*****ROXY E' TORNATA!

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Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

giovedì 16 aprile 2009

SUONI A VENEZIA II PARTE

Passò ancora qualche minuto. Poi (la musica continuava) si riaprì la porta, si accese una luce rossa, bassissima, e riapparve Arianna, come al solito gentile e sorridente. Le riportava la vestaglia e le pantofole. "Come va?" le chiese piano, inginocchiandosi vicino a lei. "Meravigliosamente" fu l'unica cosa che Maya fu capace di rispondere.
"Vieni, ti porto di là" disse ancora Arianna. Maya si rialzò, aiutata dalla ragazza, che le tenne aperta la vestaglia di seta, aiutandola ad indossarla sul corpo odoroso di sperma e di sudore. Nessuno dei suoi amanti segreti l'aveva bagnata, né aveva cercato di penetrarla in qualsivoglia modo; evidentemente lo avevano già fatto, tramite le mani coscienziose di Arianna l'avevano bagnata ancora all'inizio della loro vicenda d'amore, e non alla fine come è consueto.
Sorreggendola per un braccio, Arianna accompagnò Maya verso un'altra porta che dava sulla stessa stanza, oltre la quale si percepiva il suono; l'aprì piano, e la fece passare. Maya pensava di trovarvi un buon impianto stereo; invece c'erano tre musicisti in carne ed ossa, due ragazzi e una ragazza, vestiti con l'eleganza che si conviene ai concertisti, che traevano le loro note al centro di una stanza dai soffitti affrescati con scene di caccia - Tintoretto, forse, o Tiepolo? - e dalle pareti rivestite di broccato e rifinite con fregi dorati. Senza interrompersi, i tre la videro entrare, e le sorrisero in segno di saluto; Arianna fece sedere Maya su un divanetto, poi, da una brocca posata su un tavolino finemente intarsiato, le versò un bicchiere abbondante di succo di frutta con ghiaccio, e glielo porse, accompagnandolo poi con un piatto di salatini. Con lo sguardo Maya la ringraziò, poi si appoggiò allo schienale e si lasciò andare alla musica e alla contemplazione. I tre musicisti, oltre ad essere bravissimi, erano veramente molto belli; il clavicembalista era bruno, esile, dai lineamenti molto delicati, e il movimento con cui girava le pagine dello spartito sembrò a Maya colmo di sensualità, una specie di carezza; il flautista, invece, era biondo, dai capelli lunghi, dalle labbra carnose, come si conviene al suo strumento, assieme al quale seguiva ondeggiando il ritmo della musica. La ragazza, bionda anche lei, con un delicato caschetto di capelli corti sotto cui brillavano due occhi azzurrissimi, vestiva un abito anche azzurro, piuttosto corto, di modo che le gambe con cui stringeva il violoncello apparivano quasi completamente nude, in tutta la loro bellezza.
A Maya sembrò per un momento di aver raggiunto il Nirvana. Tutti i suoi sensi erano appagati: la bevanda di frutta; il profumo di sudore, di fiori secchi e di sperma; la musica meravigliosa che l'aveva accompagnata in quei momenti meravigliosi e che ancora le teneva compagnia; la bellezza dei musicisti e, perché no, anche di Arianna, seduta vicino a lei con le gambe piacevolmente accavallate, sempre con il suo completino, la cui blusa si era alzata a scoprirle l'ombelico dove, Arianna lo scopriva adesso, brillava un piccolo piercing; l'aria fresca e tonificante che soffiava dalla finestra aperta, oltre la quale brillavano le luci della laguna.
Terminato quel concerto così esclusivo, i musicisti si alzarono e si inchinarono. Maya ed Arianna applaudirono con entusiasmo; "Bravi!" gridò Maya. Essi le sorrisero, poi, con i loro strumenti, uscirono dalla stanza. A Maya dispiacque, anche se avevano finito le sarebbe piaciuto si fossero fermati a parlare un po' con loro; ma forse la cosa, ci pensò poi, non sarebbe stata troppo opportuna, avrebbe spezzato la magia di quei momenti. Era più bello vederli così, come una specie di apparizione collegata al suo paradiso personale.
Arianna riaccompagnò Maya nella sua stanza. Le chiese se aveva bisogno di qualcosa e se il giorno dopo avesse voluto rimanere da sola, o fare un giro per Venezia assieme a lei. Si dettero appuntamento per le undici; sarebbero uscite insieme, e magari avrebbero pranzato in giro. Maya si lasciò cadere sul letto nello stato in cui si trovava, non volle lavarsi per conservare il più a lungo sulla sua pelle l'odore e gli umori di quella serata straordinaria, e si addormentò subito.
La mattina dopo, la luce del sole, riflessa dall'acqua della laguna, dipingeva mobili arabeschi sul soffitto della stanza di Maya. Li rimirò a lungo, dopo essersi svegliata, respirando l'aria tiepida, ascoltando il suo corpo ancora sensibilizzato dalle carezze e dai baci della sera prima, ascoltando i gridi dei gabbiani e le sirene delle navi. Verso le nove era ancora a letto, quando sentì bussare con discrezione alla porta. "Avanti!" disse. Era la piccola cameriera, che entrò spingendo il carrello della colazione: latte, tè, caffè, burro, vari tipi di marmellate, pane e croissants appena sfornati. Il tutto servito in un servizio di porcellana finissima. "La signora ha dormito bene?" "Sì" rispose lei "benissimo". "Ne sono contenta" rispose la piccola orientale, e Maya ebbe la curiosa impressione che non si trattasse di una frase di cortesia abituale, ma che ne fosse veramente contenta. Senza attendere ordini, ma interpretando alla lettera i desideri di Maya, la cameriera aprì un tavolino da letto, lo posò sulle sue gambe - lei intanto si era tirata a sedere, proteggendosi i seni con il lenzuolo - e lo apparecchiò con tazza, posate e piattini. Le chiese cosa gradiva bere, le versò il tè nella tazza, poi spinse il carrello a fianco del letto di modo che lei potesse servirsi agevolmente, salutò e uscì leggera, chiudendo la porta.
Maya si dedicò ad un'abbondante e piacevole colazione, poi si alzò, si lavò e si vestì. Sapeva che quel giorno lei ed Arianna avrebbero camminato molto per le vie di Venezia, quindi indossò un comodo vestito lungo, con un motivo floreale, che le lasciava le spalle, già piacevolmente abbronzate, nude; e dei sandali bassi. Poi si sedette in sala ad aspettare, leggendo distrattamente una rivista.
Verso le undici, sentì aprirsi il portone al piano terreno, e un attimo dopo entrò Arianna. Le si sedette vicino, le chiese se avesse dormito bene, e se aveva desiderio di fare qualcosa di particolare, di vedere questo o quest'altro monumento storico della città. Maya aveva voglia semplicemente di andare in giro, magari di visitare quella bottega di oreficeria di cui Arianna le aveva parlato il giorno prima. "Va bene, va benissimo anche a me" le disse Arianna.
Trascorsero così la giornata vagando per calli e campi, gustando i più bei scorci della città lagunare, spesso fuori dai circuiti consueti dei turisti, che Arianna conosceva bene e che offriva con piacere alla sua ospite. Visitarono la bottega di oreficeria, e Maya fu entusiasta dalla qualità e dalla bellezza degli oggetti esposti: l'orafo, un giovane simpatico di una trentina d'anni dai capelli lunghi e dall'aria da ex-alternativo che ha messo la testa a posto, le propose e le fece provare numerose sue creazioni, orecchini, collane, bracciali di gusto di volta in volta sudamericano, arabo, celtico. Evidentemente aveva saputo studiare molto bene le gioiellerie di quei popoli e di quei paesi, e le aveva assorbite nella sua arte. Dopo aver provato molti gioielli, sotto lo sguardo e il consiglio attento di Arianna, non potè rinunciare a una parure di orecchini, collana e bracciali di stile precolombiano. Prima ancora che potesse anche solo pensare a chiedere il prezzo, Arianna aveva già dato la sua carta di credito all'artigiano. Entrambi fecero attenzione, mentre si passavano lo scontrino da firmare, di non far vedere a Maya il costo di quegli oggetti - che comunque non era certo due lire. Quando uscirono dal negozio, Maya era felicissima; non tanto e non solo per il regalo ottenuto, quanto soprattutto per il fatto che raramente, in vita sua, si era mai sentita così totalmente accudita, protetta, coccolata. Sapeva bene che era tutto un gioco, e probabilmente anche molto costoso (sebbene non fosse lei a pagare), ma il senso del gioco è dimenticarsi che è un gioco. E, tutto sommato, non le era affatto difficile.
Si fermarono a prendere un aperitivo ai tavolini di un piccolo bar in un campo silenzioso e poco battuto dai turisti; poi presero il traghetto e si spostarono alla Giudecca, dove si fermarono a mangiare in un tranquillo ristorante col dehor. Nel primo pomeriggio tornarono al palazzo. Non avevano camminato poi così a lungo, ma Maya si sentiva già piuttosto stanca; e non le dispiacque, dopo aver salutato Arianna, che le aveva dato appuntamento per le dieci di quella sera, spogliarsi del suo vestito, accostare le tende e lasciarsi cadere sul letto per un piacevole riposo ristoratore.
Quando si era svegliata, Maya aveva fatto un bagno; poi si era fatta servire una cena leggera, e si era nuovamente immersa nella lettura del libro di poesie. Sapeva che anche per quella sera probabilmente le era stato preparato un piacevole programma, ma la cosa, sebbene la eccitasse sottilmente, non le provocava un’attesa nervosa. Quando Arianna bussò delicatamente alla sua porta, la accolse con un sorriso. "Sei pronta per uscire?" le chiese. Maya la guardò un attimo, sorpresa: "No, pensavo che anche stasera saremmo… rimaste in casa…"
Arianna la guardò, sorridendo di rimando con un’ombra di malizia: "No, questa sera c’è in programma di uscire…" Maya le chiese se si doveva vestire elegante, ma Arianna rispose che un paio di jeans e una maglietta sarebbero andati benissimo.
In effetti Maya fu contenta, dopo il pomeriggio di riposo e dopo il bagno si era rilassata molto, non aveva nessuna voglia di vestirsi in modo particolarmente elegante. Ma restò perplessa quando si accorse che Arianna la stava conducendo all’Harry’s Bar, in piazza San Marco, locale celebre per la sua eleganza… e i suoi prezzi. "Non preoccuparti" le disse lei "non credere che Hemingway, per venire qui, si mettesse particolarmente in tiro!"
Si sedettero ad un tavolino non troppo vicino all’orchestra che suonava motivetti ad uso e consumo dei turisti americani, e trascorsero una mezz’ora abbondante guardandosi attorno, scrutando incuriosite e divertite gli altri clienti, le coppiette palesemente in viaggio di nozze, e non solo… Curioso che tra loro si fosse già creata questa particolare complicità.
Quando ormai i turisti cominciavano a diradarsi – Venezia non è certo una città da vita notturna; in genere, stravolti dalle lunghe marce per calli e campi, non si regge mai troppo oltre le ventidue, le ventitre – Arianna si alzò. "E’ meglio che andiamo, tra poco abbiamo un appuntamento…" Maya sapeva che la stava aspettando un’altra esperienza piacevole come quella della notte precedente, e questo la eccitava sottilmente, come la eccitava il non saperne niente, e il non potere, o non volere, fare domande.
Si incamminarono lungo calli intricate e deserte; il silenzio, ormai, era rotto solo dai loro passi, dallo sciabordìo, di tanto in tanto, dell’acqua di un canale; le uniche presenze erano solo i gatti che passando le guardavano curiosi per un attimo. L’aria era piacevole e ferma. Maya prese Arianna sottobraccio e si strinse a lei, non provava freddo ma voleva lo stesso sentirla vicina, sentirne il calore.
Arrivarono in un campo dietro una chiesa, al margine del quale passava un canale. Era strano, in quanto nella maggioranza dei campi veneziani non ci sono canali. Era un luogo suggestivo per la tranquillità, per la mole incombente della chiesa, per la luce strana della luna. Si sedettero su una panchina di pietra, vicino al canale. Arianna guardò l’orologio. "Ci siamo quasi" disse. Poi si sfilò dalla schiena la sua borsa-zainetto, la aprì e ne trasse una mantella di seta nera. La porse a Maya, che senza dire niente la indossò.
"Ti sta bene!" disse. Maya le sorrise, e accennò a qualche passo lungo il canale, atteggiandosi come se si trovasse sulla passerella di un atelier di moda. "Peccato per i jeans e le scarpe da ginnastica, non credo proprio che facciano una bella figura!"
"Oh, quanto a questo non preoccuparti" rispose Arianna. "Non li terrai ancora per molto".
Nel sentire questa frase, Maya provò, adesso sì, una leggera inquietudine. Eccitante, forse.
Arianna frugò ancora nella borsa, e ne estrasse un altro oggetto luccicante, che Maya stentò a riconoscere sulle prime. Ma quando si rese conto di cosa si trattava, le mancò il fiato.
Era un paio di manette. "Vieni, te le devo mettere" disse Arianna.
Maya obbedì, col cuore che cominciava a batterle più forte. Si avvicinò all’amica, seduta alla panchina; le volse la schiena, incrociando i polsi. Sentì il rumore metallico dei ganci che venivano aperti, poi il freddo del metallo sui polsi, le mani di Arianna che le sfioravano le sue mani.
Arianna si alzò, la fece sedere a sua volta sulla panchina, le aggiustò dietro il mantello, perché i polsi ammanettati rimanessero coperti. Maya aveva gli occhi chiusi. Arianna le si accostò, le disse piano in un orecchio: "Adesso arriverà un motoscafo. Verrai fatta salire. Ah, già, dimenticavo…"
Dalla borsa estrasse, stavolta, una benda. La applicò sugli occhi di Maya, che adesso stava respirando a bocca aperta, in maniera concitata, quasi affannosa. Per un attimo sperò che l’avrebbe imbavagliata, le sarebbe piaciuto, ma non ebbe il coraggio di dirglielo.
Ormai Maya era in un mondo tutto suo. Sentì arrivare per l’ultima volta la voce dell’amica: "Adesso ti lascio. Stai tranquilla, tra poco saranno qui". La baciò lievemente su una guancia. Maya la sentì alzarsi, prendere la borsa; e poi sentì i suoi tacchi alti risuonare lungo il lastricato. Le dispiaceva non vederla andare via, le piaceva molto l’eleganza con cui si muoveva; e da sola, in quel campo strano sotto la luce della luna, sarebbe stata sicuramente bellissima, degna dell'arte di qualche grande fotografo…
Non ci volle molto; sentì il rumore di un motoscafo, e poi dei passi intorno a lei. Due persone la presero di sotto le braccia, con delicatezza ma anche con fermezza; la fecero alzare in piedi, le fecero scendere cautamente i gradini che portavano al canale, e poi, trattenendola perché non inciampasse, la fecero salire sul motoscafo, che ondeggiò vistosamente. Perse l’equilibrio, e fu sorretta.
Venne fatta entrare nella cabina, e fatta sedere su uno dei divanetti laterali; sentiva intorno a sé delle persone, ma non capiva quante. Le sembrò solo, a un certo punto, di riconoscere gli odori e i profumi dei suoi misteriosi amanti della notte precedente; ma la cosa non la sorprese più di tanto, era quasi scontato…
Il motoscafo si mosse lentamente, poi poco per volta aumentò la velocità; probabilmente era uscito dal canale, si stava muovendo sullo specchio della laguna… Maya la immaginò con un’intensità inusuale: le luci, la luna che si rispecchiava sull’acqua, il profilo di San Giorgio Maggiore e della Giudecca… L’immagine era così bella che le dette un brivido di piacere, un piacere che si fuse con quello, sottile, spaventato e misterioso, che stava provando – il piacere di non sapere…
Non molto dopo, il motoscafo ancora in movimento, sentì delle mani su di sé. Qualcuno le aveva sfilato il mantello e tolto le manette, qualcun altro le stava slacciando le scarpe, i pantaloni. Le vennero sfilati, e così anche la maglietta e le mutandine; le vennero rimesse le manette. Maya si sollevò un attimo dal sedile per agevolare la manovra. Adesso era completamente nuda, a parte la benda.
Ebbe un brivido di freddo. Per la prima volta sentì la voce di uno dei suoi ospiti, una voce femminile, calda e forse affettuosa, che le sussurrò all’orecchio: "Hai freddo? Vieni, appoggiati a me…"
Maya così fece; la donna era seduta al suo fianco, sul divanetto imbottito. Si strinse al suo fianco, e la sentì piacevolmente formosa e calda, come calda ne era la mano, che la cinse intorno alle spalle, arrivando, quasi casualmente, a vellicarle un seno. Era bello.
Sentì poi il motoscafo perdere velocità, accostarsi ad un attracco, fermarsi. Venne fatta alzare, uscire dalla cabina, salire su un pontile di cui avvertiva le assi umide sotto i piedi nudi. Di nuovo sorretta per le braccia, immobilizzate dalle manette, fu fatta camminare lungo quello che le sembrò un sentiero di ghiaia e di erba, fino a quando non ebbe l’impressione di trovarsi all’interno di un luogo chiuso, ma nello stesso tempo molto umido e freddo.
Camminarono così per diversi minuti. L'odore salmastro della laguna si frammischiava ad un altro odore, di vegetazione. Maya sentiva i passi leggeri di coloro che le erano attorno e le loro voci sussurrate con cui si parlavano, senza intenderne le parole; ogni tanto sentiva una mano vogliosa sporgersi ad accarezzarle un seno, una spalla, il culo, e questo la eccitava terribilmente; quei leggeri toccamenti era come se esaltassero la sua nudità, e, forse, una promessa di altri piaceri. Era un ricadere indietro sulle vicende e gli stati d'animo della sera prima…
Entrarono in un edificio. Sentì che stavano salendo dei gradini, percepì un pavimento liscio e freddo, forse marmo, sotto i suoi piedi. Sentì risuonare il riverbero dei passi dei suoi accompagnatori, le sembrò, dal suono di tacchi alti, che almeno due di loro fossero donne. Si chiese come fossero vestiti; chissà perché, se li immaginava tutti elegantissimi, nobili veneziani discendenti dei dogi, e questo la faceva sentire ancora più nuda, forse più bella, di una bellezza che sopperiva a qualsiasi differenza tra lei e loro… Si rendeva conto che faceva freddo, che era umido, ma lo avvertiva solo a tratti, perché il suo stesso calore la riscaldava.
Si fermarono. Le vennero tolte le manette, ma solo per immobilizzarle le braccia verso l'alto, aperte a V. Poi sentì che lo stesso veniva fatto anche con le caviglie, bloccate in modo da costringerla a tenere le gambe aperte. Ora era veramente loro prigioniera. In un altro contesto sarebbe morta di paura, ma ormai si sentiva parte del gioco, le bastava pensare al bel viso e agli occhi rassicuranti di Arianna per rilassarsi.
Per alcuni minuti non successe nulla, nessuno la toccò, sebbene tutti fossero ancora lì. Sentì poi la zip di qualcosa che veniva aperto, forse una borsa; e poi qualcosa di duro e di freddo le sfiorò un seno, facendola sussultare. Una voce femminile rise divertita. Lei si rilassò, e si protese in avanti, lasciando che i cubetti di ghiaccio sfiorassero il suo corpo, la sua schiena, insinuandosi nel suo sesso, nella sua bocca. Non l'aveva mai fatto prima, non era sgradevole anche se sicuramente c'erano ben altre cose che l'eccitavano di più.
Durò alcuni minuti. Poi si sentì toccare sul collo da qualcosa d'altro, qualcosa di duro e bagnato. Sentì altri oggetti simili toccarla in altri punti del corpo; sfiorarle i seni, il ventre, l'interno delle cosce. Capì in fretta che i suoi ospiti stavano maneggiando dei falli di plastica o di gomma dura, ben lubrificati, che lasciavano delle tracce odorose lungo il suo corpo. Adesso sì, era lei, era bello, era forte. Era quello che voleva, anche se ne avrebbe voluto di più, sempre di più. Il suo respiro cominciò a farsi più affannoso, la sua bocca si schiuse leggermente e uno di quegli oggetti, allora, gliela penetrò all'improvviso, con durezza, fino alla gola. La persona che in quel modo la stava quasi soffocando, le sfiorò la guancia con un bacio leggero; era una donna, forse la stessa che l'aveva tenuta stretta a sé durante il percorso in motoscafo. Iniziò a far andare su e giù quel fallo, e intanto gli altri, più in basso, stavano poco per volta aprendosi altre strade. Lei, nonostante fosse praticamente spaccata, cercò di aprire ulteriormente le gambe, per evitare di farsi male; ma non ce ne fu bisogno, gli oggetti le scivolarono dentro agevolmente, e cominciarono ondate di piacere, che in qualche modo l'altro fallo che le riempiva la bocca la aiutava a mantenere, e che le venne anche stimolato da bocche che si chinarono a leccarle i seni, a morderle i capezzoli.
Non seppe dire quanto durò. Ad un tratto, sentì i falli rilasciarla, e ne soffrì; gemette, il suo corpo si inarcava alla loro ricerca, ma niente, non tornavano. Ebbe freddo. Dovette aspettare un tempo che le sembrò lunghissimo prima di risentirli ancora su di sé, e poi di nuovo dentro. Stavolta la bocca le fu riempita da un bacio lungo e appassionato, questa volta era un uomo, coi baffi.
Ancora per alcune volte venne eccitata e abbandonata. Sembrava che chi aveva la regia della situazione conoscesse alla perfezione il senso del suo piacere, perché riuscivano a portarla alla soglia dell'orgasmo per poi lasciarla lì, senza risoluzione.
Sentì infine che veniva slegata. Fu sorretta, prima che cadesse per terra: tutti i suoi muscoli, tutte le sue energie erano ormai focalizzate sul piacere, solo su quello. Venne accompagnata a stendersi su qualcosa di morbido, probabilmente un materasso; rapidamente, i suoi polsi furono di nuovo immobilizzati dietro la schiena. Ora si trovava, più o meno, nella stessa situazione della sera prima, anche se al buio si era sostituita la benda e aveva le mani legate. Ma non furono più solo baci o carezze; fu una vera e propria tempesta di corpi, corpi nudi che le si accanirono addosso, petti e seni che si offrirono alla sua bocca, mani e poi falli - questa volta veri - che la penetrarono dolcemente e duramente. Era bellissimo, e finalmente fu liberata dal suo orgasmo con grida e tremiti convulsi.
Si rese conto che era giunta all'orgasmo da sola; sentiva che tutti coloro che le erano intorno, uomini e donne, erano eccitatissimi, ma per il momento si trattenevano ancora. Fu massaggiata leggermente e delicatamente. Poi, la solita voce femminile le sussurrò: "Apri la bocca, per favore". Lei lo fece, e all'improvviso, quasi brutalmente le venne applicato un bavaglio, anzi, come si rese subito conto, una specie di museruola... il suo desiderio di poco prima, quando Arianna l'aveva bendata, era stato realizzato. La strana museruola era forata al centro, ed era fatta in modo da costringerla a tenere la bocca e i denti aperti. Era piuttosto scomoda, ma almeno non la soffocava. "Ti dà fastidio?" le chiese la donna. Lei accennò di no con la testa. La donna le disse: "Adesso verrai penetrata in bocca e berrai lo sperma di tutti".
Maya accennò di nuovo di sì, anche se non le era proprio sembrato che fosse stato richiesto il suo consenso. Eppure, anche adesso come da quando aveva cominciato quella strana vacanza, sentì che quello che stava succedendo era esattamente quello che voleva - che forse aveva sempre voluto.
Sentì delle mani femminili tenerle fermo il capo, e poi, dall'alto, attraverso il foro di quel marchinegno che la imbavagliava, un grosso pene le entrò dentro, fino alla gola, andando e venendo in maniera furiosa. Non poteva fare niente, né chiudere la bocca, né scostarla; dovette subire quella penetrazione passivamente. Non è che le dispiacesse, ma avrebbe voluto farsi in qualche modo parte attiva in quel gioco; cercò quindi di accarezzare con la lingua il glande dell'uomo. Non ci volle molto perché un getto di sperma caldo le investisse il fondo della gola, facendola tossire convulsamente. La donna che la teneva ferma la sorresse, carezzandole i capelli sudati, poi appoggiò la bocca alla sua e scese a cercarla con la sua lingua. Maya, affannata, rispose al bacio.
Non le fu lasciato il tempo di riprendere fiato. Immediatamente la sua bocca fu penetrata da un secondo uomo, che preferì restarle dentro, senza muoversi, per un tempo che le sembrò lunghissimo. Sempre con la testa tenuta ferma da mani femminili, Maya aveva l'impressione di soffocare, come prima con il fallo di plastica; ma questo cazzo vivo le portava ulteriore eccitazione. Qualcuno le teneva ferme le mani ed i piedi, qualcun altro le leccava, con gentilezza ed attenzione, il sesso. Pur senza muoversi, anche questo secondo suo ospite venne, inondandole di sperma il fondo della gola. Lei cominciò a tossire, si divincolò, cercò di sputare; la donna che le era vicino, accompagnandola ed accudendola al suo piacere, la fece sollevare, girare sul fianco, e la sorresse per aiutarla a liberarsi la gola.
Quando si fu tranquillizzata, le sussurrò in un orecchio: "Scusa, ma non abbiamo ancora finito". La costrinse gentilmente a sdraiarsi di nuovo supina, e fu la volta di un terzo. Questo fu più gentile dei precedenti, le sue entrate ed uscite furono di breve durata, non le tolse il fiato, anche se quella maschera cominciava a farle dolere la mascella. Le venne, con molta gentilezza, sulla lingua, e a lei piacque assaporarne il gusto.
Fu poi la volta di un quarto, che rinunciò ad una penetrazione vera e propria; dai suoi movimenti, lei capì che le aveva messo in bocca solo il glande, e si masturbava. Bevve il suo sperma come ad una fonte.
Di nuovo la donna che l'aveva tenuta ferma la baciò; intanto una lingua, che le sembrava femminile, continuava ad accarezzarle il sesso senza mai fermarsi. Non ci volle molto perché lei venisse, agitandosi furiosamente, mentre le mani degli altri continuavano a bloccarle i polsi e le caviglie. Le fu tolta la maschera, pur lasciandole la benda sugli occhi; tutti, a turno, la abbracciarono con gratitudine ed amore, e lei rispose agli abbracci con trasporto. Si sentiva felice, come purificata da quello strano rito.
Le vennero di nuovo messe le manette dietro la schiena. Era ancora bendata. Sentì armeggiare intorno a lei, e poi, poco per volta, si accorse che tutti stavano andando via. "Dove andate? Non lasciatemi qua!" gridò, ma nessuno rispose. Non era possibile: era stata abbandonata nuda, legata, bendata, in un posto sconosciuto. Si rendeva perfettamente conto che quel luogo era disabitato, che se avesse gridato, chiamato aiuto, nessuno l'avrebbe sentita; sentiva ancora in bocca il sapore dello sperma dei suoi amanti, ma ora non ne era più gratificata, era un gusto inutile, doloroso. Aveva le gambe libere, avrebbe potuto camminare, ma non conosceva il luogo; avrebbe rischiato di farsi male, di cadere, di morire. Non poteva che restare lì.
Aveva paura. Cominciò a piangere il pianto di un bambino, disperato, dolce, continuo. Si sentiva sola e indifesa come se fosse appena nata, aveva bisogno di qualcuno, ma non c'era nessuno. Si rese conto che nel pianto, con una voce regredita, infantile, stava chiamando Arianna. Ma lei non rispondeva. Allora cominciò a chiamare il suo fidanzato, ma era come se lui l'avesse abbandonata, tradita, venduta. Tremava dal freddo, singhiozzava, le lacrime, sotto la benda, le impastavano gli occhi ed il viso.
Il canto degli uccelli, ad un certo punto, le fece capire che stava venendo giorno. Fu una delle ultime percezioni che ebbe, prima di rannicchiarsi su un fianco, su un suolo freddo e polveroso (il materassino su cui le sembrava di essere stata fatta sdraiare era stato portato via) e cadere in uno strano dormiveglia. Non seppe quanto tempo aveva dormito, da quanto tempo fosse lì, con le ossa e i muscoli che le dolevano. Sentì delle mani che la accarezzavano e la riportavano indietro dal sonno e dalla paura, ed erano mani conosciute. Le vennero tolte le manette, la benda, e, nella luce azzurrognola del mattino, Maya vide Arianna, inginocchiata vicino a lei, che le sorrideva con tenerezza, forse un po' di preoccupazione. Provò un sollievo enorme, che scacciò tutta la paura e l'angoscia.

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