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Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

giovedì 16 aprile 2009

SUONI A VENEZIA I PARTE



L'aereo aveva appena cominciato la manovra di atterraggio. Era stato detto di allacciare le cinture, raddrizzare i sedili, chiudere i tavolini, e già sembrava che la macchina si stesse inclinando in avanti, in procinto di lasciare il cielo e le nuvole, e di ritrovare la terra per sé e per coloro che trasportava.
Maya guardava fuori dal finestrino, cercando o sperando di intravvedere, tra le nuvole, i campi coltivati e gli specchi d'acqua lagunari, qualcosa di riconoscibile, ad esempio il campanile di San Marco, o il Canal Grande. Ma non li vide, evidentemente l'atterraggio al Marco Polo non prevedeva il sorvolo della magica città d'acque.
Si sporgeva, e al minimo movimento la sua schiena, le sue cosce si facevano sentire con un dolore leggero; solo a tratti, quando si muoveva bruscamente, bruciante. Ma non era spiacevole: in qualche modo quel dolore le ricordava lui, il suo fidanzato, la notte precedente, la passione, la promessa e l'aspettativa di quello che stava per accadere, per cui stava volando da Roma a Venezia.
Alcuni giorni prima, lui le aveva detto di chiedere al lavoro un periodo di ferie, perché le stava preparando una sorpresa. Lei, felice, gli aveva obbedito; già immaginava un viaggio alle Maldive o in Brasile, già sperava un'ubriacatura di luce e di colori, di calore e di emozioni, insieme a lui… E invece, adesso, si trovava da sola, come da sola era arrivata all'aeroporto di Roma e da sola aveva svolto tutte le operazioni di imbarco, senza sapere dove stava andando e perché. Venezia, certo; e l'idea non le dispiaceva affatto; ma Venezia è un concetto così vago…
La sera prima, lui l'aveva amata con la consueta passione, con la consueta attenzione. Poi aveva aperto la sua valigetta 24ore e ne aveva estratto un biglietto aereo, uno solo. - Eccoti la sorpresa - aveva detto.
Lei aveva preso il biglietto, guardato la destinazione, guardato lui interrogativamente, più per il fatto che il biglietto fosse uno, che per la destinazione. Lui le aveva sorriso, le aveva accarezzato il viso ancora bagnato del suo sperma e l'aveva baciata leggermente.
- Sì, Maya, dovrai partire da sola… ma non sarai sola - le aveva detto. - Non voglio dirti nulla. Tutto dev'essere una sorpresa. E' qualcosa che non ti aspetti, che ti darà piaceri ed emozioni tra più grandi ed intensi di quanto tu riesca a immaginare. Te la senti? Ti va di metterti in gioco?
Maya era un po' disorientata, un po' spiazzata, anche se, forse per il piacere appena trascorso, forse per la fiducia che riponeva nel suo uomo, sapeva che non avrebbe detto no. L'idea di non sapere, del gioco e dell'intrigo già la stava eccitando. Tuttavia non le dispiacque fare per un po', solo un pochino, la parte della renitente.
"Ma… veramente… avrei sperato che ci fossi anche tu… e poi, così, senza sapere cosa mi capiterà…" Mentiva sapendo di mentire. E lui lo sapeva bene. Le sorrise, si sporse verso di lei, le prese la testa, la baciò a lungo e profondamente.
Lei gli chiese di frustarla. Voleva avere un ricordo di lui, che la accompagnasse almeno all'inizio di quell'avventura. E lui lo aveva fatto. Per questo adesso quelle fitte di dolore in qualche misura la rassicuravano, le facevano sentire lui, il suo calore, la sua vicinanza.
L'aereo finalmente prese terra. Ritirata la piccola valigia al nastro trasportatore, Maya si avviò all'uscita, dove sapeva che qualcuno la stava aspettando. Si immaginava l'indifferente fattorino di qualche albergo, che reggeva il cartello col suo nome… e quale fu, invece, la sorpresa, quando vide il cartello col suo nome, ma a reggerlo era una ragazza elegante, che sembrava tutto tranne che l'impiegata di un albergo e che, appena la vide, le sorrise e le tese la mano come se avesse appena visto una sua vecchia amica.
"Maya? Ciao, sono Arianna. Hai fatto buon viaggio?"
"Ciao. Sì, abbastanza. E' moltissimo tempo che non venivo più qui a Venezia…" Si sentiva piuttosto imbarazzata. Voleva avere un'aria disinvolta, come l'aveva la sua interlocutrice, alta poco più di lei, capelli ed occhi corvini, pelle ambrata; indossava un vestito giallo e arancione, lungo, che le lasciava le spalle scoperte, e dei sandali pure arancioni dai tacchi molto alti. Ma non ci riusciva; era in una città che conosceva poco, inviata dal suo fidanzato, non si sa bene per cosa… Chi era, poi, questa bella guida? Cosa ci faceva lì? E cosa ci faceva lei?
"Vieni, dammi la valigia" le disse Arianna, prendendogliela di mano. Lei fece resistenza: "Ma no, è pesante…" Più che altro aveva l'impressione che con quel peso, e con quei tacchi, le caviglie della sua accompagnatrice sarebbero state decisamente in pericolo. Ma Arianna fu più decisa, non se la fece riprendere e, senza mostrare segni di disagio o di fatica, la precedette all'auto parcheggiata nel piazzale, addirittura una Mercedes - probabilmente la macchina dell'albergo, pensò Maya. Arianna mise la valigia nel bagagliaio, poi salì alla guida. Maya le si sedette al fianco, su un sedile di morbida pelle. Arianna mise in moto, e simultaneamente mise in funzione l'autoradio, con un gesto abituale, come probabilmente era solita fare ogni volta che saliva in macchina. Ma poi guardò verso Maya: "Oh, perdonami, sono proprio stupida!" disse. "Non ti ho neanche chiesto se la musica ti dà fastidio…"
"Ma no, figurati!" le rispose lei. "Io non riesco a guidare senza musica!" Arianna le sorrise affabile, di risposta. Dio, che sorriso perfetto, pensò Maya per un attimo.
"Allora, avrai fame…" le chiese Arianna mentre guidava fuori dal parcheggio dell'aeroporto.
"Beh, in effetti.. qualcosa sotto i denti lo metterei!"
"Allora, sai che facciamo? Ti porto a fare uno spuntino in un posto che so io, una trattoria molto carina dalle parti di Pramaggiore. Mangiamo qualcosa, e poi andiamo a Venezia."
In effetti Maya aveva una certa fame; fu quindi molto contenta, un'ora dopo, di poter essere seduta di fronte alla sua guida, sotto un fresco pergolato, e di poter farsi sedurre da alcuni gustosi piatti freddi di salumi e formaggi, da del pane casereccio e da una fresca bottiglia di bianco secco. Arianna continuava a guardarla con affabilità, a sorriderle, a parlarle con scioltezza di argomenti neutri, quelli di cui si potrebbe tranquillamente parlare con il vicino di posto in treno: le chiedeva quando era stata a Venezia l'ultima volta, cosa le era piaciuto, cosa voleva rivedere, se aveva letto qualche bel libro recentemente…
Maya, poco per volta, smise di farsi domande. La situazione poteva essere strana finché voleva, ma in fondo non c'era nessun motivo per stare in tensione. Nessuno le proibiva, peraltro, di essere lei a fare ad Arianna qualche domanda.
"Ma è stato prenotato un albergo?"
"No, il tuo fidanzato ha voluto per te qualcosa di meglio…"
"Cosa?"
"Se vuoi te lo dico. Ma vorrei che fosse una sorpresa…"
Il richiamo al suo fidanzato la rasserenò ulteriormente. Di Arianna si fidava; il suo comportamento era un mélange di una affabile professionalità da hostess e di una piacevole complicità femminile; come quando ebbe parole di lode per gli orecchini di gusto vagamente sudamericano che Maya portava. Disse che l'avrebbe accompagnata da un artigiano orafo, in un campo che nessuno conosceva, bravissimo a modellare gioielli di quel genere. "Ma io non so se posso…" cominciò a dire lei. "Non preoccuparti di questo!" Le fece capire che tutte le spese che avrebbe affrontato in quei giorni, comprese le più voluttuarie, sarebbero state pagate. Per un attimo, ma solo per un attimo, Maya pensò a quanto stava spendendo il suo fidanzato per offrirle quella inusuale vacanza, e questo la fece sentire piacevolmente coccolata.
Un'ora dopo, la loro auto era sulla strada che conduceva verso Venezia. Come già l'ultima volta, svariati anni prima, che era stata da quelle parti, visse con piacevole sorpresa l'attraversamento del lungo ponte sulla laguna. Arrivati al Tronchetto, lasciarono l'auto nel parcheggio multipiano e presero un motoscafo-taxi per raggiungere la loro prossima destinazione. Maya guardava con piacere i palazzi antichi e sempre splendidi che si affacciavano sui canali, l'acqua luccicante, le gondole che ondeggiavano agli attracchi. Arianna, seduta al suo fianco, la lasciò gustare il piacere di quel momento.
Il motoscafo attraccò in un canale secondario, di fronte all'entrata per le barche di un antico palazzo che, pur avendo sicuramente conosciuto tempi migliori, faceva ancora mostra di una nobile bellezza nelle sue bifore e nei cornicioni decorati a stucco. Il taxista scaricò sulla banchina la valigia, salutò e si allontanò sollevando onde sottili che smossero l'acqua tranquilla. Arianna cercò e trovò nella sua borsa la chiave del grosso portone di legno, aprì e poi si fece da parte, per permettere a Maya di passare.
Si trovarono in un ingresso grande, piuttosto oscuro, decorato con mobili antichi. Delle appliques in vetro di Murano producevano una luce fioca, e c'era un deciso odore di umido. "Non preoccuparti" disse subito Arianna, indovinando la perplessità di Maya. "Sopra è molto meglio. Questa parte del palazzo, dato che è a diretto contatto col canale, è rimasta l'ultima a dover essere ancora risanata".
In effetti, già solo salendo lo scalone a forbice che portava al piano superiore, la cosa cambiava. Si trovarono in una grande sala, con divani, poltrone e un grande pianoforte a coda, sulla quale si aprivano alcune porte, e che terminava in una spettacolare vetrata che dava sul canale della Giudecca, inondato dalla luce. Arianna aprì una delle porte, e fece entrare Maya in una stanza ampia, profumata di fiori (su un comò faceva bella mostra di sé una ricca composizione floreale), con mobili antichi ma ben tenuti. C'era anche un letto alla francese, le cui lenzuola si indovinavano fresche e pulite.
"Ecco, Maya, questa sarà la tua casa per i prossimi tre giorni… meglio di un albergo, vero?"
"Sì, devo ammetterlo" rispose Maya. Non voleva farlo troppo vedere, ma la prospettiva di passare alcuni giorni in quella residenza nobiliare, servita in tutto, la entusiasmava.
"Allora eccoti le chiavi. Questa apre la porta della stanza, e questa il portone di sotto, ovviamente non quello sul canale, ma quello pedonale, dall'altra parte dell'ingresso. Quello è il bagno. La cena ti sarà servita alle sette e mezza, qui in camera; questo è il menù, guarda se ti va bene, altrimenti dimmi se vuoi modificare qualcosa… Per intanto, puoi fare quello che vuoi, uscire o restar qui a riposarti… Nel salone, qui fuori, c'è un frigobar, dei libri, delle riviste, un impianto stereo; puoi ascoltare musica, se vuoi; non disturbi nessuno. Noi ci vediamo stasera verso le dieci. Ah, una cosa: come vedi, qui nella stanza non c'è il telefono; non è un caso. E' ovvio che tu sei totalmente libera di fare quello che vuoi; uscire, star qui, partecipare alle attività che ti proporremo fino al momento in cui vorrai… Ti chiederemmo solo una cosa: di concentrarti esclusivamente su di te, su quello che vivrai nei prossimi giorni, a partire da stasera. Questo significa anche rinunciare a usare il telefono, a chiamare chiunque, anche il tuo ragazzo. E' ovvio che non sei costretta a farlo; sta solo a te deciderlo… Pensa che quello che vivrai sarà per te, interamente e soltanto per te.
"D'accordo, ma… immagino che lui lo sappia…"
"Certo, non preoccuparti, lui sa tutto, di questo."
"Ma…" esitò un istante "…io, posso saperlo? Cosa mi aspetta nei prossimi giorni?"
Arianna le sorrise con dolcezza ed anche con accondiscendenza, come se fosse abituata a sentirsi fare quella domanda. "Se vuoi posso dirtelo, anche se di preciso non lo so nemmeno io. Ma lascia che sia una sorpresa; saranno tutte cose belle; di questo non ti devi preoccupare…
"E va bene!" acconsentì Maya. "Lasciamo che sia una sorpresa!"
"Vedrai che lo sarà" le rispose Arianna, appoggiandole una mano sul braccio in segno di saluto. "A stasera, allora. Ciao".
"Ciao".
La porta si chiuse; Maya, finalmente, fu sola. Si sfilò le scarpe, si lasciò cadere sul letto senza nemmeno togliersi il vestito. Dal canale, di sotto, si sentiva di tanto in tanto il suono di una sirena, o lo stridio dei gabbiani. Era tutto molto strano, ma stava bene; non sapeva quello che sarebbe capitato, ma si sentiva protetta, al sicuro. Aveva voglia di dormire, ma prima prese dalla borsa, posata a fianco del letto, il telefonino, lo spense e lo mise nel cassetto del comodino. Poi chiuse gli occhi e si addormentò.
Si svegliò qualche ora dopo; non sarebbe mancato molto alla cena, aveva giusto il tempo di farsi una doccia. Disfò il bagaglio, e appese nell'armadio i vestiti che si era portata. Poi andò in bagno, e quasi non credette ai suoi occhi: non era mai entrata prima in un bagno tanto lussuoso. Spazioso, con ceramiche pregiate, una grande vasca da idromassaggio, una parete interamente rivestita di specchi. Sul bordo della vasca, vari flaconi di essenze da bagno; un accappatoio di cotone bianco morbidissimo, una vestaglia azzurra, di seta; sulla specchiera sopra il lavandino, vari prodotti cosmetici, profumi, creme, smalti, rossetti… Per un attimo pensò che tutta quella roba fosse stata abbandonata dall'ospite precedente; ma poi si rese conto che erano tutti prodotti nuovi, chiusi e sigillati… quindi predisposti appositamente per lei.
Aprì i rubinetti della vasca. Lasciò cadere a terra il vestito, si sfilò le mutandine, si lacciò il reggiseno; si guardò, nuda, nella parete di specchi. Le venne quasi da ridere; possibile che lì, al centro di quella specie di set da film di Hollywood, ci fosse proprio lei? Eppure era così.
Aggiunse all'acqua della vasca dell'essenza da bagno al sandalo, e poi, con sommo piacere, si lasciò sommergere. Respirò profondamente, chiuse gli occhi. Le sue mani toccarono il pannello di comando dell'idromassaggio; tanto per provare lo accese, provò tutte le funzioni. Divertente, ma tutto sommato non ne aveva voglia, preferiva l'acqua ferma e tranquilla. Lo spense, e si lasciò andare per una mezz'ora a quella placida tranquillità.
Uscì dalla vasca e si asciugò con l'accappatoio; poi indossò la vestaglia sulla pelle nuda. Non faceva freddo, stava benissimo.Si profumò, si applicò uno smalto rosa leggero alle unghie delle mani e dei piedi. Mancava ancora una mezz'ora alla cena; uscì dalla stanza ed entrò nel salone del pianoforte. Camminando a piedi nudi sugli spessi tappeti che rivestivano il pavimento, si accostò al frigobar, lo aprì; c'era di tutto, sia alcoolico che analcoolico. Prese la bottiglia del Martini, una elegante coppa di cristallo dalla cristalliera di noce a fianco e si versò un aperitivo. Poi fece un giro di esplorazione nel salone. Le altre porte che vi davano erano tutte chiuse. C'era una grande libreria, piena di libri rilegati; tutti romanzi, classici, libri di poesie. Peccato, pensò Maya, che nei pochi giorni in cui si sarebbe fermata lì non avrebbe avuto il tempo di concluderne nemmeno uno; ma le piaceva l'idea di avere a disposizione una tale riserva di cultura. Si accostò al pianoforte; su di esso c'era una pila di spartiti, abbastanza logorati dall'uso: Bach, Mozart, Beethoven, Chopin, Schumann… ma anche Gottschalk, Scott Joplin, e altri ragtimers; nella maggior parte dei casi, roba di difficoltà proibitiva. Certo che chi frequentava quella casa doveva essere gente di grande cultura… Saggiò qualche nota sulla tastiera, poi si accostò allo stereo. Anche i CD a disposizione erano prevalentemente di musica classica, seppure non esclusivamente: c'era anche qualcosa di rock melodico, cantautori americani… Infilò nel lettore un CD di Leonard Cohen, si sedette sul divano e osservò cosa offriva il portariviste lì a fianco. Riviste geografiche, di moda, d'arte, di arredamento. Nessuna lettura impegnativa, niente attualità o quotidiani. Così come non c'era nemmeno la televisione o una radio; evidentemente non era un caso… Sollevò le gambe da terra e le raccolse davanti a sé, in modo da proteggere i piedi nudi sotto la vestaglia; prese un numero recente del National Geographic, cominciò a sfogliarlo facendosi rapire dalle splendide fotografie.
Verso le sette e mezza, sentì dei rumori di stoviglie, poi vide una porta aprirsi ed apparire una cameriera che spingeva un carrello con dei piatti dal profumo seducente, coperti da coperchi scaldavivande. Maya si alzò, istintivamente controllò che la vestaglia fosse chiusa, e andò ad aprire la porta della camera, di modo che la cameriera potesse passare. "Buonasera, signora" disse. Era una orientale, piccola e giovanissima, con i capelli raccolti dietro la testa. Aveva la classica uniforme bianca e nera delle cameriere dei films. "Buonasera" - rispose Maya. La cameriera apparecchiò rapidamente la piccola tavola della stanza, poi versò una minestra di verdure da una zuppiera d'argento, e del vino rosso in un bicchiere di cristallo. "La signora desidera che la assista, o posso ritirarmi?" chiese la piccola cameriera, sorridendo con la classica gentilezza degli orientali. "Grazie, posso fare da sola" rispose Maya. "Come la signora desidera" disse ancora la cameriera. "Questo è il menù per domani sera. Se le va bene, lo lasci sul carrello. Buon appetito, signora".
Maya mangiò con grande piacere. La minestra era ottima, così come l'arrosto ai funghi che seguiva. Per dessert, una fetta di torta; per fortuna, il cuoco doveva essere italianissimo. Poco dopo che Maya ebbe terminato, tornò la cameriera, sparecchiò la tavola e, dopo aver salutato, spinse via il carrello.
Intanto era calata la sera. Maya prese un libro di poesie di Hoffmanstahl e si andò a sedere su una poltrona di vimini, vicino alla finestra. La luce blu indaco del cielo faceva da sfondo allo specchio della laguna, e alle lampade degli ormeggi e delle barche. Si sforzava di continuare a leggere anche senza accendere la luce elettrica. Era tutto molto rilassante, molto tranquillo… stava bene. Tra poco sarebbe tornata Arianna, la stava aspettando con fiducia e curiosità.
E infatti, un'ora più tardi, sentì bussare alla porta. "Avanti!" disse. La porta si socchiuse, ed affiorò il bel viso di Arianna, che le sorrise e le chiese se poteva entrare. "Prego, vieni!" Arianna entrò, e si mosse verso di lei. Aveva sostituito il vestito giallo e arancione con un completino azzurro, maglietta e pantaloni aderenti, corti al polpaccio, ma continuava a portare gli stessi sandali a tacchi alti. I capelli, che durante il giorno aveva portato sciolti sulle spalle, adesso erano raccolti sulla nuca, e le stavano altrettanto bene. Maya le fece cenno di sedersi davanti a lei, sull'altra poltrona di vimini. Arianna si sedette, leggera, e le sorrise ancora. "Allora, come stai? Hai mangiato bene?" Lei rispose di sì, che era stato tutto molto piacevole, anche quell'oretta di lettura nel silenzio. "Sono contenta che tu sia stata bene. Amo molto la mia città, e sono contenta se piace anche a te". Poi, dopo una breve pausa, si sporse verso di lei: "Allora, sei pronta?" Maya stava per rispondere "a cosa", ma poi, all'ultimo si ricordò che le regole del gioco non prevedevano quel tipo di domanda. Per cui si limitò a fare di sì col capo, sorridendo leggermente.
Arianna si alzò, lei fece lo stesso. "Spogliati, per favore, e stenditi sul letto. Ti faccio un massaggio". Maya non ebbe problemi a togliersi la vestaglia, e a stendersi sul letto di schiena; la stanza era completamente buia, salvo la luce notturna che penetrava dalla finestra, quindi sapeva di non essere troppo visibile; l'idea del massaggio, poi, le piaceva. Temeva solo che forse si sarebbe rilassata troppo e magari addormentata, era già così soft… Sentì Arianna andare in bagno, aprire l'acqua - probabilmente per lavarsi le mani - e poi tornare nella camera, armeggiare con la borsa, prendere qualcosa. Poi avvicinarsi a lei, che teneva il cuscino abbracciato e gli occhi chiusi. La sentì salire sul letto, e sentì il rumore dei sandali che cadevano per terra. Ora le era vicina. Sentì qualcosa di tiepido gocciolarle sulla pelle nuda, e subito dopo le sue mani, che cominciavano a percorrerle la schiena, cercando e trovando con una sapienza che la sorprese tutti i suoi centri nervosi, uno dopo l'altro, a fianco delle vertebre. Le mani di Arianna erano morbidissime, gentilissime. Ogni tanto le sue unghie lunghe la pungevano leggermente, ma anche quella, come sensazione, non era sgradevole. Non era la prima volta che Maya riceveva dei massaggi, ma di solito erano di una piacevolezza di tono diverso; più rudi, più spinti alla rivitalizzazione, allo scioglimento delle tensioni. Il massaggio di Arianna era sereno, riappacificante, quasi materno, nonostante fossero coetanee. Bellissimo. Respirò profondamente ed a lungo; Arianna se ne accorse, le sue mani divennero ancora più attente, ancora più accoglienti. Scesero in basso, percorsero le sue natiche, le cosce (si ricordò delle frustate che aveva ricevuto dal suo fidanzato la notte prima, ma non aveva quasi dubbi che l'oscurità le avrebbe nascoste), arrivarono ai piedi e le massaggiarono anche quelli, pizzicando le piante, tirando e torcendo delicatamente le singole dita. Poi tornarono verso l'alto, le percorsero le sue braccia, le mani, e poi il collo, la nuca, il viso.
Fu in quel momento che a Maya arrivò l'odore inconfondibile del liquido che Arianna continuava a far gocciolare sulla sua pelle. "Ma… ma è…" Arianna sorrise, e sussurrò: "Sì, è proprio quello".
Il cuore di Maya cominciò a battere più forte, come se a quella rivelazione le endorfine avessero deciso di tornare precipitosamente a casa e al loro posto avessero cominciato a galopparle nelle vene ben altri ormoni. Nel buio, immaginò gli uomini, quanti? Non certo meno di due, forse anche quattro o cinque, che si erano masturbati per offrire il loro sperma al suo corpo. Come lo avranno fatto? Tutti insieme, o ognuno per conto suo? E non poteva forse essere stata la stessa Arianna, con quelle stesse mani che ora la stavano delicatamente massaggiando, ad ottenere il loro amore? Magari glielo avrebbe chiesto, ma non adesso. Ora non era il momento.
Arianna la fece girare, continuò il massaggio anche al suo ventre, ai suoi seni, eretti ma non ancora eccitati. Ancora alcuni minuti, poi si chinò leggermente verso il suo orecchio, le sussurrò: "Quando ti senti pronta, Maya, alzati pure. Ti porto di sopra".
Maya non aveva mai provato un'eccitazione così diffusa, così sensuale, così poco genitale. Quando si alzò ebbe l'impressione di volare. Arianna le porse la vestaglia, e poi un paio di pantofole di raso, dai tacchi moderatamente alti. Si inginocchiò davanti a lei, le sollevò i piedi, prima l'uno e poi l'altro, e gliele fece calzare, con estrema gentilezza. Poi, precedendola, aprì la porta e le fece strada nel salone e su per le scale, illuminate da poche lampade discrete.
Al piano superiore. Arianna aprì una porta che immetteva in un vestibolo; ne aprì un'altra, e la fece entrare in una grande stanza in penombra, gradevolmente spoglia, al centro della quale c'erano alcuni grandi cuscini accostati tra loro. Erano molto morbidi. Anche qui odore di fiori secchi. Da qualche parte veniva una musica barocca, un violoncello, un clavicembalo, un flauto, forse. Per un attimo pensò che per fortuna non era Vivaldi, le sarebbe sembrato veramente una caduta di stile che i suoi anfitrioni, chiunque fossero, avessero ceduto alla banale equazione "Venezia uguale Vivaldi". No, doveva essere qualche autore non italiano, meno scontato e più raffinato, Telemann o qualcosa del genere.
Arianna le chiese di togliersi la vestaglia e le pantofole, e di stendersi sui cuscini. Lei lo fece, le consegnò la vestaglia. Poi, dopo che Maya si fu stesa, le sollevò delicatamente la testa per sistemarvi sotto un cuscinetto morbido. Infine raccolse anche le pantofole, e le disse: "A più tardi, Maya. Buon divertimento", ed uscì spegnendo la luce e chiudendo la porta. La stanza precipitò istantaneamente nel buio più assoluto; Maya si sarebbe spaventata, non ci fosse stata quella musica molto bella a tenerle compagnia. Chiuse gli occhi e si concentrò sui suoni.
Ma, pochi minuti dopo, si accorse che qualcuno era vicino a lei. Sentiva dei rumori attutiti, dei movimenti, forse anche dei respiri. C'erano delle persone; non sapeva chi e quante. Non si spaventò; si mise ad attendere; e non ci volle molto per sentire delle mani che iniziarono ad esplorarle nel buio il corpo. Molte mani; forse non tante quante immaginava, ma le sembravano un numero infinito. Alcune più delicate, altre più attente, alcune rudi, altre ancora timide; alcune sicuramente maschili, altre forse femminili. Forse erano sempre le stesse mani che cambiavano momento, percorso e stile, ma lei non poteva saperlo, non voleva, non le interessava. Era bello. Era come se quelle mani modellassero e colorassero i suoni che giungevano alle sue orecchie; come se modellassero e colorassero il suo corpo, rivelandone a lei stessa l'esistenza. Le accarezzavano i seni, si insinuavano nel suo sesso bagnato, tra le cosce; sul viso, in bocca, lungo l'attaccatura dei capelli. Sulle sue mani, sui suoi piedi.
Dopo le carezze vennero i baci. Sentì delle bocche posarsi su di lei, accogliere in sé, calde e umide, le dita delle mani e dei piedi. Sentì il solletico di barbe e capelli sulla sua pelle, il rumore delle lingue che la assaporavano, l'alito caldo ed i respiri forse emozionati di qualcuno che in quel momento si trovava a condividere la sua emozione. E la musica continuava, tranquilla ed estatica. Qualcuno, poi, la baciò anche sulla bocca, penetrandola con una lingua abile e dolce, dal gusto di buono; forse chi la baciava (uomo o donna? Non lo sapeva, non lo capiva, non la interessava) aveva mangiato, poco prima, della frutta.
Durò un tempo forse lunghissimo, di cui non si rendeva conto. Sentiva bocche, carezze, respiri, ma i sospiri, i gemiti, in breve, furono solo i suoi, accolti ed addolciti dalla musica che non cessava. Non molto dopo venne, poi venne ancora, poi ancora. Sentiva il suo corpo ormai sudato e stanco, sentì di aver bisogno di un momento di riposo. "Per favore, basta" chiese sottovoce. Allora sentì qualcuno che la baciò più di una volta sul viso; piccoli baci offerti forse con un sorriso, baci affettuosi, più coccole che erotismo; sentì poi quelle presenze misteriose, quei fantasmi, alzarsi ed allontanarsi. Ancora una volta non vide la luce nel momento in cui la porta venne aperta, evidentemente era buio anche nel vestibolo.

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