*****ROXY E' TORNATA!

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Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

sabato 18 aprile 2009

CON LA CUGINETTA


Sono solo in casa quando suonano alla porta. Vado ad aprire e con molta sorpresa vedo mia cugina Valeria vestita soltanto con una lunga t-shirt bagnata che evidenzia i suoi grandi seni e soprattutto i suoi capezzoli rossi e puntuti. Al di sotto della maglietta spunta un ciuffetto di peli della fica. Dopo aver pronunciato parole incomprensibili mi prende per mano e mi porta di sopra dove, dopo avermi gettato sul letto, si toglie la maglietta sbattendomi in faccia le sue enormi tette rosee e burrose. Mi infila un piede nudo in bocca e mi ordina di leccarglielo, ma io vado oltre e salgo su per le caviglie e le lecco la vagina, l'ombelico e il nero buco del culo. Dopo l'ultima slinguazzata ci baciamo in bocca e lei lavora molto bene di lingua, come una troia vissuta, afferrando nel contempo il mio pene caldo e rubizzo. Sto per penetrarla, ma lei mi fa capire che non vuole essere scopata nella maniera tradizionale, ma lo vuole prendere in culo. Detto fatto. La ribalto abilmente e, senza una parola, la sodomizzo brutalmente mentre la tengo per i seni. Dopo un po' di goduria mi sveglio sudato e, naturalmente... Bagnato!
FIAMMA
La notte avvolgeva l’uomo dentro il suo manto scuro e impenetrabile, costringendolo a camminare a carponi, tastando il terreno con le mani per capire dove stava andando. Nella mano, come unico simbolo di speranza, stringeva una pietra appuntita, che l’avrebbe difeso in caso di pericolo e gli avrebbe permesso di accendere un fuoco, o almeno lo sperava. Continuò a camminare così, incespicando nel buio, fino a quando la sua mano non percepì la superficie secca e ruvida del legno, forse di un ramo secco caduto da un albero. Preso dalla frenesia, dal desiderio sfrenato di creare una luce in quel buio così profondo, cominciò a sfregare ed a sbattere la pietra contro il pezzo di legno, finché all’improvviso apparve una scintilla e il ramo sprigionò una grande fiamma. L’uomo arretrò, stupito. La facilità con cui quel pezzo di legno aveva preso fuoco era a dir poco miracolosa, considerando il fatto che fino a pochi giorni prima il cielo aveva riversato sulla terra una pioggia torrenziale. Quella fiamma aveva un che di strano e terribile, di affascinante e misterioso. Il modo in cui le scintille guizzavano e si riunivano, vorticavano nell’aria nera, espandevano e ritiravano la loro luce ardente faceva crescere nell’uomo sentimenti di paura e curiosità intrattenibili. Senza nemmeno rendersene conto si stava muovendo verso il fuoco, sempre più vicino. E, più si avvicinava, più si accorgeva che non percepiva calore, come se la fiamma che danzava davanti a lui non fosse null’altro che una visione. Le scintille si fondevano davanti ai suoi occhi delineando forme nuove, segrete, svelando immagini e figure. All’improvviso, nell’eterno caos del falò, qualcosa apparve e prese vita, unendosi con il suo corpo evanescente all’elegante danza delle fiamme: gli ardenti capelli, la linea sensuale della bocca, il braciere degli occhi, le dita come lingue di fuoco, i seni morbidi e caldi, il ventre perso nelle vampe. Quella terribile e stupenda creatura attirava a sé l’uomo, lo riscaldava con le sue parole e con la passione che sprigionavano i movimenti del suo corpo. Infondeva in lui un calore mai provato prima, che lo avvolgeva totalmente, lo faceva sentire strano, stanco, in un limbo di piacere e tortura. La fiamma lo avvolse, bruciò i suoi miseri vestiti, lo irradiò di forza ed energia, trascinandolo con sé e dentro di sé. Le mani roventi lo cinsero e le labbra cercarono le sue, con la lingua di fuoco caldo che danzava sul palato dell’uomo, esplorando la sua bocca. Lui, non potendo capire altro che la sensazione bellissima e tremenda del fuoco, ovunque sopra il suo corpo, rimaneva immobile, gli occhi divorati dalle fiamme, le labbra schiuse in quell’ardente bacio. Nel crescendo di calore che lo avvolgeva, sentì ad un tratto la sensazione intensa del piacere, che gli saliva su per il ventre e continuava ad aumentare, stimolata dal furore di quelle mani, di quel corpo focoso. Nel delirio del rogo desiderò di possedere quella donna e le sue mani si mossero attraverso di lei, per scoprirne i seni e la vagina. Così, ancora preso da quel bacio, carezzò il grembo caldo di lei, sentendo la fiamma vibrare sotto il suo tocco. I seni floridi si accesero con nuova forza e ardore e dal ventre salirono fiammate azzurre di piacere. L’uomo era ormai diventato parte del fuoco, fiamma egli stesso, e, sopra il ceppo in fiamme, cominciò a carezzare con desiderio la donna, risalendo e scendendo con la mano, entrandone e uscendone, seguendo le curve di quel corpo perfetto. Lei, in risposta, si chinò sul membro eretto dell’uomo e lo avvolse nel fuoco della bocca, lo spinse dentro di sé avviluppandolo tra le fiamme della gola. L’uomo, immerso nella smania del piacere, non percepiva neppure minimamente il dolore del fuoco e del suo corpo in combustione. Si chinò anch’egli verso le magre gambe della donna che scaturivano dall’incendio. Si immerse nella schiena di lei, protendendo la lingua verso la sorgente delle fiamme azzurre. Carezzò e leccò godendo della sensazione di calore che gli avvolgeva il membro e della lingua calda che lo stimolava con passione. Le fiamme azzurre continuarono ad aumentare, nell’aria risuonava il gemito strano della donna e quello soffocato di lui, entrambi chinati l’uno sull’altra, ansimanti. All’improvviso il volto dell’uomo fu investito da una vampata di fiammate celesti: la fiamma si contorse, si scosse come mossa dal vento. La sua bocca rovente avvolse ancora di più il pene e trascinò con sé l’uomo in quell’orgasmo così caldo ed intenso. Lo sperma fuoriuscì in un fiotto bollente e ricoprì il volto della donna, la sua schiena, in parte atterrò sul ceppo di legno, dissolvendosi tra le fiamme. Le vampate azzurre continuavano, seguite da scatti felini del bacino di lei, che l’uomo, ancora in preda al godimento, stimolava con la lingua e con le mani. Però, mentre l’orgasmo dell’uomo andava diminuendo, la donna continuava a godere, sprigionando dalla vagina potenti fiammate di piacere. Lui sentì la bocca rovente allontanarsi dal suo membro, che continuava ad essere duro per il miracolo di quella donna prodigiosa. Lei si alzò, attraversandolo totalmente, infiammandogli le viscere, e lo cinse di nuovo tra le braccia, stringendo le gambe attorno ai suoi fianchi. L’uomo, preso dal desiderio e dalla passione, spinse con forza il suo pene contro di lei, immergendolo nella sorgente delle fiamme celesti, godendo di quel contatto così intenso e rovente. Dalla sua gola in fiamme continuavano ad uscire gemiti di piacere che si disperdevano nell’aria densa di fumo e di fuoco. Continuò a possederla, attraversandola con violenza, sentendo ad ogni affondo il piacere aumentare in modo incredibile. Lei, imprigionata nella stretta dell’uomo, perdeva man mano la sua parvenza di fiamma, avvolta dalle vampe azzurre del godimento. I loro corpi, le loro essenze, erano ormai un’unica cosa, uniti sull’erba in fiamme, stretti l’uno all’altra in un incendio blu e rosso da cui si alzavano urli e gemiti. Il pene di lui era ormai puro fuoco che penetrava incessante la donna, che la spingeva e schiacciava contro il terreno, quasi passandola da parte a parte. Le sue mani stringevano i seni accendendoli di piaceri nuovi, il suo corpo danzava con quello di lei, fluttuando senza sosta, come le fiamme. Questa volta fu lui a venire per primo. Il suo membro ardente sprigionò un fiotto cocente di sperma e l’aria si saturò del suo odore penetrante. Il pene si gonfiò, quasi esplodendo tra le gambe di fuoco della donna e facendole raggiungere l’orgasmo. Le fiamme azzurre li avvolsero entrambi, tuonarono nei loro ventri, li gettarono nel delirio di un immenso piacere. I loro movimenti convulsi li facevano apparire come un unico grande essere di fuoco. Le vampate celesti divennero essi stessi, ancora immersi l’uno nell’altra, finché il piacere non si estinse, e di loro non rimase altro che cenere.

NOI 4 IN UNA STANZA - A CARTE DA BRUNO - AMMALATO DA UNA COMMESSA


Io ed Elisabetta avevamo raggiunto sin dall’inizio una forte intesa sessuale e, quasi ogni giorno, passavamo ore a fare sesso. Spesso abbiamo avuto rapporti in posti all’aperto (parco cittadino, villette disabitate, teatro civico in costruzione, spiaggia) ed ovviamente piu' volte siamo stati beccati in flagrante, pero' presto abbiamo capito che questo ci eccitava. Lo scoprimmo durante una giornata di “vela” autunnale, mentre scopavamo su una terrazza di una villetta di S. Elia. Infatti ci accorgemmo che 2 ragazzi ci stavano osservando in silenzio ed a poca distanza, e cio' piuttosto che inibirci ci eccito' alquanto… Al punto che da quel giorno fantasticammo su eventuali partecipazioni “esterne”. L’occasione capito' durante un weekend in una villetta di amici a Torre delle Stelle, eravamo un gruppone quindi dovemmo stivarci in piu' coppie per ogni camera, con noi vennero Fabrizio e Teresa, i quali flirtavano ma non erano coppia fissa. La mattina seguente, dopo una nottata passata a ridere, scherzare e giocare spensieratamente, mi svegliai con una forte erezione e la presenza degli altri non mi diede alcun fastidio. Del resto, con Fabrizio avevamo fatto diversi campeggi insieme e ne avevamo viste di cotte e di crude, con Teresa ero molto in confidenza e sapevo che di certo lei non si sarebbe turbata granche', iniziai a leccare le tette di Betty.. Delle splendide tette sode da 19nne… Una 3^ abbondante… Questo la mando' subito in visibilio e passo' subito al succhiarmi il cazzo. I nostri traffici svegliarono Fabrizio e Teresa che pero' fecero finta di dormire sino a quando, mentre scopavo Betty a 4 zampe, le chiesi se aveva voglia di prenderlo anche in bocca…… E fu l’inizio del casino.. Infatti Fabrizio su pronto (il furbastro finto dormiente) a proporgli il suo gia' ben duro proprio nel momento in cui Betty aveva il suo secondo orgasmo e non capiva più nulla... Cosi' lo prese in bocca tenendo gli occhi chiusi e mugolando per il piacere.... Teresa colse la palla al balzo e visto che Betty era momentaneamente KO si fece avanti afferrando i nostri uccelli mentre ci guardava negli occhi con uno sguardo incredibile.. Ci fece sedere ed inizio' a leccarci entrambi… Andammo fuori di testa.. Il bello fu che le ragazze iniziarono una specie di gara silenziosa a chi era piu' porca.... Tra l’altro si dedicarono esclusivamente a noi, loro quasi neanche si sfiorarono… Ad ogni idea porca di una sopraggiungeva l’idea piu' porca dell’altra… Alla fine fu un pareggio… Non ci lesinarono un solo angolo del loro corpo ed il momento piu' bollente fu quando vollero che le penetrassimo contemporaneamente....... Al che non ressi piu' e, dopo aver fatto venire per l’ennesima volta Betty, sborrai, mentre lei mi masturbava, sul viso di Teresa.

A CARTE DA BRUNO


Era da tempo che cercavo di farmi invitare da Bruno, il mio collega. Quel giorno avevo messo la minigonna in ufficio e, essendo proprio di fronte a lui, aspettavo il momento giusto per fargli notare le mie autoreggenti. Finalmente gli cade la penna... E' il momento di accavallare le gambe, pensai. Tombola, ecco che la sua testa si gira verso di me mentre raccoglie la penna e si sofferma un po' troppo nella sua ricerca. Non so come mai (nei sogni tutto è un mistero), ma mi ritrovo in mano un invito a casa sua per una festa. Quella sera la mia intenzione era di far colpo, ma non di esagerare. Dopo un po' ci si mette a giocare a carte; intorno al tavolo siamo in 5: Bruno, altri 2 uomini e una sua amica un po' troia (visto che portava un top un po' troppo indecente). Si gioca a briscola, poi a poker, ed ecco che gli uomini iniziano a vincere, data la loro esperienza. Qualcuno ipotizza a uno strip-poker e Sonia (la ragazza troia) inizia a bluffare in maniera evidente per perdere apposta e togliersi il top! Per un po' io vinco e resto vestita, poi clamorosamente perdo con un full di re! Mi rifiuto di spogliarmi, ed ecco che Bruno si incazza improvvisamente in un modo mai visto. Mi prende per i capelli e mi butta per terra. Mentre mi riprendo lui si tira fuori il cazzo e inizia a dirmi di spogliarmi. Io mi rifiuto, cerco di trovare un appoggio negli altri ragazzi, ma vedo che anche loro si avvicinano col sorriso. Bruno ordina agli altri due di tenermi ferma mentre lui mi alza la gonna, si compiace con me per le autoreggenti ma mi strappa le mutandine violentemente. Io cerco di divincolarmi ma improvvisamente il suo cazzo mi penetra con un solo colpo e mi pare di sentirlo fino in gola! Sonia a questo punto si spoglia completamente e si mette sopra di me obbligandomi di slinguarle la fica. Vengo ripetutamente trombata dai tre ragazzi mentre mi insultano con frasi del tipo: "Sei solo una puttanella che ha voglia di cazzo... Ti piace essere sbattuta da tutti noi vero? Lurida zoccola!!". Poi mi legano al tavolo e tutti e tre riempiono i miei buchi mentre io sono costretta a leccare la figa di quella troia per far godere anche lei. Bruno ed i suoi amici, ormai giunti all'apice del piacere, tolgono i loro uccelli e me li infilano tutti e tre in bocca innondandomi la faccia del loro sperma, a quel punto Sonia mi lecca tutta la faccia pulendomi bene. Finalmente mi slegano e mi lasciano ritornare a casa.

AMMALIATO DA UNA COMMESSA


Giuliano si affretta ad uscire da casa. Prima di andarsene scrive poche parole su un foglio di carta e lo depone sul tavolo della cucina: "Sono al supermercato a fare la spesa. Torno presto". Scende in cortile ed apre la porta basculante del garage. Si fa spazio fra le numerose cianfrusaglie accatastate a ridosso delle pareti e sale a bordo della sua Fiat Punto. Dopo qualche minuto è dinanzi l'ipermercato distante pochi isolati dalla sua abitazione. L'area di parcheggio, solitamente piena di autovetture, è vuota. Scende dall'auto. A piedi si avvicina ad uno dei numerosi punti d'accesso dell'ipermercato. Sulla porta a vetri c'è posto un cartello: "Sciopero per rinnovo del contratto di lavoro". Constatata l'impossibilità di accedervi, risale sull'autovettura e si dirige verso un piccolo supermercato poco distante. Il cumulo di autovetture che riempiono il piccolo parcheggio, prospiciente il market, è la prova evidente che l'esercizio è aperto. Lesto trova un posto per la propria autovettura infilandosi nello spazio lasciato libero da un cliente. Giuliano non è solito fare la spesa in quell'emporio. La qualità dei prodotti esposti è scarsa ed i prezzi sono di gran lunga superiori all'esercizio in cui lui e sua moglie sono soliti rifornirsi. Infila una moneta da 2 euro nell'apposito contenitore del carrello e, dopo averlo sganciato dalla lunga fila in cui sta incastrato, entra nel supermercato. Una folla di persone si accalca fra i corridoi che separano gli scaffali su cui è riposta la merce. Estrae dal portafoglio la lista della spesa che Anna gli ha preparato, ed inizia a riempire il carrello di prodotti. Dopo mezz'ora ha esaurito la lista. Sinceratosi di non avere commesso dimenticanze si avvia verso l'uscita. Una moltitudine di uomini e donne, sistemati in varie file, si accalcano dinanzi alle casse impazienti di depositare sui nastri trasportatori la merce acquistata. L'attesa è sfibrante. Giuliano dà un'occhiata attorno, soffermandosi a guardare i volti delle persone che lo circondano. Il suo sguardo vaga in ogni direzione fino al momento in cui scorge il viso della commessa che sta dietro la cassa della fila in cui ha preso posto e, come nelle fiabe, ne rimane incantato. Affascinato dallo charme che sprigionano i lineamenti del viso della ragazza, indugia ad avanzare col carrello lasciando fra sé e le persone che lo precedono uno spazio nella fila. Una luce straordinaria sembra illuminare il viso della donna. Giuliano è affascinato dai modi gentili e garbati, con cui la ragazza si rapporta con la clientela che staziona davanti a lei e, mentre l'osserva, non può fare a meno di pensare che quel giovane corpo è certamente di un innocente angelo caduto per caso sulla Terra. via via che l'uomo si avvicina alla cassa cresce in lui l'interesse per la ragazza e nella sua mente si fa largo il pensiero che la lunga attesa è ben ripagata da quell'angelica visione. La commessa sembra possedere qualcosa di speciale che la rende diversa da tutte le altre donne che stanno attorno a lui. Raggiunta la cassa trasborda la merce sul nastro trasportatore. Il lungo camice a strisce grigio-rosse verticali che la ragazza indossa è leggermente aperto sul davanti e lascia intravedere le forme dilatate dell'addome, segno di una gravidanza in stato molto avanzato. Ora che le sta di fronte Giuliano è portato ad apprezzare ancor di più l'aspetto fresco e sano di quel giovane corpo, certamente dovuto alla maternità. Prosegue nel trasbordare la merce sul nastro trasportatore, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza. Lei, incurante dell'impertinente attenzione dell'uomo, trascina le etichette dei codici a barre sul lettore ottico. Vista da vicino la ragazza ha un aspetto florido che la fa sembrare più matura della sua giovane età. Il colorito olivastro della pelle le dona un aspetto lucente. La pelle del viso è liscia, come se fosse levigata. I capelli neri, pettinati a caschetto, le scendono fin sotto al mento e le donano un piglio vivace. Un piccolo neo nero, situato al margine inferiore delle labbra, imbellettate da una tinta rosso carminio, le conferisce un aspetto fine e delicato. Ma quel che più attrae Giuliano è l'incavo che le separa le mammelle, le cui forme sono gonfie e danno l'impressione di tracimare dalla camicetta che indossa sotto la divisa. La merce transita veloce sopra il lettore ottico e si accumula nella parte inferiore del bancone. Giuliano, confuso dalla bellezza di quei seni, lascia che la merce si accumuli senza riporla nelle borse. E' intontito dal piacere che gli provoca la vista di quelle mammelle ed in poco tempo si ritrova con l'uccello turgido. Il desiderio di succhiarle i capezzoli si fa spazio nella sua mente e gli provoca un insolito stato di eccitazione. Infila una mano nella tasca dei pantaloni e con le dita sposta lateralmente l'uccello in modo da rendere meno visibile la protuberanza che spinge contro la stoffa dei pantaloni. La manovra non gli riesce. Ogni volta che estrae la mano, l'uccello assume di nuovo la postura dritta. Confuso, decide di tenere la mano infilata nei pantaloni per evitare che le persone che gli stanno attorno si accorgano di quell'imbarazzante protuberanza. Giuliano è sposato con Anna da una decina di anni e per quanto lui e sua moglie si siano adoperati in tutti i modi per concepire un figlio, ogni loro tentativo si è rivelato infruttuoso. Eppure la lunga serie di esami a cui si sono sottoposti entrambi in passato, dietro consiglio dei medici, non ha rivelato anomalie né fisiche né umorali. Ormai si è rassegnato a non essere padre, ma la visione della florida ragazza e, soprattutto, di quei seni prosperosi suscita in lui un gran rimpianto. Inebetito dall'eccitazione di cui è preda continua ad osservarla. Avrebbe voglia di succhiarle i capezzoli, di gustare il sapore della sua pelle, della carne e di quel latte che fra non molto tempo sgorgherà dalle sue mammelle, ma le parole della ragazza lo riportano alla realtà. - Sono 65 euro e 30 - Sussurra la commessa mentre gli porge lo scontrino fiscale. Assopito nelle sue fantasie erotiche non risponde immediatamente alla richiesta della ragazza. Lascia trascorrere alcuni secondi, poi estrae il portafoglio e le consegna due banconote da 50 euro. Nel momento in cui la ragazza si sporge verso di lui, per restituirgli la differenza, scorge sul taschino del grembiule un cartellino con stampato il nome: Anna, come quello di sua moglie. Giuliano raccoglie gli oggetti posti sul bancone e li ripone nei sacchetti di plastica. Prima di allontanarsi dà un'ultima occhiata alla ragazza ed infila la mano nella tasca dei pantaloni, poi spinge il carrello verso l'uscita. L'auto è parcheggiata poco distante l'ingresso del supermercato. Giuliano ripone la merce nel portabagagli, dopodiché ricolloca il carrello nel box insieme a tutti gli altri. Sta per incamminarsi verso l'auto, quando, ancora una volta, la sommità della cappella struscia contro la coscia e non può fare a meno di provare piacere da quel contatto. Nella mente ha ancora impresso il volto della ragazza, ma ciò che lo turba è il ricordo delle prosperose mammelle che facevano capolino nella scollatura del camice. Si siede sul sedile dell'automobile ed inserisce la chiave nel pannello di comando. Sta per avviare il motore, ma ha un attimo di esitazione. Il pulsare dell'uccello è un tormento che non gli dà pace. Adagiato sul sedile, Giuliano strofina la mano sulla stoffa dei pantaloni e sfiora la cappella, che s'inerpica verso l'alto. Quasi si trattasse di un atto liberatorio, abbassa con decisione la cerniera dei pantaloni e libera l'uccello. Osserva la pelle bluastra del glande e lascia che dalla bocca sfilino alcune gocce di saliva. Posa la mano sull'uccello ed inizia a menarlo, lentamente, come si trattasse di un dolce massaggio. Dopo che si è sposato raramente ha avuto occasione di masturbarsi. Le poche volte in cui lo ha fatto è accaduto dopo che ha assistito a scene di giovani madri che allattavano i propri figli. Con gli occhi socchiusi prova ad immaginare la ragazza del supermercato nell'atto di allattare il proprio neonato e la sua mano prende maggior vigore comprimendo la parete dell'uccello. Giuliano allunga le gambe sul fondo dell'auto e si porta col bacino all'estremità del seggiolino. L'estensione facilita la manovra della mano che scorre più fluida sul membro. Con l'altra mano inizia a sfregarsi i capezzoli con energia, pizzicandoli ripetutamente. Poco dopo schiude le palpebre degli occhi e si china ad osservare la cappella. Emette nuovamente un poco di saliva e la fa cadere sopra le dita che impugnano l'uccello. La mano, insudiciata di saliva, riprende a scorrere sull'esile pelle del glande, poi la sua azione rallenta. Abbandona l'impugnatura e, con due dita, inizia a stimolare il canale uretrale. Dopo quel tipo di stimolazione la mano riprende a scorrere veloce. Ancora una volta socchiude gli occhi e si concentra nel ricordo delle mammelle della commessa. La sborrata arriva veloce e si esaurisce fra le sue mani, che coprono la cappella per evitare che gli schizzi vadano ad insudiciare la tappezzeria dell'automobile. Rimane alcuni istanti con le dita contratte in quella posizione, poi prende dal cruscotto una confezione di fazzoletti di carta e rimuove lo sperma. Subito dopo mette in moto l'automobile e si avvia verso casa. E' trascorso poco più di una anno da quell'avvenimento. Giuliano fa ritorno in quel supermercato in compagnia di Anna: sua moglie. In poco tempo riempiono il carrello di prodotti. Quando giungono davanti alla cassa e trasborda la merce sul nastro trasportatore, Giuliano si accorge che la ragazza della cassa è la stessa che tempo addietro gli aveva provocato un intenso turbamento. Il suo aspetto non è più quello di allora. Il corpo, un tempo così fiorente e prosperoso, appare smunto. Anche il viso è pallido ed affilato. I seni, un tempo floridi e rigogliosi, sembrano appassiti come quelli di un fiore che ha perduto le foglie. - Sono 94 euro e 20. Paga col Bancomat? - Sì. Giuliano digita il codice segreto e firma la ricevuta. Poi carica la merce sul carrello ed insieme alla moglie ed al figlioletto di due mesi, che Anna ha tenuto in braccio per tutto il tempo in cui si sono intrattenuti nel supermercato, si allontana. Lungo il tragitto che li separa dall'automobile, osserva con ammirazione le prosperose mammelle di sua moglie e non può fare a meno di considerarsi un uomo fortunato. Fra poco è l'ora della poppata. Lui e suo figlio, come succede da due mesi, potranno ancora una volta abbeverarsi alle mammelle di Anna.

IL PRIMO TRIO CON EUGENIA - IL SEDERE DI MIA MOGLIE - LA TUNISIA

Eugenia è stata la mia amante più porca (alla faccia del precedente ragazzo che la riteneva frigida). Dopo i primi rapporti di "riscaldamento" abbiamo subito capito di avere un'enorme affinità sessuale, tra l'altro io ho la caratteristica di mantenere erezioni molto prolungate e lei una splendida pluriorgasmica. Dopo la prima settimana, vedendo che gradiva essere masturbata anche analmente mentre mi stava sopra e la penetravo davanti, iniziammo a fantasticare di eccitanti rapporti perlomeno a 3, dove lei era al centro delle attenzioni mie e di un altro uomo. Dal dirlo al farlo ci passo' un po'.. Nel frattempo lo facevamo dappertutto: al mare vicino ad altre coppie che ci guardavano e si toccavano, nel mio appartamento a piano terra con finestre aperte e persiane socchiuse sotto lo sguardo dei passanti più curiosi, in albergo con la porta aperta aspettando con desiderio un terzo partecipe dopo una cena in ristorante con lei con indosso solo un abitino in seta indiana, sul terrazzo di una villetta a Budoni.... Ma lei mi precedette ed una sera dopo una litigata ando' da un suo buon amico che dopo averla consolata inizio' a scoparla sennonche' arrivo' sulla scena il fratello dell'amico, che da sempre marcava stretta Eugenia. Evidentemente lei era ben pronta dopo molte prove di fantasia e così lo fecero in 3, come mi confesso' il giorno dopo mentre scopavamo (me ne accorsi perche' aveva l'orifizio anale molto dilatato e dolente). Non mi arrabbiai, anzi ne fui molto eccitato. Pochi giorni dopo, durante un campeggio a Barisardo e mentre eravamo in tenda, cercammo di attirare degli amici vicini di tenda per scoparcela tutti assieme ma purtroppo non ci accontentarono. Forse pensarono ad uno scherzo, di certo non perche' Eugenia non fosse OK, anzi aveva un gran fisico, era estremamente sexy ed andare a passeggio con lei era tutto un susseguirsi di sguardi eccitati ed invidiosi. Ci riuscimmo il giorno in cui demmo un appuntamento a casa mia ad un comune amico (Fabrizio), tra l'altro un suo compaesano, col quale io avevo spesso fantasticato, senza citare mai la mia lei, su incontri sessuali plurimi trovando in lui un appassionato teorico. Dando ad Eugenia un'orario di arrivo di Fabrizio falso e lasciando accostata la porta di casa riuscii nel mio intento. Quando lui arrivo' noi eravamo da un bel po' in azione fantasticando ad alta voce su cosa avrebbe fatto lei se fossimo stati in 3 e come sempre era lei a parlare, ma quella volta misi come nome di fantasia Fabrizio, il quale arrivo' ed eccitato dalla scena si avvicino' titubante ma Eugenia eccitatissima mi guardo' e capendo il mio gioco tiro' fuori l'uccello eretto di Fabrizio e per le successive 4 ore fu solo una cosa da sogno, sia lei che Fabrizio furono all'altezza delle nostre piu' ardite fantasie.....



IL SEDERE DI MIA MOGLIE


Una mattina di fine luglio sono al mare con mia moglie Romina. Romina indossa uno splendido bikini azzurro molto sexy e, vista la bellezza di mia moglie, io sono sempre in apprensione. Romina e' davanti a me che sculetta sul bagnasciuga. Impossibile non notare una ventenne simile.. Capelli neri riccioli, quasi una criniera, 1,71, fisico arrapante, con delle gambe drittissime, piedi, caviglie e polpacci da top model. Di viso Romina assomiglia parecchio a quell'attrice americana.. Andie Mc Dowell. La vera fissazione di Romina e' il sedere: passa ore in palestra a curarsi quelle chiappe da urlo, belle rotonde, tanto ben segnate che quasi sembrano aprirsi verso l'esterno. E quel culo Romina lo sfoggia sempre.. Con abbigliamento provocante: minigonne mozzafiato.. Pantaloni aderenti. Un gruppo di campeggiatori la nota ed immediatamente si mettono a pochi metri da noi. Io comincio a dare segni di impazienza. Sono nervoso. Se la stanno sbranando con gli occhi. Romina e' pancia in giu' sull'asciugamano, mettendo in bella mostra il suo sedere pauroso. Gli slip azzurri del bikini paiono quasi essere inghiottiti da quelle due natiche a mandolino. Quei campeggiatori sono già eccitati, lo sento. Romina, invece di ignorarli, li guarda e sorride, lanciando segni di complicita'. Io ho un gesto di stizza e la afferro forte per un braccio dicendogli di smetterla. Vado a fare un bagno. Come torno non la trovo piu': non ci sono nemmeno i cinque uomini. Mi precipito nella pineta dietro la spiaggia. Sento dei rumori. Dietro un cespuglio vedo Romina nuda che cavalca l'uccello di uno di loro. Gli altri gia' nudi col cazzo di pietra aspettano il loro turno. Quasi svengo dalla rabbia. Romina si muove su e giu' ritmicamente, vedo le sue chiappe ben aperte mentre quel palo di carne compare e scompare. L'uomo sta godendo e palpa di continuo le sue fantastiche tette. All'improvviso un urlo: quel maledetto sta sborrando. Io non ci vedo piu': la figa di mia moglie insozzata dalla sborra di quello schifoso. Subito altri 2 la prendono e la mettono a 4 zampe. Uno la sbatte da dietro, l'altro si fa succhiare il cazzo. Sento il rumore della scopata, fatto di gemiti ed urla. Romina li sta accontentando. A quegli schifosi non sembrava neanche vero di scoparsi una donna simile, una giovane modella. Bocca e figa di Romina erano letteralmente piene. Quando ebbero finito anche gli altri due soddisfarono le loro verghe. Romina venne sodomizzata senza pieta': piu' urlava piu' i bastardi pompavano forte. Devo ammettere che vedere quei maschioni sodomizzare mia moglie a quella maniera mi eccita davvero tantissimo.

LA TUNISIA


Il primo viaggio che faccio senza mio marito, tra l'altro contrario, lo faccio apposta in Tunisia. Negli ultimi anni sono andata spesso a sciare da sola, ho fatto delle amicizie e gli uomini che ho conosciuto impazziscono per la mia verve e personalita'. Non solo, nonostante i miei due figli, ammirano il mio corpo da negra: capelli neri, lunghi fino alle spalle e mossi, occhi e pelle scuri, terza di seno con capezzoli scurissimi, il mio culo si e' fatto abbondante ma questo lo rende piu' appetibile, le gambe sono sempre state un mio punto d'orgoglio. Sono per le vie di Hammamet ed un vestitino nero senza maniche, sagomato sulle mie forme e con minigonna, mi fascia mentre passeggio nel suk, il mercato tipico pervaso dagli odori forti di spezie, insieme a mia sorella. Ci sediamo a gustare un sorbetto di limone. Il caldo e' intenso, la mia pelle e' imperlata di sudore. Vedo due ragazzi tunisini, entrambi mori, asciutto il primo, grosso ed insolitamente muscoloso il secondo, che ci indicano, ridacchiano e fanno gesti osceni, mimando il rapporto sessuale ed orale. In preda alla rabbia mi alzo e mi avvicino, non sono tipa da mettersi in soggezione: "Piantatela di fare gli stronzi". I due parlano italiano, male ma lo parlano, il più grosso dice: "Hai carattere, italiana, ma non volevamo offendere ne' te ne' tua sorella, stavamo dicendo che ci piacerebbe fottervi tutte e due. Io sono Malik, il miglior scopatore della zona, amo le italiane come te". La mia liberta' di decidere mi eccita, lo provoco: "Ho preso un sacco di cazzi, non sei il primo, sei sicuro di valere quello che dici?". Lui mi afferra la testa, mi parla minaccioso: "Sei tu sicura di poter reggere a tutto quello che ti farò? Ti farò godere fino a chiedermi pietà". "Vediamo" rispondo sicura. Ci accompagnano in una grande casa africana, muri gialli e tende porpora, nella penombra ci sono altri due (di cui uno rasato e con un grosso orecchino) che ci aspettano. Hanno in mano coltelli ed altre lame. Quello rasato, con una spessa cicatrice sul volto maschio, sembra il capo, parla volutamente italiano con accento francese ed ordina: "Separatele". Mia sorella grida: "no, voglio restare con lei". Io le dico: "stai calma, non ti faranno niente". "Infatti", mi risponde Malik, "useremo lei solo dopo aver usato te, sei tu quella da domare". "Vaffanculo" gli grido, per tutta risposta mi bendano, mi spogliano completamente, mi mettono addosso un lungo velo rosso trasparente, catene ai polsi dietro la schiena, un collare con catena al collo. Resto nella penombra per ore. Poi entrano in tre, più il capo, in mano una frusta di cuoio. Si avvicina, gli altri sono nudi, lui ha uno straccio che nasconde il sesso. Parlano concitatamente fra di loro nella loro lingua, poi vengo fatta girare di scatto, le mani vengono fissate ad una robusta barra di legno. Uno dei servitori nudi mi solleva la veste, il culo nudo è all'aria. Con gli occhi che gli brillano di malvagità, il capo comincia a battere e battere ancora. Resisto ai primi tre colpi, mordendomi le labbra, lui colpisce più forte su culo e schiena, io grido, intorno a me voci eccitate, incitamenti, risolini isterici. Dopo una ventina di frustate, il capo si gira verso Malik e gli ordina qualcosa. Lui è già pronto, nudo, riesco a vedere un enorme cazzo scuro, sui 27 centimetri, gli altri mi tengono ferma, le sue mani sono sulle mie natiche insanguinate, comincia ad incularmi. Il mio culo è vergine ed il dolore è tremendo, tento di non dare a questi bastardi soddisfazioni, ma mentre Malik mi apre, l'urlo soffocato assomiglia ad un ringhio ferito, eccitando tutti gli altri. Poi comincia lo spettacolo: sento i suoi grandi colpi, le palle che sbattono contro le chiappe, mentre mi strizza i capezzoli turgidi, mena grandi colpi, grondandomi il sudore addosso. Si inarca ad ogni botta, sempre più veloce e profondo, poi comincia a venire ed io con lui, gemo come una bestia in calore, a denti stretti. Mentre viene mi lecca le ferite della frusta sulla schiena, sento i getti di sperma nel culo, urlo anche io con le gambe che tremano. Non è finita. Il capo mi parla, mentre il seme di Malik mi scivola per le cosce: "Hai orgoglio, straniera, e sai dare piacere. I miei uomini ne vogliono ancora, dovrai farne godere tre, se non vuoi finire con la gola tagliata" e mi avvicina un machete alla gola. Esausta ma eccitata, rispondo: "vi faccio venire tutti, non siete altro che cazzi da usare". Mi levano quel che resta della veste, sono totalmente nuda e alla loro mercé: uno di loro si sdraia, mi metto il suo cazzo dentro, comincio a cavalcarlo, lo sento che geme, trema, mi sento afferrare per i capelli, non li distinguo più ormai, solo sagome ed i loro odori di cattiveria e sesso umido. Un secondo mi tira i capelli e mi mette un altro cazzo in bocca, entra fino alle palle, sento odore di muschio e zenzero, sto sballando, il mondo scompare e restiamo solo noi, la troia ed i suoi maschi. Succhio e spingo, mentre loro mi toccano, mi leccano, mi baciano, ed ecco il gran finale: un altro cazzo in culo, forse quello del ragazzino del suk, il dolore è atroce ma continuo a godere con tre uomini dentro. E' arrivato il momento del capo, con un gesto li fa fermare: "Guardami, donna". Si spoglia rivelando un corpo segnato da ferite, con un enorme cazzo (30 centimentri almeno) gonfio, parla ancora: "Ora ti possiederò con una spada doppia". Gli altri tre riprendono a muoversi, menando gran colpi, lui è dietro il ragazzino che mi incula, lo penetra, lui geme con il cazzo più duro, spinge, ora sono in due a spingermi da dietro, sempre più forte, sempre di più, sono fuori di testa ed urlo forte mentre tutti e quattro vengono in bocca, nel culo, nella figa infiammata. E' ormai notte ed io sono coperta di seme, sudore e sangue. Allora fanno entrare mia sorella, nuda, magra con il seno piccolo, molto diversa da me, spaurita. Lei, così giovane, è tutta per il capo. Lui prende un laccio di stoffa nera, la fa sdraiare e la incula, stringendole il collo con il laccio. Lo spettacolo è selvaggio, lei soffoca e gode, lui le viene in culo, per me è troppo, svengo...

DEBITI DI GIOCO


L’appuntamento era per le 14 in Via.... Arrivai con un ritardo di ½ ora ad una villetta. Suonai e venne ad aprirmi un uomo avvolto in una vestaglia colorata. "Sono Luisa, la moglie di Carlo. Sono venuta per quella faccenda". La "faccenda" era una partita a carte persa da Carlo il quale, messo alle strette dai creditori, aveva impegnato il mio corpo per il saldo definitivo. Non era la prima volta che perdeva, ma era la prima volta che ci trovavamo in serie difficolta'. Alla fine dopo pianti ed urla avevo acconsentito a recarmi all’appuntamento, non prima di averlo impegnato a desistere dal gioco. "Guarda guarda che bella fica di moglie tiene il nostro Carlo, penso che questo pomeriggio salderai il suo conto" e, messami una mano sul culo, mi attiro' a se' incollando la sua bocca alla mia. Sentii la lingua entrarmi fra i denti ed iniziare a leccarmi le gengive mentre un travaso di saliva passava dalla sua bocca alla mia. "Che buon sapore ha la tua bocca bambina, non vedo l’ora di farti succhiare il mio amichetto". Mi prese sottobraccio, sempre con la sua mano che mi accarezzava il culo, mi porto' all’interno della casa. Entrammo in un salotto dove su un divano una coppia stava facendo sesso. Un maschione peloso sui 40anni stava accovacciato sopra una ragazzina sui 18/19 anni infilando e togliendo il suo nodoso cazzo dalla bocca della malcapitata. "Sei arrivata giusto in tempo perche' stavamo per dividerci la troietta. Ma ti presento, lui e' Nico e lei e' Mara la figlia di un tipo come tuo marito, che voleva rifilarci il suo cesso di moglie ma abbiamo preferito fare cambio". Nico sfilo' il cazzo dalla bocca di Mara e, avvicinatosi, mi saluto' infilandomi la lingua in gola e strusciandomi il duro cazzo sulla pancia. "Sei proprio un bel ficone, non vedo l’ora di godermi la tua micina". "Dai, spogliati" e, detto fatto, mi aiuto' a spogliarmi lasciandomi nuda in un attimo. Poi, con uno sguardo famelico, mi prese fra le braccia e mi porto' sul grosso divano vicino a Mara, la quale era stata presa in consegna dall’altro uomo. Questi, toltasi la vestaglia, rivelo' anch’esso un grosso cazzo penzoloni fra le gambe e, una volta preso fra le mani, inizio' a sbatacchiarlo sulla bocca della bimba. "Dai, succhialo troietta, che fra un po’ te lo farò sentire nella fica". Nico mi sdraio' sul divano con la testa vicino a Mara e, sdraiatosi sopra, inizio' a slinguarmi la bocca e le tette. Devo dire che, se inizialmente la situazione mi aveva bloccata, ora iniziavo a sentire un certo desiderio perverso legato sia alla situazione, sia alla rivalsa verso Carlo che mi aveva messa in quella situazione. Sentivo la bocca di Nico sui capezzoli che li succhiava e mordeva dolorosamente, poi pian piano scese lungo lo stomaco, sulla pancia fino all’interno delle cosce che inconsciamente allargai. L’uomo apprezzo' il gesto e golosamente inizio' a lapparmi la fica. Sentivo l’eccitazione montarmi prepotentemente e mi ritrovai a mugolare mentre il lavoro di lingua sul mio clitoride scatenava scariche elettriche lungo tutto il mio corpo. Sentivo che anche Mara iniziava a mugolare e, gettato uno sguardo all’indietro, vidi il muso di Mac affondato fra le sue cosce ed il naso nascosto dalla leggera peluria che le ricopriva la fica. Inconsciamente girai la testa verso la ragazza e le nostre bocche si unirono in un lungo bacio. Le succhiavo la linguetta rosea mentre ondate di godimento mi assalivano dal ventre dove le dita e la lingua di Nico implacabilmente mi frugavano. "Guarda come godono queste due vacche lesbiche, su sdraiatevi una sull’altra e fateci vedere come ve la cavate col 69". Presala di peso Mac sollevò Mara e me la depose sopra, con la fichetta umida e spalancata a contatto della mia bocca. Allargai di nuovo le cosce ed immediatamente la lingua di Mara iniziò a saettare dentro e fuori la mia vagina. Anch’io iniziai a leccarla allargandole le natiche del culetto e titillandogli il buchetto dell’ano. I due uomini nel frattempo si godevano la scena di noi due menandosi lentamente il cazzo. Sentivo Mara godere ripetutamente sotto i miei colpi di lingua, mugolando e dimenando il culetto. Impazienti, Nico e Mac presero posizione vicino alle nostre vagine, Nico si mise a cavalcioni sopra il mio viso e, guidando il grosso cazzo con la mano, inizio' a strusciare il glande nel solco delle natiche di Mara. La punta, sfregando sulla mia saliva, andava su e giu' fra l’ano e le labbra della vagina. Poi, dopo avermelo affondato in gola per una ulteriore lubrificazione, riprendeva il percorso. Fra le cosce, leccate da Mara, sentii Mac impaziente che mi punto' il cazzo e, con forti colpi, mi riempi' la fica con il suo grosso membro. Mac mi prese per le anche ed inizio' a pomparmi furiosamente. Anche Nico sopra di me comincio' pian piano ad introdurre il glande nella vulva di Mara. Nonostante la salivazione e l’umore che ne usciva, Mara aveva ancora una fica giovane e stretta e sotto l’assalto del cazzo comincio' a gemere per il dolore. Ma Nico era implacabile e, lubrificando l’asta con la saliva e facendosi umettare il glande dalla mia bocca, dopo qualche colpo potente le entro' tutto sino alle palle. Io fra i colpi furiosi che ricevevo in fica e la vista della fichetta enormemente dilatata dal cazzo di Nico iniziai una serie di orgasmi. Mi dimenavo come una pazza leccando la fica e l’asta del cazzo con furia. Nico assestatosi saldamente al culo di Mara inizio' a fotterla con vigore. Il cazzo usciva lentamente dalla fica fradicia per poi rientrare con un suono di bagnato, Mara era un mugolio unico, vedevo gli spasmi della vagina aprirle e chiuderle le labbra attorno all’asta e solo la presa forte delle mani sul culo le impedivano di cadere dal divano. Il cazzo entrava e usciva, alle volte Nico me lo ficcava in gola per poi rimetterlo dentro finche' attraverso i coglioni che tenevo saldamente fra le mani, leccandoli, sentii le contrazioni della sborrata in fica. Godendo aumento' il ritmo delle pompate e così mi ritrovai a leccare lo sperma che usciva a fiotti dalla vulva riempita. Ma anch’io nel delirio ebbi la mia razione, infatti Mac, con dei colpi che mi squassarono la pancia, godette scaricandomi nella fica getti copiosi di sperma caldo. I due uomini uscirono dalle nostre pance ed ansimando si allungarono vicino a noi dove io e Mara pulimmo ben bene i loro cazzi dalla sborra rimasta. Mi appisolai fra le braccia di Mara e dopo un po' di tempo li lasciai e mi recai in bagno dove rimasi a lungo sotto la doccia. Rinfrescata e profumata rientrai nella camera e li' trovai i due uomini che nel frattempo avevano ricominciato a riscuotere gli interessi. Mac fra le gambe spalancate di Mara la stava fottendo vigorosamente, mentre Nico accarezzandole le tettine le aveva infilato il suo uccello in bocca. Mara chiaramente sofferente per le dimensioni degli organi si prodigava nel soddisfare i due cazzi e mentre Mac fra le sue cosce entrava sino alla radice, Nico dal canto suo si doveva accontentare di introdurre il cazzo solo fino alla cappella. Mi tolsi l’accappatoio e, salita a fianco dei due, iniziai a succhiare il cazzo di Nico. Divenuto rapidamente rigido come un palo lo sdraiai e, allargate le gambe, mi impalai su di lui con colpi energici. Sentivo il cazzo che mi riempiva completamente la pancia e, presami per il culo da sotto, inizio' con delle spinte a fottermi. Adattandomi alle sue spinte iniziai di nuovo a godere mentre vicino a me Mara era stesa sulla schiena e veniva soffocata dal corpaccione di Mac che con colpi vigorosi la stava squassando tutta. Resosi conto che la ragazzina era inerte sotto i colpi, Mac le sfilo' il suo cazzo dalla fica e, messosi alle mie spalle, inizio' a strusciarmi l’ano col suo glande. Cercai di divincolarmi spaventata, ma da sotto Nico mi teneva bloccata con le braccia, pur continuando a fottermi. Sentii Mac che mi spalmava della crema sullo sfintere iniziando a massaggiarmi l’ano per allentarlo. "Dai, rilassati, vedrai che se partecipi poi godrai come una troia con due cazzi nell’intestino". Pian piano sentivo il cazzo che mi penetrava il culo, ma ad ogni colpo Mac si fermava dando modo ai muscoli dello sfintere di adattarsi alle dimensioni del cazzo. Presto il piacere prese il sopravvento sul dolore e sempre col cazzo in fica che mi pompava, col culo iniziai a dimenarmi lentamente sicche' l’uomo riusci ad infilarlo sino in fondo. Gli spasmi degli orgasmi che mi squassavano mi davano alla testa raggiungendo presto sotto i colpi dei due uno stato di sfinimento. Non so quanto duro' ma sentii che finalmente all’unisono i due cazzi godettero ed un fiume di sborra calda mi riempi' completamente le viscere. Uscendomi dal culo e dalla fica sentii come se mi avessero tolto una parte del corpo e la sborra non piu' trattenuta dai due "tappi" inizio' ad uscire a rivoli. Mara, che nel frattempo si era ripresa, mi ringrazio' per il favore che le avevo fatto e messasi fra le mie gambe mi calmo' gli spasmi dei miei buchetti indolenziti, leccandomi e succhiandomi lo sperma che ne usciva. Tornai a casa tardi, tutta dolente nel culo, ripromettendomi di andare dal medico il giorno dopo per una visita e trovai Carlo nervoso davanti al televisore. "Allora Luisa com’è andata? Mi hanno saldato il debito?". "Si si non preoccuparti". Ed ad una nuova fitta dell’ano: "Ho persino lasciato la mancia!!".
L'ECLISSE L'ultima eclisse totale di Sole del ventesimo secolo era visibile all'interno di un ristretto corridoio che attraversava l'Europa, nella mattinata di martedì undici agosto, poco dopo mezzogiorno. Un cono d'ombra lunare avrebbe percorso l'Europa centrale fino al medio Oriente e l'India. La notizia fu riportata a caratteri cubitali sul numero di Luglio di Focus. Per nessuna ragione al mondo potevo perdermi l'occasione di ammirare questo fenomeno, tanto piu' che la distanza che separa Parma, la città dove abito, alla fascia centrale dell'eclisse e' di poche centinaia di chilometri. L'entusiasmo per questo evento fu tale che riuscii a coinvolgere in questa avventura anche Paola. Abbiamo programmato ogni spostamento nei minimi dettagli, individuando sulla cartina geografica le località dove l'eclisse avrebbe oscurato il cielo per piu' di due minuti. La fascia è piuttosto ampia. Non c'e' stato che l'imbarazzo della scelta, così abbiamo deciso d'andare a vedere il fenomeno in Germania. Prima di partire ci siamo munite degli strumenti necessari all'osservazione del fenomeno. Sappiamo bene che l'eclisse non va guardata ad occhio nudo, ma utilizzando dei filtri per la protezione degli occhi, per questo ci siamo procurate dei frammenti di vetro che abbiamo provveduto ad affumicare con la fiamma di una candela.. La sera prima sono andata a prendere il mio Wolkswagen California dalla rimessa e l'ho portato davanti casa. Paola ed io abbiamo provveduto a caricarvi sopra il necessario per il viaggio, biciclette da corsa comprese. Alle prime luci dell'alba, lasciamo la citta' verso la nostra meta. L'autostrada del Brennero, che da Mantova sale fino al confine, e' intasata d'auto. Soltanto dopo Vipiteno il traffico si fa piu' scorrevole. Alle tre del pomeriggio, dopo aver attraversato l'Austria, raggiungiamo Schwangau. Dall'alto di un cocuzzolo il castello di Ludwing esercita il proprio dominio nella valle sottostante ricca di boschi secolari e piccoli laghi. Il paesaggio e' da fiaba. Paola ed io decidiamo di fermarci due giorni in uno dei tanti campeggi che si affacciano sulle rive dei numerosi laghi. Appassionate di cicloturismo ci divertiamo a percorrere le piste ciclabili che s'intrecciano nei diversi itinerari e mettono in comunicazione i laghi fra di loro. Lasciamo questi posti e col camper ci dirigiamo verso Augsburg, distante un centinaio di chilometri lungo la Romantische Strasse. Dopo avere attraversato la tangenziale della città ci dirigiamo verso le colline. Il primo cartello stradale che incontriamo fuori della città indica un paese: Wertingen 4 Km. E' sera quando parcheggiamo il camper nella piazzola di un supermercato. Il luogo è illuminato dalla luce dei lampioni e appare sicuro. E' una soluzione che adotto quando mi capita di dormire fuori dalle aree custodite o campeggi. Paola ed io siamo molto amiche, la considero una sorella. Di comune accordo ci siamo spartite i compiti. Io guido il camper, lei si occupa della preparazione dei pasti. Ci svegliamo di buon ora. Consumiamo una ricca colazione e scarichiamo le biciclette dal camper. Decidiamo d'andare alla ricerca di un posto panoramico dove potremo assistere all'eclisse. Abbandonata la strada asfaltata ci inerpichiamo per un sentiero sterrato che s'inoltra nel fitto bosco. Poco dopo ci ritroviamo in un vasto spiazzo verde da cui si gode una stupenda vista panoramica della citta' di Augsburg, distante una decina di chilometri. Scendo dalla bicicletta e tolgo dallo zainetto una tela cerata. La stendo sul prato e dispongo il materiale che mi sono portata appresso per gustare al meglio l'eclisse. Paola mi imita e scarica il suo bagaglio. Il silenzio del bosco è interrotto dal rumore di rami secchi che cadono dagli alberi, frantumandosi sul terreno e dal fruscio dell'erba mossa dal vento. Il cielo, che nel primo mattino sembrava orientato verso il sereno, inizia ad oscurarsi. Nubi nere, cariche di pioggia, scorrono veloci nel cielo, coprendo a sprazzi il Sole. Ho intrapreso il viaggio col chiaro intento di vedere l'eclisse ed ora corro il rischio di non vederla a causa delle nubi che minacciano di oscurare il fenomeno. Seduta sul prato guardo col binocolo in lontananza. La città da questo punto di osservazione sembra piu' piccola di quando ieri l'avevamo attraversata in camper. Scruto i prati sottostanti al nostro punto di osservazione. Poco distante, a qualche centinaio di metri, noto un accampamento di tende. Prendo atto che non si nota alcuna presenza di gente, ma sono incuriosita da uno strano spiazzo che si trova al centro del bivacco. Una serie di grossi massi di pietre formano un cerchio del diametro di una decina di metri. Attribuisco la presenza delle tende a un gruppo di persone che come noi sono appostate li' in nell'attesa dell'evento astronomico. Prendo un vetro affumicato. Lo porto davanti agli occhi e guardo il Sole. I contorni della superficie della stella appaiono perfettamente tondi: e' evidente che il fenomeno non e' ancora iniziato. Prendo dallo zainetto un libro di Carter che mi sono portata appresso e inizio a leggere uno dei suoi brevi racconti. Mi piace andare in vacanza con Paola. Siamo entrambe espansive ed ognuna, pur nel rispetto dell'altra, e' libera di fare cio' che piu' le piace, anche inseguire la compagnia di altre persone. La nostra amicizia e' nata tre anni fa, quando ho preso servizio nella clinica in cui lavorava. A lei sono solita confidare i segreti della mia vita, anche le cose piu' intime. Sento il bisogno dell'amicizia di una persona con cui confidarmi, e lei assolve a pieno questo compito.. Il Sole fa capolino fra le nubi inondandoci di calore. Ci spogliamo dei nostri abiti e restiamo in costume ad abbronzarci. Una musica dalle modulazioni sconosciute viene ad interrompere la quiete del posto. E' una nenia che riproduce i suoni della natura. Distinguo il rumore dell'acqua dei fiumi, quello del vento e anche quello della legna che brucia. Prendo il binocolo e lo punto verso l'accampamento di tende. E' da li' che provengono i suoni. Scruto l'area del campo e le zone limitrofe, ma non scorgo anima viva. Probabilmente le persone se ne stanno rintanate sotto le tende in attesa del fenomeno astrale. Scrutiamo il cielo. Finalmente l'eclisse ha avuto inizio. Grazie ai vetri affumicati ne seguiamo la lenta evoluzione. Dopo la prima osservazione ci sdraiamo sul prato e ricominciamo a leggere. All'improvviso, confusi con l'ambiente e dal rumore del vento, una quindicina di persone ci saltano addosso. Non abbiamo il tempo di tentare la benche' minima resistenza. L'unica cosa che ci lasciano fare e' urlare, e noi lo facciamo con tutte le nostre forze, ma per poco tempo. C'imbavagliano la bocca con una benda, divaricandoci mascella e mandibola. Veniamo sollevate di peso e portate a spalla lungo un sentiero che scende per la collina. Durante il tragitto ho modo di osservare attentamente i nostri aggressori. Indossano un lungo camicione nero che gli giunge fino ai piedi. Hanno il capo coperto da un cappuccio appuntito verso l'alto. Sul petto hanno dipinto un cerchio di colore rosso con all'interno una specie di stella a cinque punte rovesciata. Mi sembra di aver già visto quello strano simbolo, ma non ricordo dove e in quale occasione. In passato ho visitato parecchie cattedrali durante i miei soggiorni in Francia, forse quel simbolo l'ho visto nel sotterraneo di una vecchia chiesa a... Rennes-le-Chateau. Ma dove cavolo sono capitata, penso. E questi da dove sono saltati fuori? Non può trattarsi di uno scherzo, tanto più che né Paola né io conosciamo persone da queste parti. E' improbabile che i nostri amici ci abbiano seguito dall'Italia fin qui, per giocarci uno scherzo simile. Il gruppo procede in fila indiana lungo il sentiero come si trattasse di una processione. Se prima l'unica mia preoccupazione era di capire chi fossero queste persone, adesso sono terrorizzata per cio' che potrebbe capitarci. Sbuchiamo in una radura. Alcune tende da campo sono sparpagliate nel prato. Probabilmente deve trattarsi delle stesse che poc'anzi ho individuato col cannocchiale dalla mia postazione. Veniamo trascinate al centro del cerchio di pietre e sassi, fatte sdraiare per terra, dopodiche' alcuni di loro provvedono a divaricarci le gambe e allargarci le braccia fissandole a dei picchetti di ferro precedentemente piantati nel terreno. Nell'aria echeggia una musica, la stessa che ho avuto modo di udire dal punto in cui non molto tempo fa stavo ad osservare l'eclisse. Le note provengono da due casse acustiche collegate ad un amplificatore posato su un tavolo. Uno degli adepti alla setta, che intuisco essere una donna, per le chiare forme femminili celate sotto la tunica, mi viene vicino. Nella mano impugna una forbice e con quella taglia l'elastico dello slip che indosso. La stessa operazione la esegue sul reggiseno strappandomelo via e lasciandomi nuda. Anche Paola viene denudata. A questo punto ho perso la cognizione del tempo. Alcuni di loro indirizzano il capo, che ancora tengono incappucciato, verso il Sole. Mi e' chiaro che la messinscena è in relazione con l'eclisse. I personaggi che ho intorno a me devono appartenere a qualche setta satanica. Forse hanno bisogno d'immolare vittime sacrificali e dare sfogo a dei riti orgiastici.. Gocce di pioggia incominciano a cadere dal cielo che si è fatto plumbeo. Uno degli incappucciati si e' messo dinanzi ai miei piedi abbondantemente divaricati. Dal suo atteggiamento traspare evidente che trova piacevole la vista della mia fica messa in bella mostra. Di colpo la musica assume un ritmo incalzante, quasi ossessivo. I nostri rapitori si liberano delle tuniche nere che portano indosso. Restano nudi, con il solo cappuccio sul capo. La maggioranza di loro sono persone giovani. Le donne hanno i seni sodi. I peli del pube, quasi tutti biondi, sono privi di striature grigiastre tipiche delle persone di una certa eta'. Alcune hanno segni di smagliature nelle gambe e sui glutei. Gli uomini, a giudicare dalla consistenza della sacca dello scroto, non sono anziani. E poi col mio mestiere sono buona intenditrice di particolari anatomici e so distinguere bene l'eta' delle persone attraverso le forme dei genitali. I nostri rapitori perseverano nel tenere il cappuccio sopra il capo. E' certo che non vogliono essere visti ed e' un buon segno, perche' potrebbe significare che hanno intenzione di lasciarci libere. D'improvviso uomini e donne si aggrapparono gli uni agli altri con le mani. Innalzano verso il cielo le dita ed iniziarono a danzare attorno a noi al suono della musica. La danza s'interrompe. Tutti si precipitano verso una tenda. Da li' esce una donna che stringe nelle mani una pentola. Maschi e femmine intingono le dita nel recipiente cospargendosi il corpo con l'unguento che vi e' contenuto, poi iniziano a sfiorarsi l'uno contro l'altro come per gioco. Questi toccamenti li eccitano. Lo intuisco dall'inturgidimento dei cazzi degli uomini che sono aumentati di volume stimolati dalle movenze delle donne. La voglia di giocare e di fare all'amore e' ben espressa dalla voracità dei movimenti delle loro mani che scivolano nei recessi piu' nascosti dei corpi delle persone con cui vengono a contatto. Mi appare evidente il loro stato di eccitazione, ma non riesco a farmi una ragione del perche' Paola ed io siamo state imprigionate. La donna che poc'anzi aveva portato la pentola con l'unguento si avvicina verso di me. Con fare oculato cosparge il liquido in ogni parte del mio corpo, insinuandosi con le dita in ogni orifizio. Infine afferra una zampa di gallina e l'intinge più volte dentro un barattolo che sembra contenere del liquido denso di colore rosso, assomigliante a sangue di animale. Adopera la zampa come si trattasse di un pennello dipingendomi sul petto una grossa croce rossa. Terminata l'operazione toglie da un cesto dei petali di rose rosse e li cosparge per intero sul mio corpo. Tiro un sospiro di sollievo. Per un istante ho temuto che la cosa potesse finire in modo cruento. La donna si allontana ed ho l'impressione che il rituale sia completato senza che sia ripetuto sul corpo di Paola. A questo punto mi sembra più che evidente che la vittima sacrificale debbo essere io.. L'avvento dell'eclissi e' imminente. I rapitori iniziano a congiungersi in sfrenati atti orgiastici all'interno del perimetro delimitato dal cerchio di pietre. Sono impaurita, non mi e' mai accaduto di assistere o partecipare ad amplessi di questo genere. Attorno a me vedo una infinita' di cazzi che penetrano nelle fiche in un clima boccaccesco. Altri uomini si congiungono fra loro e altre donne succhiano fiche e culi di uomini. D'incanto tutti si separarono. I maschi prendono da un contenitore un preservativo e lo infilano sul cazzo. Resto stupita, non comprendo il perche' della manovra, dal momento che fino a poco prima i contatti sessuali erano stati non protetti. All'improvviso il sole si oscura completamente lasciando nel cielo, ben visibile, una corona luminosa tutt'intorno il pianeta. La Luna ha coperto per intero il Sole: è l'eclisse. Uomini e donne si prendono per mano e riprendono a danzare formando un cerchio. I preservativi che al Sole apparivano trasparenti, nel buio paiono fosforescenti e di colori diversi. Sdraiata per terra vedo volteggiare sopra la mia testa i loro uccelli luminosi. E' uno spettacolo fantastico, indescrivibile. Nel buio più completo non riesco a vedere i loro corpi, ma solo le appendici luminose dei cazzi che appaiono di diverse dimensioni e si muovono liberi come farfalle in un rito magico e propiziatorio. La scena dura alcuni interminabili minuti, tanto quanto la durata dell'eclisse. Al ritorno della luce uomini e donne esultano e urlano in segno di giubilo. Terminato il rito li vedo avvicinarsi verso di me. Le dita delle loro mani affondano nella mia pelle, accarezzandomi e solleticandomi in ogni parte. La loro non è una violenza, ma un'arte di seduzione. Lo comprendo dalla delicatezza dei loro movimenti e dal tipo di carezze. Le continue attenzioni servono solo a prepararmi ad un successivo e più intenso piacere, perlomeno questo e' cio' che intuisco. Non posso sottrarmi ai loro gesti e alle loro premure. Se prima ero terrorizzata ora sono succube dei loro riti magici. L'eclissi e l'orgia hanno liberato una parte della mia personalita' sconosciuta anche a me. Ai loro toccamenti faccio corrispondere i movimenti del mio corpo, incapace di restare insensibile a quelle particolari attenzioni. La mia passerina diventa sempre piu' bagnata ad ogni passaggio di carezza. Un uomo, dopo essersi sfilato il preservativo, infila le dita nella fessura della mia fica. Tasta la mucosa, si corica su di me, e inizia a chiavarmi. Il suo cazzo e' duro come il marmo. Si muove dentro senza fretta, con sapienza. Una delle sue compagne si pone alle sue spalle e da sotto gli accarezza le palle. Altri due uomini si mettono in ginocchio ai lati del mio capo e iniziano a masturbarsi. Le mani di alcune donne accarezzano i miei capezzoli strofinandoli. Deliziata da quei toccamenti mi diventano turgidi e scoppiano di piacere. Alle mie spalle qualcuno mi libera la bocca dal bavaglio. Ascolto l'ansare del respiro degli astanti mentre si sollazzano sul mio corpo. Non sono più spaventata. Con ansia attendo il sopraggiungere dell'imminente orgasmo. Non ci vuole molto tempo. L'utero si contrae mentre l'uomo che mi sta chiavando è al culmine del piacere. Vengo prima di lui mentre continua a pomparmi. Urlo al cielo il mio appagamento come se fossi una indemoniata. I due che stanno di lato al mio viso, intenti a masturbarsi, eccitati dallo spettacolo che sto offrendo col mio orgasmo bestiale, accelerano i movimenti della mano fino ad eiaculare, innaffiandomi la bocca di sperma. Assatanata e fuori di testa inizio a inghiottire la sborra leccando il cazzo ad entrambi, succhiando fino all'ultima goccia di cio' che e' rimasto sulla cappella di ognuno. L'uomo che mi sta chiavando inizia a tremare e mi sborra nella fica irrigidendosi in tutto il corpo. Di nuovo ho un orgasmo vaginale. Le donne intorno a me, invidiose dalla mia remissivita', iniziano a graffiarmi sull'addome, sopra le tracce della croce di sangue dipinto poco prima sul mio corpo. Una di loro s'inginocchia dinanzi alla mia fica e prende il posto dell'uomo che poc'anzi mi ha chiavata. Solleva parzialmente il cappuccio lasciando intravedere le labbra che affonda sul mio clitoride. La lesbicona ci sa fare, eccome! Sa bene come prendermi. Con le dita allarga le pareti della fica e s'intrufola con la lingua nella mucosa. A quelle sollecitazioni rispondo innaffiandola di piscia, tanta e' la mia eccitazione. Mi ritrovo a borbottare frasi sconnesse in una lingua a me sconosciuta. Nel frattempo altri due uomini hanno sostituito i due che hanno sborrato nella mia bocca. Anche loro iniziano a masturbarsi vicendevolmente stringendo nella mano il cazzo dell'altro. La lesbicona continua imperterrita a leccarmela. Con un colpo deciso infila due dita nella mia fica e inizia a muoverle. Prende fra le labbra il mio clitoride, che sta scoppiandomi tanto e' turgido e gonfio, ed inizia a succhiarlo. Sto perdendo i sensi, tanto e' sconfinato il mio turbamento. Inizio ad avere allucinazioni e sono in uno stato di confusione mentale indescrivibile. Mentre la lesbicona tiene allargata la mia fichetta con le dita, fremiti di piacere mi percorrono le cosce e le contrazioni della fica mi provocano capogiri. Non so quante volte sono venuta, quello che so e' che d'improvviso mi ritrovo ancora una volta ad ingurgitare lo sperma dei due maschi che stanno di fianco al mio viso. Difficile dire quanto tempo sia durata l'orgia. Tutto ha preso a rotearmi davanti agli occhi sempre più vorticosamente. Le mie sensazioni si sono fatte più confuse, ho la vista annebbiata e perdo conoscenza.. Una pioggia scosciante mi risveglia dal torpore. I nostri amici hanno levato le tende e se ne sono andati via lasciandoci sole ed inermi sul prato. E' sera quando riusciamo a liberarci dalle corde che ci tengono legate. Anche Paola ha subito lo stesso trattamento che hanno riservato a me. E' dura riuscire a ristabilire un contatto umano con la mia amica. Pur apparendo in buone condizioni ha lo sguardo spento e sembra in stato catatonico. Di comune accordo decidiamo di non denunciare il fatto alla polizia, la cosa ci creerebbe grane a non finire. Stabiliamo di tacere e tornare in Italia.. Guido tutta la notte, la mattina siamo a Parma. Accompagno Paola fino sulla porta di casa e nel farlo capisco che non la vedro' per molto tempo. Io invece mi sento stanca e stranita, ma non certo depressa. A casa, mi ficco sotto le lenzuola e mi addormento di un sonno profondo, privo di sogni. Mi sveglio che e' sera, sto benissimo e non risento in alcun modo della "violenza" subita. Il mio subconscio non la ritiene affatto tale. - Mamma mia, che gran troia che sono - penso mentre compiaciuta guardo il mio corpo nudo davanti allo specchio. Un segno dell'avventura mi e' rimasto. E un piccolo tatuaggio sulla spalla che qualche componente della setta ha inciso sulla mia pelle quando ero incosciente. Il disegno raffigura una farfallina

AMMUCCHIATA


Siamo ammucchiati uno sull'altro ma non ci accorgiamo dell'altro. Qualcuno ha introdotto l'uccello nel mio didietro e spinge con insistenza la cappella dentro e fuori il foro dell'ano. Carponi sul pavimento serro fra le labbra il cazzo di un individuo di cui nemmeno distinguo il volto, per niente interessata alla sua identita'. La stanza, semibuia, e' resa più luminosa dagli sterpi di legno che fiammeggiano nel caminetto e ravvivano l'ambiente. Ammassi di corpi giacciono sul parquet, stanchi e spossati, impegnati ad infilare, levare, accogliere e scambiarsi emissioni di liquidi d'ogni sorta. Ho persino la sensazione che alcuni stiano per perdere i sensi, tanto sono straniti, ma forse la loro e' solo paura, patimento o magari soddisfazione. Godo! Cazzo se godo! Sentire la cappella che scivola fluida avanti e indietro nello sfintere del mio culetto mi fa stare bene: raramente mi succede durante la giornata, sia quando sto a casa di riposo o sono al lavoro in ospedale. Accompagno i movimenti dell'ospite, che trattengo ben stretto nel culo, con quelli delle labbra che serrano nella bocca l'altra cappella. Ho preso l'abitudine di fare sesso con più persone, simultaneamente, gia' da alcuni anni e non so piu' farne a meno. Lo faccio una volta al mese, quando mi e' permesso di farlo, anche se desidererei farlo piu' spesso. Rantoli di appagamento si sovrappongono ai movimenti dei corpi che mi circondano. Stasera ho la fica inviolata. Stranamente nessuno di coloro che partecipano al rito orgiastico si e' fatto sotto a cercarmela. Il culo mi brucia. Sopporto con piacere il dolore che mi provoca l'inculata, ma ho voglia di essere chiavata al piu' presto. L'uomo che sta davanti a me inizia a tremare. Sfilo l'uccello di bocca e continuo a menarglielo fintanto che un getto di sperma mi coglie in pieno viso. Serro le dita sul cazzo e infilo la cappella fra le labbra inglobando il resto dello sperma che continua a fuoriuscire dall'uretra. Il sapore dell'emulsione, che deglutisco con enorme piacere, è dolciastro. Lascio che termini di defluire, poi lecco la cappella fino a renderla liscia e opaca. L'uomo che mi sta didietro e' ostinato nella sua opera, l'aiuto movendo il bacino e mettendomi in sincronia con i suoi spostamenti. Vorrei che qualcuno si facesse largo fra la massa di corpi che mi circondano e m'infilasse il cazzo nella fica, perlomeno potrei godere di una duplice penetrazione, ma nessuno si fa avanti. Accarezzo il clitoride e provo un dolce piacere nel toccarmi. Meglio tenere due dita nella fica piuttosto che niente, penso, mentre l'uomo che sta dietro il mio culo continua zelante a pomparmi. Qui, in mezzo a queste persone, ho la chiara percezione di quanto sia sottile il confine fra vita e morte: privilegio di pochi e' sapersi conquistare gli attimi di godimento che abbiamo a disposizione nella nostra esistenza terrena. Stasera sono qui, ancora una volta, per cogliere la verità di questa filosofia di vita e godere appieno dei piaceri della carne. L'ansimare del mio partner e' avvisaglia dell'imminente orgasmo che sta per sopraggiungere. Accelero il movimento delle dita sul clitoride per non essere da meno del mio ospite e raggiungere, insieme a lui, l'estremo piacere, invece mi previene sborrandomi nel culo. Lo fa attirando verso di se' le mie natiche giovandosi della forza delle braccia.. L'aria fresca della notte entra dal finestrino laterale della mia Opel Tigra dispensandomi un gradevole refrigerio. Attraverso la citta' con estrema facilita' e in un battibaleno sono gia' oltre il torrente, a pochi isolati dalla mia abitazione. E' strano constatare come la Via Emilia, alle tre di notte, sia invasa da una moltitudine di autovetture che vagano, apparentemente senza meta, per la citta', a fare che (penso io)? Finalmente a casa. Abbandono la borsetta sulla cassapanca, tolgo le scarpe e a piedi nudi mi dirigo verso la stanza da bagno. Tolgo di dosso gli indumenti ed entro nel box della doccia. Ho la necessità di rimuovere le residue tracce di sperma che punteggiano la mia pelle. Lascio che l'acqua scivoli sull'epidermide e sottragga i residui segni dell'amore di gruppo. Detergo le mani di sapone liquido aspergendomi i seni e poi la fica con l'essenza profumata. Scendo con le dita nel pavimento pelvico fino all'ano e sfrego i due peduncoli emorroidali che stanno ai lati dell'orifizio. Poco dopo sono in camera. Luca è addormentato. Levo l'accappatoio di spugna che ho indossato dopo che ho fatto la doccia e scivolo sotto le lenzuola. Il mio uomo se ne sta coricato sul fianco in posizione fetale. Avvicino il ventre alla sua schiena e lo circondo con un braccio attorno al torace. Luca si gira e bisbiglia alcune parole. - Già qui? - Sono le tre... - E' andato tutto bene? - Sì. - Ti sei divertita? - Mmm... un po'. Stendo la mano sopra l'addome di Luca fino a farla scendere sotto l'elastico degli slip, poi inizio a tastargli l'uccello. In un batter d'occhio è turgido. Mi metto cavalcioni sul ventre del mio uomo e guido il membro dentro la fica, poi inizio a muovere il bacino spingendolo avanti e indietro, ruotandolo sul rotolo di carne che si eleva turgido fra le cosce di Luca. Godo! Cazzo se godo! Mi muovo senza sosta, sempre più in fretta. Lui palpa con le mani le coppe dei miei seni, le cui sporgenze erettili sono turgide e fremono di piacere a contatto con delle dita. Godo. Goodo! Mammia mia quanto godo! Trafiggo con le unghie la carne di Luca nella parte superiore del torace, in prossimità delle clavicole. Lui ha un sussulto e ansima di piacere. Ormai è prossimo a venire, lo percepisco dal respiro sempre più affannoso; anch'io sto per raggiungere l'agognato piacere. L'orgasmo arriva improvvisamente, violento, cogliendoci in un incontrollato tremore. Urlo come una pazza. Un flash di calore sale dall'utero e percorre per intero il mio corpo scoppiandomi come un petardo nel cervello. Mi accascio su Luca e piango. La sua mano mi accarezza il capo ed è l'ultima cosa che avverto prima di addormentarmi fra le sue braccia.

PREPARATIVI DI NOZZE

Giancarlo andò in bagno. Aveva la bocca impastata del sapore acre e pungente dei residui d'alcool ingerito la sera precedente alla festa d'addio al celibato. Furono sufficienti pochi risciacqui col collutorio per togliere dalla bocca i cattivi odori. Entrò nel box della doccia e lasciò che l'acqua sottraesse alla pelle le tracce di sudore. La cerimonia nunziale sarebbe iniziata nel tardo pomeriggio, aveva a disposizione poche ore di libertà, dopodiché sarebbe stato civilmente legato ad una donna. La serata al ristorante era trascorsa piacevolmente. In compagnia degli amici aveva fatto il pieno di risate e bicchieri di champagne. Sulla strada del ritorno si era fermato a casa dell'altra donna con cui da anni intratteneva una relazione amorosa. In sua compagnia aveva trascorso la nottata dando l'addio al celibato.... L'acqua della doccia aveva il pregio di togliergli di dosso la spossatezza che sovente lo affliggeva al risveglio. Col pensiero andò a Letizia, sua promessa sposa, e ripercorse le fasi della loro relazione sentimentale. Si erano conosciuti sui banchi dell'università. Lui figlio di una coppia di operai, lei di genitori facoltosi. La diversa estrazione sociale, e non solo quella, aveva creato fra loro due una barriera all'apparenza insormontabile. Infatti, pur avendo frequenti rapporti di studio non erano mai stati in amicizia. Acquisita la laurea in medicina Letizia aveva proseguito gli studi specializzandosi in Medicina Interna, lui invece si era trasferito a Modena come titolare di un posto di assistente in Medicina del Lavoro. Alcuni anni più tardi le loro strade s'incrociarono di nuovo. Accadde una sera d'inverno. Giancarlo era giunto al cinema Astra in leggero anticipo rispetto all'ora d'inizio della proiezione. "Baci Rubati", il film di quella sera, rientrava in una rassegna di film dedicata a François Truffaut. Giancarlo se ne stava nel foyer intento a fumare una sigaretta davanti ad una locandina del film, quando una mano gli sfiorò la spalla. Si girò e con sorpresa incrociò lo sguardo di Letizia. - Ciao! Che piacere rivederti a distanza di tanto tempo - disse la ragazza aprendosi in un cordiale sorriso. - Beh... La sorpresa è tutta mia. Non avrei mai immaginato d'incontrarti alla proiezione di un film di Truffaut. - Beh... Sincerità per sincerità, anch'io sono sorpresa di ritrovarti qui. Ero sicura che impegnassi il tempo libero dedicandoti alla politica. Invece ti ritrovo qui, da solo, in una gelida serata d'inverno a vedere un film girato nel sessantotto. Ah! Già, forse è per questo che sei qui. - Ti sbagli, non è cultura sessantottina la mia. Sono qui perché adoro Truffaut, in particolare i suoi film che hanno come protagonista Antoine Doinel. Forse dipenderà dal fatto che, come molti della mia generazione, riconosco in quel personaggio molti miei pregi e soprattutto i difetti. Antoine è come tutti noi. Un uomo alla ricerca di un'identità, in un mondo che invece è popolato solo di apparenze. - Anch'io apprezzo i film di Truffaut - replicò Letizia. - Magari in maniera diversa dalla tua. Sono più legata alle storie d'amore tipo "La signora della porta accanto" o di "Adele H" sono i due film di Truffaut che più adoro. Durante la proiezione scambiarono un'infinità di commenti come mai era accaduto in tanti anni che si conoscevano. Entrambi non erano più giovanissimi, ormai avevano raggiunto i quarant'anni e ciascuno aveva alle spalle un intenso vissuto. Quella sera per una serie di fortuite circostanze nacque fra loro una particolare intimità, una simpatia sfociata in un profondo affetto. Uscirono dal cinema canticchiando le note di "Que reste t-il de nos amours?", una vecchia canzone di Charles Trenet, le cui musiche facevano da motivo conduttore al film. Il giorno seguente Giancarlo fece visita a molti negozi di dischi con la speranza di rintracciare quello su cui stava incisa la canzone. L'insistenza con cui si era cacciato in quella ricerca fu premiata dalla tenacia di un negoziante che dopo averne fatto richiesta direttamente alla Paté, la casa musicale che produceva i dischi di quel cantante, riuscì a fare arrivare una copia del disco. Quella sera al cinema notò che Letizia era profondamente cambiata, non era più la ragazza borghese e vanitosa di un tempo. La vita in ospedale, il contatto con i problemi della povera gente l'avevano profondamente cambiata. Naturalmente c'era chi aveva malignato quando Letizia aveva iniziato a mostrarsi in pubblico con lui. Da tempo c'era chi faceva illazioni su di lei, specie sull'identità sessuale, insinuando che fosse lesbica. Risultava, infatti, inspiegabile che una donna bella come lei potesse vivere senza un uomo accanto.... L'acqua della doccia scorreva tiepida sulla pelle di Giancarlo disperdendosi in mille rivoli. Gli tornò alla mente la prima volta in cui lui e Letizia avevano fatto l'amore. Accadde poche settimane dopo il fortuito incontro al cinema, dopo quella volta avevano iniziato a frequentarsi assiduamente, specie nei fine settimana, scoprendo poco per volta le tante affinità che avevano in comune. La congenialità dei caratteri era sfociata in una profonda attrazione sessuale. Una sera, con la scusa d'invitarla nel proprio appartamento ad ascoltare il disco di Charles Trenet, che aveva ritirato dal negozio di musica avevano fatto l'amore per la prima volta. Prima d'incontrare Letizia la sua vita sentimentale era stata burrascosa, costellata di tanti amori ed altrettanti fallimenti. Aveva convissuto con parecchie donne senza instaurare con nessuna un rapporto duraturo. Forse per colpa del suo carattere schivo che molte donne scambiavano per presunzione. Nella vita privata, come in quella professionale, si era dimostrato molto altruista e della solidarietà aveva fatto uno dei suoi principi di vita. La scelta di specializzarsi in Medicina del Lavoro, poco gratificante sotto l'aspetto economico faceva di lui un tipo speciale e Letizia lo aveva capito. Seduti sul divano avevano ascoltato più volte "Que reste t-il de nos amours?" Lui aveva indossato gli abiti di Antoine Doinel, e come il protagonista di "Baci rubati" avvicinò timidamente le labbra a quelle di Letizia seduta al suo fianco e la baciò. L'incontro delle bocche fu delicato, rimasero distanti l'uno dall'altro senza sfiorarsi coi corpi, lasciando alla permeabilità delle labbra d'assaporare il frutto maturo del loro desiderio. Continuarono a baciarsi per molto tempo come due ragazzini, consci di ciò che stava accadendo. Era l'inizio di un rapporto importante ed entrambi non avevano intenzione di bruciare in pochi istanti ciò che stavano aspettando da una vita. Giancarlo s'inginocchiò sul tappeto e attirò Letizia a sé. - Ti amo - le disse guardandola negli occhi, lasciando dietro le parole un lungo periodo di silenzio. - Anch'io - rispose lei, senza abbassare lo sguardo. Non furono necessarie altre parole. Si erano detti tutto. Iniziarono a spogliarsi togliendo di dosso gli indumenti. Si ritrovarono nudi, inginocchiati l'uno di fronte all'altro. Seppure non giovanissima Letizia era una donna ancora bella ed affascinante. Aveva prestato particolare attenzione alla cura del corpo. Sulle gambe, come sui glutei, non aveva traccia di smagliature. La pelle non era affatto raggrinzita. Al contrario era liscia e morbida come quella di una ragazzina. In quell'occasione portava i capelli raccolti dietro il capo a coda di cavallo che le davano un aspetto giovanile e spigliato. Giancarlo pose le mani sui seni, lei lo imitò affondando le unghie sulle sporgenze carnose dei capezzoli di lui. Continuarono a sfiorarsi avidi di desiderio, consci che quegli interminabili istanti sarebbero sfociati nella fusione dei loro corpi. Restarono inginocchiati sul tappeto, l'uno di fronte all'altro, scrutandosi reciprocamente. Il cazzo di Giancarlo era diritto, pungente e la cappella si strofinava sull'addome di lei. Infilò la punta della lingua nella bocca di lei accompagnando la penetrazione con il movimento delle mani che afferrarono le natiche della donna attirandola a sé. Giunti all'apice dell'eccitazione iniziarono a masturbare il sesso dell'altro, lentamente, senza fretta. Non furono capaci di resistere per molto tempo a quel ritmo. Dopo pochi istanti Giancarlo la fece scivolare sul tappeto e la penetrò come aveva desiderato farlo dall'istante in cui Letizia aveva messo piede nell'appartamento. L'uccello scorreva nella fica a fatica, tanto erano insistenti gli spasmi di piacere che ne contraevano la mucosa. Letizia affondò con violenza le unghie nel petto di lui. L'orgasmo li sorprese mentre avrebbero voluto proseguire nei loro giochi amorosi. Venne prima lui poi, eccitata dalle contrazioni, lei lo seguì a ruota, lasciando che gli sborrasse nella fica. La loro storia d'amore aveva preso inizio quella sera. Ora, a distanza di due anni da quell'incontro oggi pomeriggio avrebbero coronato il loro sogno d'amore sull'altare. La decisione l'aveva presa lui vincendo una certa ritrosia di Letizia che alla fine aveva ceduto alle sue insistenze. Giancarlo uscì dalla doccia. Indossò i boxer e poi la canottiera. Si trasferì in cucina e prese dal frigorifero la caraffa di caffè d'orzo. Ne riempì una tazza e sorseggio il liquido. Nonostante lui e Letizia avessero convissuto per lunghi periodi dentro la stessa casa, sapeva per esperienza che la convivenza sotto lo stesso tetto è il punto debole di ogni rapporto di coppia. La loro relazione era basata su una profonda stima reciproca e l'intesa sessuale era perfetta. Una cosa faceva eccezione: Letizia non aveva mai lasciato che la penetrasse nel culo, ma ciò non lo aveva disturbato più di tanto, anche se in più occasioni le aveva rinnovato quella richiesta. Lei ogni volta aveva elargito altrettanti rifiuti. In compenso sapeva fare molto bene una cosa che molte donne spesso si rifiutano di fare: leccargli il buco del culo! Dopo la cena di nozze avevano in programma di trascorrere la notte nella villa dei genitori di Letizia. Sarebbero partiti il giorno dopo in automobile per Pont-Aven, cittadina della Bretagna dove solitamente amavano trascorrere le vacanze. Giancarlo si era ripreso dal mal di testa. Se ne stava seduto sul divano a guardare un film in tivù quando il trillo del telefono lo riportò alla realtà. - Pronto. - Ciao... come stai? Hai trascorso una buona nottata? - Letizia, non essere sciocca. Sai benissimo come vanno a finire queste cene fra amici. Si beve... Fino a quando qualcuno cade in terra ubriaco e tutti si accorgono che è stato superato il limite. A proposito, tu stai bene? - Si, sto aspettando che arrivino le mie amiche, mi aiuteranno a vestirmi. Intanto vicino a me c'è mio fratello. E' giunto stamani in aereo da Boston... A proposito ti manda i suoi saluti. - Ricambiali, dopo la cerimonia avremo tutto il tempo per parlare a cena. - Ciao... Allora ci vediamo in chiesa. Mi raccomando se hai qualche problema telefonami. - Si... Ciao. Ripose la cornetta e tornò a guardare la tivù. Lui non aveva affatto tribolato nell'organizzare il matrimonio. Se n'era occupata Letizia che a sua volta aveva demandato l'organizzazione ad un'agenzia. Alla cerimonia sarebbero stati presenti pochi invitati dalla parte di lui. I genitori erano entrambi deceduti e non aveva altri parenti. Gli restava una sorella: Cinzia, di qualche anno più giovane che gli avrebbe fatto da testimone. La madre ed il padre di Letizia invece erano ancora vivi e godevano di ottima salute. Il fratello, medico pure lui, era tornato dagli Stati Uniti appositamente per la cerimonia ed avrebbe fatto da testimone alla sorella. La celebrazione ebbe inizio con alcuni minuti di ritardo rispetto all'ora prevista. Letizia, che per tutta la giornata era stata spigliata e brillante, si era lasciata andare ad una crisi di pianto nel momento in cui stava per uscire di casa. Fu necessario riordinarle il trucco del viso, così giunse in chiesa con qualche minuto di ritardo. La cerimonia di nozze ebbe luogo nella chiesetta di Barbiano, sulle prime colline della città. Letizia si presentò sul portone della chiesa accompagnata dal padre, indossava un magnifico abito bianco, con uno strascico lungo alcuni metri tenuto sollevato da due damigelle. Alla celebrazione liturgica, condotta nella più rigorosa semplicità, faceva da contrasto la raffinatezza e l'eleganza degli invitati, poco più di un centinaio. Dopo che i loro rispettivi fratelli presero posto accanto a loro, per svolgere la funzione di testimoni, ebbe inizio la cerimonia. Gli sposi si scambiarono gli anelli e con loro la promessa di fedeltà e di rispetto per il resto della vita. La cena fu servita all'aperto, sul prato della villa dei genitori di Letizia. L'agenzia cui avevano demandato l'organizzazione del trattenimento aveva provveduto a disporre i tavoli sotto i gazebo illuminati da un'infinità di candele e dal chiarore delle stelle. La serata trascorse piacevolmente. Il taglio della torta pose fine alla serata, poco più tardi gli invitati si congedarono. Alle due gli ultimi ospiti lasciarono la villa. Nell'edificio rimasero solo alcuni parenti che sarebbero ripartiti il mattino successivo dopo essersi fermati a dormire, allo stesso modo degli sposi. Una volta in camera da letto Giancarlo e Letizia s'infilarono sotto le lenzuola. - Buonanotte. La nostra luna di miele inizia domani. Questa notte riposiamoci - aveva sussurrato Letizia all'orecchio del suo uomo dopo averlo baciato sulla guancia e spento la luce. Si addormentarono poco dopo, abbracciati l'uno all'altro. Verso le tre di notte Giancarlo si svegliò. Il vento faceva sbattere le imposte della finestra contro il muro provocando un gran fracasso. Protese la mano verso l'altra metà del letto, ma non trovò nessuno. Preoccupato dall'assenza della moglie si sollevò da letto e si mise seduto. La luce della Luna rischiarava la stanza, mise i piedi a terra e si recò a fissare l'imposta che sbatteva. Andò verso il bagno e premette l'interruttore della luce che stava fuori della porta. Il locale era vuoto. Letizia non stava lì. Preoccupato per la sua assenza uscì dalla camera. Con indosso i soli pantaloni del pigiama e le ciabatte, scese le scale per raggiungere il pianoterra della villa. Esplorò la sala da pranzo e tutte le altre stanze a pianoterra, compresa la cucina. I suoi occhi si abituarono presto alla semioscurità. Arrivò fino alla porta che immetteva nel giardino. Una volta all'aperto gridò il nome della sua donna senza ricevere alcuna risposta. Tornò nella villa e risalì la scalinata che portava alle stanze da letto. Non andò in direzione della sua camera, girò a destra verso le stanze degli ospiti. Arrivò fino al termine del corridoio, muovendosi con circospezione a causa della semioscurità, senza notare nulla di strano. D'improvviso sentì un rumore simile ad un lamento provenire da una stanza. Si avvicinò e pose l'orecchio all'uscio. La lieve pressione del capo contro il legno della porta fu sufficiente a spingerla in avanti. Si aprì un varco di pochi centimetri. Incuriosito dal persistere del lamento, infilò lo sguardo nella camera. La luce di una abat-jour illuminava in maniera soffusa la stanza da letto. Un uomo stava disteso sul letto: era nudo. La donna accovacciata al suo fianco teneva stretto fra le dita l'uccello e lo faceva scorrere dentro la bocca. Sorpreso dalla scena ritirò il capo senza rendersi conto di chi fossero i corpi dei due amanti. Un dubbio lo colse. Infilò gli occhi nella fessura della porta ed ebbe la conferma che la donna era Letizia. L'uomo che stava facendo l'amore con lei era il fratello. Se ne stava supino disteso sul letto con le mani intrecciate dietro il capo e gli occhi completamente chiusi. Si vedeva che stava godendo. Di tanto in tanto aspirava intensamente l'aria, ansimando ed emettendo sommesse frasi indirizzate alla sorella. Sorpreso dalla scena Giancarlo non riusciva a capacitarsi di ciò che stava accadendo sotto i suoi occhi. Restò lì, attonito, a guardare, privo della benché minima reazione. Dal modo con cui i due conducevano il rapporto intuì che l'episodio non era casuale, ma frutto di una lunga ed intensa conoscenza che si protraeva da lungo tempo. Letizia continuava imperterrita nella sua azione, senza affanno, quasi a volere prolungare all'infinito gli attimi di piacere. Inginocchiata al suo fianco lambiva con la lingua la cappella, resa lucente dalla saliva. Teneva l'uccello fra le dita e lo guidava in gola. Ogni azione che Letizia stava esibendo Giancarlo l'aveva subita altre volte da lei, nello stesso identico modo. Questa volta però un altro uomo giaceva accanto a lei. Dopo l'iniziale smarrimento Giancarlo si ritrovò stranamente eccitato, con l'uccello duro. Non gli importava più di Marco, osservava solamente i gesti della sua donna. Il corpo di Letizia, perfettamente abbronzato, scintillava di luce riflessa dai granuli di sudore e contrastava con la pelle dell'uomo di colore biancastro. La bocca di Letizia scorreva senza tregua sull'uccello. Esercitava una lieve pressione con le labbra in modo da produrre maggior godimento al suo partner. Se solo pochi istanti prima la sua azione era improntata alla seduzione e all'accrescimento del desiderio ora invece la sua opera aveva lo scopo di farlo venire al più presto. Aumentò la velocità dell'azione fino a quando lui la scostò e la mise carponi sul letto. L'uccello dell'uomo pareva duro come il legno di una quercia. Marco, fece scivolare le dita sulla bocca e vi depose della saliva, dopodiché avvicinò la mano allo sfintere di Letizia e vi collocò l'unguento. Si aiutò con un dito che con forza inserì nell'orifizio facendolo ruotare all'interno in modo d'allargare la parete e distribuire meglio l'unguento. Al momento della penetrazione Letizia gemette, poi lasciò che dilatasse il buchetto. Marco prese fra le dita l'uccello. Abbassò gli occhi e lasciò che dalla bocca defluisse un filo di saliva che andò a depositarsi sulla cappella. Con una mano afferrò un fianco di Letizia, mentre con l'altra puntò l'uccello verso lo sfintere. La manovra fu facilitata dalla disponibilità della donna che, spingendo aria verso l'esterno facilitò l'imbocco del cazzo nell'ano. Nonostante tutte le avvertenze l'introduzione dell'uccello non mancò di farla sobbalzare dal dolore. Una volta dentro, Marco afferrò con la mano l'altro fianco. Iniziò a pomparla selvaggiamente senza ritegno. Letizia restava immobile senza nemmeno scrollare il bacino. I capelli sciolti e madidi di sudore le davano un aspetto selvaggio. - Si... Si... fammi godere... - supplicò. Biascicò le parole ansimando, mentre Marco continuava ad affondare l'uccello nella cavità a ritmo serrato, quasi a voler terminare l'opera in breve tempo. Ad un certo punto tirò fuori la cappella dall'ano e la penetrò nuovamente, ripetendo la manovra infinite volte fino a quando lei urlò: - Basta... Ti prego... Basta!... Mi fai morire. Giancarlo rimase stupito da quelle frasi. Finalmente aveva capito perché Letizia si era sempre rifiutata di farsi inculare da lui. Probabilmente era l'unico modo che aveva per rimanere legata al sentimento d'amore che la legava a Marco. La cappella dell'uomo si era gonfiata a dismisura ed aveva un colore violaceo. Dall'orifizio della donna, che appariva dilatato, uscì un minuscolo rivolo di sangue, testimonianza dell'accanimento con cui si era ostinato su di lei. - Si... Si... Fammi male. Puniscimi. Merito d'essere castigata. Fallo un'altra volta, come quando eravamo ragazzi. Si. Dai fallo... Fallo!... Ancora! Marco, pur rallentando il ritmo, riprese a penetrarla. - Si... Fallo!... Ti supplico ancora. Puniscimi! Non merito che questo. Puniscimi! Puniscimi! Punisci la tua sorellina cattiva. A quelle parole Marco, fradicio di sudore, tirò fuori l'uccello dal sedere della donna e dopo un attimo d'esitazione, lo infilò più in basso nella figa. - Si... E' quello il suo posto. E' lì che lo voglio. Fammi godere.. Ti prego, ancora una volta! Perché questa sarà l'ultima volta, poi non lo faremo più, mai più. Marco le afferrò le mammelle e continuò a muoversi dentro di lei, come un tenero amante. Giancarlo aveva assistito a tutta la scena sbirciando dalla porta semichiusa. Annichilito, umiliato, incapace di una qualsiasi reazione, continuava ad osservare i due amanti. Fu Letizia a scuoterlo dall'astenia in cui si trovava. - Vengo!... Vengo!... - gridò la donna. - Vengo!... Giancarlo!... Vengo!... Giancarlooo!. Aveva pronunciato il suo nome: Giancarlo, com'era solita fare quando lui la chiavava. Subito dopo quell'affermazione Marco venne sborrandole sulla schiena ed accovacciandosi su di lei. Si sdraiarono sul letto l'una accanto all'altro, avvolti in un tenero abbraccio. - Allora è deciso - disse Marco - Non lo faremo più. Questa è stata l'ultima volta in cui abbiamo fatto all'amore. Faremo in modo che rimanga un dolce ricordo. Vuoi così bene al tuo Giancarlo? - Sì... Tanto. Non credo che al mondo esista un altro uomo buono e generoso come lui. Giancarlo indietreggiò lentamente dalla sua postazione e a passi felpati si avviò verso la sua camera. Ripose le ciabatte di fianco al letto. Sfilò la vestaglia e s'infilò sotto le lenzuola. Le ultime frasi che Marco e Letizia si erano scambiati e la decisione di lei, d'interrompere per sempre il loro rapporto, lo avevano convinto a recedere da una qualsiasi ritorsione. La scena alla quale aveva assistito non gli era parsa così strana, ma un motivo c'era. Lui e sua sorella Cinzia subivano la stessa attrazione di Marco e Letizia. La sera precedente, infatti, dopo la cena d'addio al celibato, si era comportato allo stesso modo. Aveva fatto l'amore con Cinzia trascorrendo la notte a casa sua, in quel letto che avevano condiviso fino da ragazzi. Si era coricato da una decina di minuti quando sentì la porta della camera schiudersi con cautela. Letizia si stese sul letto e riprese posto accanto a lui. La sveglia squillò alle sette precise. Impiegarono poco tempo per lavarsi e vestirsi. Una breve colazione e alle otto precise lasciarono la villa alla guida della loro Volvo in direzione del casello dell'autostrada del Sole. A mezzogiorno erano a Chambéry in Francia. Avevano riso e scherzato per tutto il tragitto. Una volta in territorio francese, sintonizzarono l'autoradio sulle frequenze di "Radio Nostalgie", un'emittente nazionale che trasmette musica degli anni sessanta. Stavano immettendosi sull'A43 in direzione di Lione quando dalle casse acustiche uscirono le note della loro canzone: "Que reste t-il de nos amours ?". Probabilmente lo avrebbero scoperto al loro ritorno.
ORGE

CLAUDIA IL GATTO


Di Anacreonte e Manuela;
Dedicata a Claudia; dedicata a "the Cat".

Quando Claudia salì sul treno, alla stazione di Venezia, la luce del giorno - un giorno di fine estate, già troppo fresco per non far pensare all'autunno imminente - stava declinando in un tramonto tranquillo. Era la tranquillità che Venezia riusciva ad avere in certe giornate, piuttosto rare, in cui sembrava dimenticarsi all'improvviso il suo carattere di luna park per turisti e si ricordava, come in un sogno, di altre epoche, di altri giorni, di quando il ponte sulla laguna, percorso da auto e treni, non esisteva ancora, e allora imbarcarsi dalla terraferma voleva effettivamente dire entrare in un'altra dimensione, andare a scoprire un altro mondo; quando la città era porta dell'Oriente, centro di importanti commerci che portavano ricchezza e cultura; ambita da artisti e musicisti, che venivano qui sapendo che avrebbero trovato un mondo molto diverso dalle anguste corti del loro tempo, dove le loro capacità sarebbero state apprezzate e valorizzate; quando nobili di tutta Europa, soprattutto all'epoca del carnevale, giungevano su carrozze e gondole dorate per peccare con una levità ed una naturalezza che faceva sembrar loro cosi lontani i giochi di corte e gli amori di convenienza a cui erano abituati. Era la città di Casanova e di Da Ponte, di Tiziano e del Tintoretto, di Monteverdi e di Vivaldi che ogni tanto, nei rari momenti in cui quasi per magia le masse di milanesi, tedeschi, americani si diradavano, sembrava affiorare dalle acque placide della laguna, come un sogno destinato nonostante tutto a non perdersi.
Era per sognare questa Venezia che Claudia, quando attraversava il lungo ponte sulla laguna, cercava sempre di sedere non dal lato sinistro del treno, da cui avrebbe dovuto vedere le auto, trauma improvviso per chi, per giorni o solo per poche ore, aveva potuto godere di un'altra dimensione; e, più in là, le crudeli raffinerie di Marghera. Lei preferiva il lato destro; così poteva avere la distesa ininterrotta delle acque lagunari, gli occhi e la bocca di quel paesaggio che erano occhi e bocca di una ragazza, come lei, ma più giovane, per la quale il tempo non passava mai, nè sarebbe mai passato; e sapeva che laggiù, oltre le rade macchie di verde c'erano altre lagune, altre paludi e piccole comunità di pescatori che ancora facevano una vita non dissimile da quella che, mille anni fa, dovettero fare gli uomini che, ancor prima di scoprirsi mercanti, avevano popolato quel pugno di isolette, e di acque.
Claudia guardava, e i suoi occhi erano belli. Sapeva che lo erano, che dovevano esserlo; era sempre così, quando in essi si rispecchiava quella luce segreta, quando - troppo raramente - ritornava nella sua città natale per rivedere i genitori, nella loro piccola casa della Giudecca che non avrebbero lasciato per niente al mondo, e da cui lei era partita, prima per studiare, poi per lavorare. Avrebbe potuto forse, Claudia, fare entrambe le cose lì, non lontano dalle Zattere, che la luce dell'estate rende forti, e il canale della Giudecca un'immensa piazza in cui si vorrebbe camminare tenendosi per mano; ma qualcosa l'aveva spinta lontano, e non sapeva neanche perchè. Era voluta andare a Milano, la grande Milano che pure non amava, che per molto tempo le si era negata, prima di darle la lieve gratificazione di un lavoro di relativo prestigio e di incerto futuro - praticante giornalista - che, sperava, avrebbe potuto significare per lei una serenità e una realizzazione mai provate in precedenza.
Pensavo alle tue parole, a te di fronte a lei sul treno, a leggere sulle sue espressioni e i suoi movimenti impercettibili quei suoi strani e contrastanti moti d’animo….E ricordavo la Claudia di poche ore prima, seduta accanto a me ai tavoli dell’Harris dolci di fronte a un gelato così grande che sembrava di scalare una montagna di panna e praline e amarene….La ricordo per come attaccava con divertita curiosità i biscotti, le sue dita giocare con quegli ombrellini di legno e carta immutabili negli anni eppure sempre affascinanti come lo stesso incredibile e sorprendente giocattolo che ti ipnotizzava da bambina…La guardavo impegnarsi inesorabile con piccoli movimenti e mi ascoltava con gli occhi che dal gelato la proiettavano chissà dove, sotto l’ala di quello strano castello neogotico che è il Mulino Stucky, luogo incantato che dall’altra parte della riva del canale della Giudecca chissà di quanti sguardi e immaginari è stato artefice, sfondo e protagonista….Guardavo quei movimenti essenziali, quei tratti gentili ed eleganti ma anche nervosi e sfuggenti, quell’esserci e non esserci, quel non sapere mai se sta arrivando o partendo, se tornerà o se ha voglia di restare, quel suo essere sempre come di una che varca con un sorriso un posto di una nuova frontiera, quel suo non voler dare aspettative e voler essere attesa in maniera struggente…..E guarda tu, parlavamo di Venezia, o di quel che ne resta. Venezia per me, più giovane di lei, non indigena come lei, col mio fascino precostituito da artista sulla città mobile e magica….All’inizio arrivi a Venezia…Puoi uscire in pigiama, non se ne accorge nessuno, sei libera…Impari a percorrere il termitaio che ti rivela i suoi percorsi emozionali e segreti quando la notte esci dalla tua casa ed è come entrare in un’altra stanza, non un andare fuori. E poi un’altra, e un’altra, e un’altra. Qualcosa di nuovo e sorprendente eppure qualcosa di familiare e antico, da sempre in te, quasi ti sentissi vibrare per le vite di quelli che ti hanno preceduto in quelle stesse stanze…Venezia "summa" delle città invisibili, Venezia la grande che s gloria del suo passato dimenticando di essere nata come rifugio di ladri e tagliagole sfuggiti alla giustizia, fatta grande con le colonna sottratte dai massacri di guerre che ornano la magnificente Basilica Marciana, trasportate a remi lungo i mari a costo di sangue e vite incatenate. Venezia che non ci puoi più dormire nei sacchi a pelo per strada perché disturbano; Venezia che non ci puoi più ballare ne suonare nei campi durante il Carnevale perché disturbano; Venezia che tutti esaltano come meta per andare a bere un caffè da città di provincia padana e poi ci arrivi e non c’è un treno da mezzanotte alle sei di mattina, non ci sono parcheggi, non c’è locale notturno aperto. Venezia che vive di turisti e studenti che fanno ricchi i Veneziani che però li trattano peggio che possono dopo averne sottratto i soldi, orgogliose cariatidi tirchie e senza capacità di iniziative reali e nuove. Venezia museo di se stessa che dopo avere avuto sulla sua pelle i segni stratigrafati per ognuna delle epoche passate non permette il minimo segno del nostro tempo sulle sue nuove case. E i vecchi finiscono imbalsamati in case a quattro piani di scale e bloccati dalle scale dei ponti e da negozi sempre più cari e inaccessibili……Ma anche di quella Venezia che ogni tanto esce di nascosto a farsi un giro e la incontri e la rubi, la mordi quando puoi. Nelle more sugli alberi dei relitti industriali reintegrati nel possesso della vegetazione lungo quelli che furono gli orti della giudecca a primavera; In una partita a calcio contro le squadre di spazzini in piazza San Marco; nell’andare a giocare con le stelle e raggiungerle con volute di fumo inebriante in punta alla Dogana del Sal assieme ad amici; nel girare col barchino lungo le rive incerte di Sant’Erasmo. Nel rubare l’amore nelle calli nascoste a un passo dalla gente….Ridevamo, sai? Di esperienze diverse e lontane tra loro nel tempo, le nostre, di giochi di bambine appassionate lungo quei budelli e quei campi dove puoi girare vestita o svestita, nascosta o meno…Di come alcuni che mai vi erano stati lo potevano pensare come un gioco esibizionistico ed orrido….ma nessuno di loro si sarebbe stupido del fare all’amore nel corridoio di casa o sul tappeto della sala, e non sapevano, che a Venezia per chi riesce a essere nella sua anima, è la stessa cosa…..Non sa che a Venezia impari a prendere la pioggia perché le calli sono troppo strette per due ombrelli e che finiresti per bagnarti di più e innervosirti nello scontro….Non sa che fare sesso a Venezia è camminare, sempre, incrociare sguardi, sfiorare, sentire profumi, sedersi inavvertitamente in minigonna sulle rive quando passano i vaporetti, essere su un ponte con gente che passa sotto, salire su una gondola che per poche lire ti porta da parte a parte del Canal Grande risparmiandoti mezz’ore di strada, incontrare sconosciuti in caffè affollati e magari finire contro un muro a rubare un amore rabbioso e senza nome; andare al mercato a comprare la verdura e sentire un complimento, pescare un sorriso. Dipingere i volti a centinaia di persone i giorni di carnevale fino a che ognuno è tutti e nessuno, e parlare, conoscere, litigare, ridere…. e come quelle impertinenti divinità greche, come il sublime e macchiavellico Momo, essere poi liberi di architettare e vivere con l’aiuto di una maschera come se finalmente per la prima volta nella tua vita non ne avessi alcuna….Venezia è la città dove se anche non lo avevi mai fatto giri in autoreggenti a volte, e ti siedi al bar per sedurre coi movimenti. Dove una donna si sente nel suo campo di battaglia per giocare a nascondino….Dove puoi perderti e ritrovarti….Dove la mia arte trovava tutti gli stimoli e le suggestioni che passano davanti agli occhi a velocità impressionante e devi solo afferrare di istinto, e lasciare che ti portino via di li, via da Venezia, per trovarti magari che so, a New York o Città del Messico…..Perché di questo parlavamo con Claudia, della trappola Venezia….Di quel nido , quella realtà unica e così speciale da cui fai fatica a fare a meno ma cui a un certo punto devi fuggire. Per vedere la primavera, per vedere la vita che rinasce. Per ritrovarla nei racconti e nella nostalgia di Marco Polo. Per amarla davvero. Prima di accorgerti di quanto Venezia sia piccola, e quanto la sua gente provinciale e la sua oligarchia nobiliare gretta e sopravvivente a se stessa, prima di parcheggiarti in improbabili lavori di conservazione sordi alle innovazioni e agli stimoli del resto del mondo, troppo orgoglioso di essere li a Venezia….Tutte e due stavamo partendo, la stavamo lasciando. Sapendo che solo così non l’avremmo persa mai. Lasciandola. Ma mantenendo viva la struggente frenesia del desiderio della voglia di ritorno e della malinconia del partire ritrovando ogni volta qualcosa di profondamente tuo ma già così cambiato….E allora ho pensato che la sua uscita in treno da Venezia sarebbe stata alla grande, al suo solito…..perché so che si sarebbe spostata sull’altro lato del treno, contraddicendosi e guardando verso sera le luci di Marghera, quando sull’arcobaleno del tramonto avrebbe ricordato una piccola Manhattan dall’aereoporto JFK a avrebbe capito che era la che Venezia le avrebbe dato appuntamento, che vedendo le sagome dei grattacieli si sarebbe fatta trovare anche in quel modo inaspettato, che sarebbe restata sempre in lei….In fondo anche Claudia aveva il suo "grandegioco", sempre in bilico tra desiderio e incertezza, tra gioia e paura. Tra voler essere indelebile e voler essere invisibile, sparire in un sorriso novella Gatta da Paese delle Meraviglie…..Io la vedevo come una gatta. La accarezzavo, diversamente da te, ma come una gatta. Che prendevo quando c’era, così seducente, flessibile e indipendente, affettuosa, graffiante, presente e attenta. La chiamavo "the cat", il gatto. E il gatto mi aveva una volta lasciato questo pensiero…..A volte mi faceva leggere le sue cose, gli autori che amava….ci parlavamo anche così, con messaggi di angoli di fogli strappati….
Hai otto anni. E' Domenica sera. Ti è stata concessa un’ora in più prima di andare a letto. La famiglia sta giocando a Monopoli. Ti hanno detto che sei abbastanza grande per unirti a loro. Perdi, continui a perdere. Lo stomaco ti si stringe per l'angoscia. Quasi tutto quello che possedevi se ne è andato. Il denaro che avevi davanti a te è quasi finito. I tuoi fratelli si impadroniscono di tutte le case delle tue strade. L'ultima strada viene venduta. Devi cedere, hai perso. E all'improvviso ti rendi conto che è solo un gioco. Fai un salto di gioia e rovesci a terra la grossa lampada. La lampada cade a terra, travolgendo la teiera. Gli altri si arrabbiano con te, ma tu ridi salendo le scale. Sai di non essere nulla e di non avere niente. E sai che non essere e non avere da un'incommensurabile libertà. Janwillem Van De Wetering
Questa è la Claudia che ricordo, questo è il suo profumo in me; il suo essere inaspettata, nel partire come nel fermarsi a giocare con me, anche solo con un bigliettino con scritto:
"Ti ho vista dalla finestra di casa stamattina. Li al bar con gli amici che erano miei. Eri bellissima, ti sei fatta più femmina, ti guardavo ridere e sedurre anche se non volevi; Sarei scesa giù per abbracciarti, ma l’atmosfera era troppo perfetta per darti un bacio sulla bocca di quelli speciali per voler fermare l’attimo. Eri da farci all’amore stamattina….Ma sarebbe stato come mordere una fragola, e poi forse ne avrei voluto ancora, e magari sono allergica e poi , lo sai, adesso mi piacciono troppo i lamponi….Facciamo così Manù, Claudia che fu nel tempo di adesso….Facciamo un gioco. Vai in un negozio di giocattoli e compera un sacchetto di biglie, ma che ce ne siano almeno una ventina. Torna a casa. Prendi nelle tue mani tutte le biglie, porta le mani in alto e lasciale cadere al suolo (le biglie, non le mani). Afferrale tutte prima che facciano tre rimbalzi…. Il gatto".
Claudia è in me, presente come sa lei, in punta di piedi….Ho fatto il suo gioco: risultato tre punti in testa, una biglia inghiottita e due menischi andati…Però quanto mi sto divertendo!!!!!!!!!