*****ROXY E' TORNATA!

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Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

lunedì 13 aprile 2009

ALESSIA


Accadde una sera d'estate, in discoteca, due anni fa.
Eravamo arrivati verso le undici; io, Sara, Alessandra, Liliana, Piero, Claudio e Marco, il mio ragazzo.
Dopo aver preso possesso di un divanetto libero, ci lanciammo subito in pista. La musica non era male; una selezione di brani attuali e meno attuali, anche assai diversi tra loro, ma scelti ed accostati con molta cura, proprio come solo un buon D.J. sa fare.
E fu allora che la vidi.
Danzava al centro della pista, da sola. Teneva gli occhi chiusi, ed era totalmente concentrata sul suo movimento. Alta e magra, aveva i capelli corti, castano scuro - almeno, così mi sembrarono sotto le luci psichedeliche - e il suo corpo era totalmente pervaso da un moto che nasceva dal bacino per propagarsi, accompagnato dal ritmo, verso l'alto, fino alle braccia, che costruivano fantasie appassionate nello spazio, e verso il basso, fino ai piedi, che muoveva con scioltezza nonostante i tacchi alti. Il suo vestito, stretto e nero, non aveva grandi pretese; ma non aveva bisogno di averne, vista la bravura e la bellezza del corpo su cui si appoggiava.
Rimasi incantata a guardarla, mentre danzavo. Mi accorsi che erano in molti, intorno a lei, che facevano lo stesso; ma sembrava che la sua bellezza e bravura, in qualche modo, respingesse piuttosto che attrarre. O forse nessuno voleva disturbare la sua concentrazione; comunque fosse, attorno a lei si era formato, sulla pista, uno spazio piuttosto ampio, in cui non entrava nessuno. Neanch'io ci entrai. Preferii guardarla dal di fuori, e non smisi di guardarla neanche quando mi andai a sedere, per bere la mia consumazione.
Mentre poco dopo ero in bagno a rinfrescarmi il trucco, vidi nello specchio aprirsi la porta alle mie spalle, e, inaspettatamente, lei che entrava. Si accostò al lavandino vicino al mio; la vidi aprire l'acqua, mettervi sotto le braccia nude e lasciarvele a lungo, per rinfrescarsi. Poi, quando sentì che le bastava, si asciugò. Infine accostò la bocca al rubinetto e bevve.
Per far questo, dovette inclinare il viso verso di me. Vidi il getto d'acqua frangersi contro due file di denti bianchi e perfetti; mentre beveva i suoi occhi erano chiusi. Quando li aprì, i nostri sguardi si incrociarono, ed io mi sentii molto imbarazzata. Temetti che la mia attenzione venisse fraintesa, come se la guardassi con riprovazione per il fatto che snobbava il bar, rivolgendosi al più economico rubinetto del bagno per soddisfare la sua sete. In realtà non era certo per questo. Desideravo piuttosto bere la sua immagine, il suo muoversi ed esserci, che anche ora, fuori dalla pista e dalla musica, mi procuravano una sottile emozione.
Lei sorrise, per niente a disagio. - Peccato che non ci sono delle docce - disse. - Farebbe proprio piacere, dopo tutto questo movimento.
- Eh, sì - risposi io. Volevo aggiungere qualcos'altro, ma non mi veniva in mente niente.
- Senti, non avresti mica una sigaretta?
- Non qui. Le hanno i miei amici, fuori; se vuoi venire te la dò subito.
- Grazie; ho finito, andiamo pure.
Uscimmo dal bagno. Mi precedette, aprì la porta a molla e la tenne aperta, mentre io passavo; ero contenta di aver potuto scambiare qualche parola con lei.
Raggiungemmo i miei amici. Quando mi videro arrivare seguita dalla bella sconosciuta, restarono un attimo interdetti; sicuramente non pensavano che avrei potuto offrire loro questa occasione. Io stessa ebbi piacere dei loro sguardi, che in qualche modo esprimevano ammirazione e gratitudine. Sorridendo tra me e me pensai: ecco come deve sentirsi un maschietto di fronte agli amici, quando "carica"... Magari credevano che avessi voluto far loro un favore.
Potevo anche lasciarglielo credere.
- Mi dai una sigaretta? - chiesi a Marco. Lui tirò fuori le sigarette e l'accendino dalla tasca interna della giacca, aprendo la scatola verso di me. Ma io gliela tolsi dalle mani, la aprii a mia volta verso la ragazza e le feci prendere la sigaretta che desiderava, che subito accesi con l'accendino di Marco.
- Posso sedermi un attimo? - chiese, vedendo che c'era un posto libero sul divanetto circolare. - Certo, prego! - disse Piero, scostandosi per farle più posto, possibilmente vicino a lui.
- Ti abbiamo vista ballare, prima - continuò Piero - e siamo rimasti tutti ammirati. Sei veramente molto brava.
- Oh - rispose lei con un'alzata di spalle e un sorriso, come qualcuno che è abituato a ricevere complimenti, ma nonostante questo ne prova comunque piacere. - E' che mi piace, ecco tutto -.
- Ciao, io sono Piero - disse lui, tendendole la mano, con l'aria del timido che cerca di fare il disinvolto, e ci riesce pure.
- Alessia - rispose lei, stringendogliela. Seguì il consueto giro di presentazioni; quando toccò a me, sentii la sua stretta di mano ferma e sicura. Mi piacque.
Eravamo tutti molto incuriositi da lei; è evidente che era effettivamente lì da sola; non è abituale in una discoteca. A rischio di sembrare indiscreti, le facemmo parecchie domande.
Venimmo così a sapere che era laureata in lingue, e faceva la traduttrice; traduceva soprattutto dall'inglese e dal tedesco opere letterarie e scientifiche. Che viveva da sola, amava andare in discoteca (e questo lo avevamo già capito), al cinema, a nuotare, a camminare.
Io avevo deciso, proprio in quel periodo, di iscrivermi ad un corso di lingua tedesca; mi serviva per il mio lavoro di impiegata. Ne approfittai per chiederle consiglio. Lei mi rispose che le buone scuole sono parecchie, ma che i primi rudimenti sarebbe stato meglio apprenderli in privato, con un buon insegnante, magari madrelingua.
- Posso chiederti se mi daresti delle lezioni? - le chiesi. Non so perché, mi ero fatta l'idea che fosse brava anche ad insegnare.
- Si può provare - rispose. Ci scambiammo i numeri di telefono. Poi tornammo tutti in pista.
Cominciai così, una volta alla settimana, soprattutto alla sera quando uscivo dall'ufficio, ad andare da lei a prendere lezioni di tedesco. Abitava in una vecchia casa del centro, di quelle in cui si entra dal ballatoio; il palazzo era piuttosto sporco e maltenuto, ma il suo appartamento si faceva apprezzare per la luminosità con cui era stato arredato. I mobili erano tutti molto chiari; alle pareti poche stampe, scelte con cura. Poi un grande tavolo, ingombro di carte e di libri, dove ci sedevamo a fare lezione.
Alessia si rivelò essere effettivamente piuttosto brava. Mi faceva applicare le regole grammaticali subito dopo averle imparate, in brevi momenti di conversazione; spesso, poi, mi fermavo da lei a cena, se nessuna delle due aveva altri impegni per dopo. Si parlava un po' di tutto; se non eravamo troppo stanche, dopo uscivamo, da sole o con altri amici, per un cinema o qualcos'altro.
In breve, si creò un rapporto di grande confidenza. Parlavamo soprattutto di noi stesse; quando uscivamo, spesso mi prendeva sottobraccio con affabilità. Mi accorsi che il contatto fisico con lei mi trasmetteva calore, addolciva gli stati di malinconia e di solitudine in cui ogni tanto, mio malgrado e malgrado Marco, mi capitava di cadere. Era sempre lei a prendere l'iniziativa di questo, come anche di abbracciarmi, qualche volta, ai nostri incontri, anziché salutarci col consueto bacino sulla guancia; tuttavia, se qualche volta questo non capitava, mi scoprivo ad interrogarmi angosciata se qualcosa nel mio comportamento era stato sbagliato, se potevo averle fatto del male od averle dato qualche motivo di fastidio... Mi sentivo molto stupida per questo, eppure mi succedeva.
Mi piaceva molto il fatto che, anche quando uscivamo da sole, lei non trascurava mai di curare il suo aspetto; prediligeva i colori scuri, le gonne corte con le calze nere, o i pantaloni attillati di pelle; non rinunciava mai, poi, ai tacchi alti, agli orecchini, ai bracciali e ad un trucco non eccessivo. Io stessa, per essere all'altezza, mi vestivo e mi truccavo con una cura insolita per la situazione; e poi ci piaceva essere guardate, per strada o negli ingressi dei cinema; ci divertiva soprattutto il fatto che chi ci vedeva sicuramente pensava che fossimo a caccia di maschi, mentre invece lo facevamo esclusivamente per noi stesse.
Alessia aveva molti amici; mi aveva confidato molte cose riguardo alle sue passate relazioni sentimentali, ma non ne aveva nessuna stabile già da alcuni anni. Mi raccontava di alcuni ragazzi che per lei erano stati importanti, ma lo faceva senza rimpianto. I suoi problemi, quando ne parlava, nascevano prevalentemente dall'insicurezza in cui spesso versava il suo lavoro.
Erano già parecchi mesi che ci conoscevamo, quando la mia relazione con Marco cominciò ad inaridirsi. Mi rattristava molto vedere questo rapporto, che per noi era stato bello, consumarsi lentamente, e non riuscire a fare niente per salvarlo. In quel periodo mi intrattenevo spesso con Alessia, e parlavamo; cercavo motivi e spiegazioni, e soprattutto calore, affetto. E lei me li dava. Una sera, in cui stavo particolarmente male, mi propose di fermarmi a dormire da lei. E io accettai volentieri.
Dopo aver mangiato una cena leggera, innaffiata di vino bianco - la sua dispensa non era mai sfornita, e le candele accese, sulla sua tavola, non mancavano mai - e, visto che ormai tutte le parole erano già state dette, dopo aver ascoltato un po' di musica, Alessia mi offrì una camicia da notte ed andammo a dormire nel suo letto matrimoniale.
Avevo molto bisogno di calore. Non mi parve strano accostare il mio corpo al suo, appoggiare i miei piedi ai suoi, di cui percepivo le unghie ben curate, avvicinare il mio viso al suo per sentirne il respiro caldo, ed il solletico gentile dei suoi capelli. Anche lei percepì questa mia necessità; allungò un braccio, facendolo scorrere come in una carezza lungo la mia schiena, per poi tirarmi ancora di più verso lei.
C'era molta tranquillità, molta serenità in quella vicinanza. Chiusi gli occhi, mi lasciai andare al sonno, sentii un grande senso di sollievo.
Accadde verso l'alba. Mi svegliai nella penombra della stanza, rischiarata dalla luce della strada che entrava dalla finestra, e la sentii ancora vicina, come quando ci eravamo addormentate.
Vidi la sua bocca, semiaperta nel sonno. Accostai la mia e gliela baciai. Poi le baciai ancora gli occhi, il naso, la fronte, il collo. Sentivo come speranza, eccitazione, tenerezza, inquietudine. Era come se una forza strana mi stesse portando in una terra sconosciuta, che mi attraeva scoprire e tuttavia mi intimidiva per le sue incognite. Ma non avrei rinunciato.
Sentivo di voler bene a quella bella ragazza, che tanto aveva fatto e stava facendo per me; e volevo che lo capisse. Volevo ringraziarla, anche, della sua bellezza, che mi aveva offerto tante volte, a partire da quella sera ormai lontana in cui ci eravamo conosciute.
Lei aprì dolcemente gli occhi e mi guardò senza sorpresa, come se quello che stavo facendo fosse stato scontato da sempre. Lasciò che continuassi a baciarla; quando le mie labbra si posavano sulle sue, rispondeva al bacio protendendole appena. Per il resto, era totalmente inerte.
Fino a quando, all'improvviso, non mi rovesciò supina nel letto, afferrandomi scherzosamente i polsi con le mani; mi venne sopra e prese a sua volta a baciarmi il viso. Ma i suoi baci erano molto più decisi dei miei; sentivo inoltre il peso del suo corpo, la rotondità dei suoi seni, la liscia linearità delle sue gambe tra le mie.
La sua bocca si posò sulla mia, e mi schiacciò le labbra. Avevo gli occhi chiusi; sentii la sua lingua toccarmi un istante i denti, come per chiedere permesso. Che arrivò subito, spontaneo e ignaro della mia volontà. La mia bocca si aprì, la mia lingua incontrò la sua, e ci baciammo a lungo, con passione.
Sentii poi il suo sesso cercare eccitazione contro la mia gamba, e risposi allo stesso modo; sentii che tutto stava crescendo, oltre le mie più sconosciute speranze - le stesse, forse, che avevo sempre avuto fin dalla prima volta che l'avevo vista - e non fu niente di strano, un attimo dopo, buttare a terra coperte e lenzuola, sfilarci a vicenda le camicie da notte per poter vedere i nostri corpi nudi, accarezzarci i seni con le mani e le bocche, e poi scendere verso il basso, poco per volta.
Fu un risveglio meraviglioso. Ricordo di aver provato raramente piaceri così intensi come quando sentii Alessia percorrermi la schiena con le labbra, quando sentii le sue mani farsi strada con delicatezza in me, quando la sentii arrivare perfino a dedicare attenzione alle dita delle mie mani e dei miei piedi, che accarezzò una per una, delicatamente, per poi baciarle piano. Quando si sdraiò supina, invitandomi ad inginocchiarmi su di lei per offrirle il sesso alla bocca, in modo da poterlo baciare appassionatamente; e glielo strofinai contro con forza, mentre per l'intensità delle sensazioni la testa mi girava al punto che stentavo a reggermi; quando fui io che volli fare la stessa cosa, ed ebbi modo di inebriarmi così del suo odore, che avevo già intuito la prima volta quella sera in discoteca, quando stanca ed accaldata mi si era accostata in bagno, ma che ora potevo avere mille volte più intenso, solo per me.
Rimanemmo ancora a lungo vicine, il giorno successivo, che per fortuna era un sabato. Di tanto in tanto, sfinite, ci accostavamo ancora l'una all'altra per un bacio, una carezza. Ma soprattutto ci guardavamo intensamente negli occhi, comunicandoci mondi di tenerezza, di complicità, di reciproca comprensione. Poi Alessia prese il coraggio di alzarsi, si infilò una vestaglia - che lasciò saggiamente aperta, come per dirmi che non avevamo ancora necessariamente finito - e andò in cucina a preparare la colazione, la migliore colazione che io avessi mai mangiato.
A questo seguirono altri incontri, per mesi e settimane. La cosa più bella è che tutto questo sembrava non mettere nulla in discussione di noi; io continuavo ad essere Mara, con la mia vita, il mio carattere, le mie gioie ed i miei problemi, e lei, ugualmente, Alessia. Andavo al lavoro, a cena dai miei genitori il giovedi sera, in palestra. Mi guardavo intorno alla ricerca di un ragazzo. Ma non provavo solitudine o disagio; mi bastava pensarla per avere sollievo.
Quello che stavo vivendo con lei lo sentivo come un di più, un extra rispetto a quanto la vita mi offriva o pensavo avrebbe avuto il dovere di offrirmi, e credo che anche per lei fosse lo stesso.
Finché una sera, mentre eravamo sedute con gli altri amici in una birreria, e - invisibili a tutti - sotto il tavolo ci tenevamo per mano, Alessia comunicò che aveva finalmente trovato un lavoro stabile. In Inghilterra. E che sarebbe partita pochi giorni dopo.
Esclamazioni di sorpresa dei presenti, complimenti, qualche accento di rimpianto, promesse di rivedersi.
Io ero pietrificata.
La mia mano divenne fredda; fui costretta a lasciar andare la sua. Si creò uno strano imbarazzo tra noi due; per paura che qualcuno se ne accorgesse dovetti correre in bagno, dove non c'era nessuno. Mi appoggiai a un muro, a fianco dei lavandini, indecisa sulle mie sensazioni e sul comportamento da tenere. Era un addio? Non so, ma certo avrebbe cambiato molte, troppe cose. Avevo il diritto di soffrire? Avevo il diritto di essere gelosa ed amareggiata? Lei, in fondo, non mi aveva mai promesso niente. Voleva fuggire? Assurdo. Non credevo di averla mai soffocata, ne' mi era mai sembrato che si sentisse in colpa per la nostra relazione.
Quando Alessia arrivò, ero ancora lì, appoggiata al muro. La vidi entrare, accostarsi a me - io ero sempre inerte - e cingermi i fianchi con le mani, appoggiandomi la testa sulla spalla. - Scusami - mormorò sottovoce.
Avrei potuto, o voluto, chiederle perché. Almeno perché aveva taciuto, perché aveva fatto maturare questa decisione - che di certo non era maturata da un giorno all'altro - nel silenzio più assoluto.
Ma non avevo voglia di domande e risposte. Volevo solo ancora del calore, un po' di quel calore che la mia vicinanza con lei, in quei mesi, mi aveva insegnato. Così tolsi le mie mani dal muro piastrellato, alle mie spalle, le feci salire lungo i suoi fianchi e la strinsi forte a me. Sentii entrare qualcuno; non guardai nemmeno chi fosse, non mi interessava quello che avrebbe pensato.
- Vieni da me, questa sera.
Accennai di no con la testa, anche se lo volevo. Avevo paura fosse troppo, farlo sapendo che con ogni probabilità era l'ultima volta. Certo, mi avrebbe detto di andare a trovarla in Inghilterra, e magari ci sarei anche andata, ma... So come vanno queste cose. Lei avrebbe conosciuto altri, con cui si sarebbe fatta un'altra vita, e come avremmo potuto, allora?... E poi, il nostro vedersi, il nostro parlare o non parlare complice, quali spazi avrebbe potuto avere, tra una rara lettera e una telefonata, un breve viaggio e lo sguardo ad una fotografia spedita... No, non potevo. Avevo troppa paura di vedere qualcosa di bellissimo spegnersi, o scolorire.
- Ti prego - disse ancora, con voce quasi spezzata, e la cosa mi sorprese. Non era questa l'Alessia bella e forte che avevo conosciuto.
Fare l'amore può essere tragico? Quella volta lo fu, e nonostante questo, o forse proprio per questo, fu anche meraviglioso ed unico. Ci abbracciavamo e ci accarezzavamo in preda a tutte le sensazioni del mondo, come se stessimo danzando sull'orlo di un abisso in cui sapevamo che una di noi sarebbe caduta, lasciando l'altra da sola. Ogni tanto piangevamo. E sapere che era l'ultima volta - ché entrambe ne eravamo convinte - esaltava al massimo il nostro piacere, come in una strana, masochistica perversione.
Ma ebbi il coraggio di non chiederle spiegazioni, come lei lo ebbe di non darmene.
Quando, sul far dell'alba, la vidi addormentata, mi alzai, mi rivestii silenziosamente ed uscii per sempre.
Anonimo

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