatura, un sussurro spezzò l'incantesimo. "Vera...sei tu, dimmi che sei tu" Il mio cuore sobbalzò, quella voce cosi familiare, una melodia che da bambina aveva accompagnato le mie notti insonni, svegliò improvvisamente la mia anima dal suo sonno eterno. Mi voltai ed il suo viso s'illuminò, era lei, mia sorella, compagna di sogni proibiti. Non riuscivo a proferir parola, un nodo alla gola impediva alla favella di prendere forma. Potevo solo pensare. "Quanto tempo ti ho cercata, quante città ho girato esplorando ogni anfratto alla ricerca del mio cuore spezzato. Avevo già perso ogni speranza quando eccoti, sorridente, reale, vestita di velluto scarlatto. Sei bella sorella mia, sei sempre stata un fiore di campo". Trovai in me la forza di muovere un passo in sua direzione, cercai di donare al mio volto marmoreo un sorriso al quale non ero abituata. Avanzavo come sospesa nell'aria, una leggerezza che avevo scordato s'impossessò del mio essere. La bimba che mi stava innanzi era ciò che per anni avevo cercato, qualcosa che nel profondo del cuore avevo dato per perso. La mia mano si posò sul tuo viso ed accarezzando le morbide guance avvicinai le labbra a quella pelle di pesca. Un bacio, dopo tanto tormento ed anni di solitudine, tornavo a percepire il calore di un corpo, l'umana natura cosi avvolgente ed affascinante. Il palmo sfiorava quella figura, dal volto scendeva sulle spalle fino a giungere al suo fianco. Afferrai con decisione quella piccola anca, non servivano parole per esprimere la gioia di quell'incontro. I suoi occhi nei miei, come rapiti, ammaliati da un potere che la creatura non poteva conoscere. Indietreggiai qualche passo ed ella seguì le mie orme, era inebriata dal fascino che la mia figura per quanto tetra, emanava. FigaUna rabbia improvvisa invase la mia coscienza, come potevo agire in quel modo con lei, mia sorella, la fanciulla che per anni ho cercato disperatamente e che nei sogni donava quel poco di serenità che rendeva il mio esistere meno oscuro. Pensieri, troppi, quanti pensieri. Lotte interiori nello spazio di un attimo, l'umana natura che ancora albergava nel mio corpo dannato cercava una via per prendere forma mentre la demoniaca mia essenza cacciava ed imprecava affinché quel poco d'amore che sussisteva nonostante il fato, soccombesse sotto pesanti colpi di spada. Trascinai quella fragile figura nell'anfratto che mi aveva tenuta lontano dal passaggio di anime, un vicolo chiuso ove luce non filtrava, il buio era la mia casa, la notte mia signora e le tenebre il solo conforto. Tra i bagliori lontani della città, voci allegre scandivano il ritmo del mio respiro. La mia mano cingeva il suo fianco "mia dolce fanciulla tu non parli, non dici nulla, mi osservi impietrita" pensavo.Un bustino di raso stringeva il suo corpo evidenziando le tue morbide curve, "sei cresciuta eppure sei sempre la stessa. Dovrei raccontare mille avventure, mille aneddoti ma non un filo di voce esce dalla gola, in quest'istante il mio unico pensiero sei tu candida vestale. Mi osservi, la mia pelle è candida come la neve, i miei occhi cerchiati di un rivolo rosso..." "Sangue!" Un urlo straziante spezzo l'incantesimo. Prontamente portai la mano sulle sue labbra e finalmente, dalla mia bocca uscirono suoni che il tempo aveva calcificato nell'anima. "Non fuggire, non scappare, ascolta sorella mia, non mi riconosci, ne sono consapevole, non sono più io, ma non temere, non voglio farti del male"

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