*****ROXY E' TORNATA!

La mia foto
Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

venerdì 19 giugno 2009

CHE ZIE



Ieri ho accompagnato da suor Clara Francesca , la mia fidanzata.
Lei fa volontariato presso una struttura gestita da suore che si occupa di handicappati, e ha particolarmente legato con questa suora, molto vivace e simpatica con cui dice di avere instaurato un buon rapporto.

Dopo mesi e mesi di frequentazione, l’ha invitata a casa sua per un pranzo domenicale, in modo da potere stare un po’ assieme al di fuori del solito ambiente e per farle conoscere la sua famiglia.

Come al solito Francesca organizza le cose per gli affari suoi, ma poi non riesce a fare a meno di tirarmi in mezzo per semplificarle la vita, così anche stavolta sono stato impegnato per andare a prendere la suora, portarla a casa sua (abita a un cinquantina di chilometri) e poi nel pomeriggio riportarla indietro. Insomma, un grande scazzo, ma questo è il prezzo che si deve pagare per una relazione stabile…

Così ieri mattina, alle dieci in punto mi sono presentato all’Istituto, sbarbato, pulito, con la macchina in ordine, senza tracce di birra, canne, riviste strane, con musica ascoltabile, insomma, ho fatto del mio meglio per rendermi presentabile e per non creare spiacevoli imbarazzi.

Il viaggio dall’Istituto a casa di Francesca dura tre quarti d’ora e in quel tempo ho avuto modo di ricredermi nei confronti di suor Clara.

Ho scoperto che è una persona gradevole, spiritosa, informata e colta, certo con un sacco di opinioni che io non condivido, ma di sicuro non una bigotta come pensavo.

Quando siamo arrivati si sono scambiati gli ovvi convenevoli (”Suor Clara, le presento mia mamma”, “Che piacere, Francesca mi ha tanto parlato di lei!”, ecc. ecc.), poi abbiamo fatto un giro per il paese dove abita Francesca, chiesa compresa, e infine siamo tornati a casa per mangiare, finalmente.

Di per se il pranzo è stato una palla, ma almeno la mamma di Francesca cucina bene e il vino era buono. Ho fatto onore a tavola e cantina, così dopo pranzo ero bello satollo e pure un po’ brillo.

Quindi abbiamo passato un’ora abbondante in salotto, chiacchiere inutili, a ridere di battute stupide, mentre io sarei andato volentieri a dormire, o al massimo a scopare un po’ con Francesca.

Finalmente alle quattro e mezzo abbiamo concluso la visita e io e suor Clara siamo saliti in macchina per tornare all’Istituto.

A questo punto mi pare opportuna una descrizione di suor Clara.

È una donna di poco meno di quarant’anni, alta circa 1,65, piuttosto magra, il viso affilato e il naso sottile, gli occhi azzurri appaiono grandi su quel volto ossuto, i capelli sono sempre nascosti dal velo, ma talvolta fa capolino qualche ciuffo che ne rivela un colore castano chiaro, con qualche cenno di grigio.

La corporatura è esile, e tali sono le sue ossa, mani affusolate, le caviglie, che ogni tanto appaiono sotto le lunghe vesti, sono sottili, ma sempre velate da quelle brutte calze di nylon marrone chiaro.

Insomma, a parte la sua condizione di suora, è una donna piuttosto normale, non una gran bellezza, ma per me ha qualcosa di attraente, forse saranno gli occhi, che sono indubbiamente molto belli, forse il suo fare allegro ed energico, che la fa apparire una donna sicura di se, sicuramente ammirabile.

Insomma, salimmo in macchina. Ci fu subito un primo contatto. Dovevo fare un tratto in retromarcia, così mi voltai per guardare indietro appoggiando il braccio al sedile del passeggero e nel fare questo ruotai leggermente le gambe verso di esso. Suor Clara era seduta leggermente di traverso, le ginocchia unite sporgevano nella mia direzione, così mi ritrovai a toccare il suo ginocchio con il mio.

Pensavo che lo avrebbe ritratto immediatamente, invece rimase immobile, non lo spostò, e io feci l’intero tratto di una decina di metri con il ginocchio a contatto del suo.

Subito non ci feci caso, ma poi capii che quella era solo la prima avvisaglia di ciò che sarebbe successo di lì a poco.

Iniziammo il viaggio e riprendemmo a parlare amabilmente come all’andata, ma questa volta l’argomento di discussione era la vita delle suore. Mi raccontò come si svolgeva la sua giornata, come aveva avuto la sua vocazione, le tappe della sua “carriera” di suora che l’avevano portata in quell’istituto per handicappati. Il discorso era leggero, nulla di particolare. Mi stupiva solo il fatto che ogni tanto, per sottolineare le sue frasi, appoggiasse la mano sulla mia gamba.

È una cosa che in genere mi dà fastidio, mi irrita che le persone mi tocchino quando parlano, lo trovo un brutto vizio, ma suor Clara finora non lo aveva fatto con nessuno, e ora, con disinvoltura, appoggiava ripetutamente la mano sulla mia coscia.

L’argomento della discussione intanto si fece scabroso, non so come prendemmo quella direzione, se fui io a trascinarlo o lei, fatto sta che finimmo col parlare di sesso, e la cosa sembrava turbare la suora meno che me.

-Ma in questa vita non si sente mai il bisogno di avere un uomo accanto?- chiesi io.

-Beh, certo,- mi rispose, -è naturale, credo che uomini e donne siano fatti per stare insieme, quindi l’impulso c’è, ma poi una si guarda la veste, pensa alle scelte che ha fatto e rinuncia, sa che non può e lascia stare.-

-Sì, immagino, ma non deve essere facile-

-Non lo è infatti-

Nel dire questo mise la mano sulla mia coscia, non solo la punta delle dita, ma proprio tutto il palmo e per di più sulla parte alta della coscia, quasi vicino all’inguine.

-Voglio dire,- continuai cercando di dissimulare il disagio, -per me sarebbe dura, è da quando ho quattordici anni che non penso che alle ragazze, sarebbe una continua rinuncia-

-A volte lo è anche per noi- rispose, aveva tolto la mano. Nel tono della voce c’era una sottile tristezza.

-Ma non succede mai che qualcuna di voi ceda alla tentazione? Tipo Monaca di Monza voglio dire-

Lei rise, poi disse:

-Quello era un caso diverso, una vocazione forzata. Oggi non mi risulta che succeda più, nessuna è più obbligata, quelle che arrivano al velo oggi ne sono convinte.-

-Quindi non capita mai?- chiesi, ero davvero curioso.

-Che malizioso che sei!- replicò ridendo, e di nuovo la sua mano si posò sulla mia gamba, ma questa volta proprio all’inizio della coscia, nella piega con il tronco, di fianco all’inguine insomma.

-Non sono malizioso, sono curioso- ribattei.

-Capita, capita, a volte capita…- ammise.

-Sì?-

-Sì-

La sua mano, sempre posata lì, mi strinse. La punta delle dita era pericolosamente vicino ai miei genitali, e non accennava a toglierla da lì. Ero confuso, balbettai:

-E… come… capita?-

Sentivo i suoi occhi fissi su di me, quei grandi occhi azzurri non si staccavano dal mio viso.

-Capita che a volte una suora si trovi da sola con un uomo, e…-

Mosse la mano, i polpastrelli raggiunsero la radice del mio uccello, non ci potevo credere, sentivo anche la comparsa di un erezione.

-E…?- incalzai.

-E capita che si verifichi un’occasione…- le sue dita toccarono la base dell’asta, continuavo a sentire i suoi occhi fissarmi, io guidavo, ma facevo fatica a tenere la concentrazione. Continuò:

-E a questa occasione per una volta non voglia rinunciare-

Io ero completamente a disagio, non riuscivo a parlare, non riuscivo a trovare parole. Così proseguì lei:

-E tu vuoi rinunciare?-

Detto questo la sua mano si spostò decisamente sul mio uccello, e si mise a massaggiarlo vigorosamente.

-No,- risposi, -non voglio rinunciare.-

Lei continuò a palparmi l’uccello sopra i pantaloni, era duro ormai.

-Cosa facciamo?- le chiesi.

-Accosta da qualche parte- mi rispose decisa.

Era inverno, stava già facendo buio, viaggiavamo su una strada di campagna, intravidi una deviazione che si dirigeva nei boschi. Decisi di imboccarla e di fermarci lì.

Intanto lei continuava a palparmelo, lo sentivo duro, lei ne aveva individuato la forma distesa sotto i jeans e lo accarezzava con perizia.

Quando mi fermai lei mi slacciò i pantaloni, li aprì e infilò la mano sotto le mutande. Era calda, mi agguantò il cazzo e lo palpò per qualche attimo prima di estrarlo dalle mutande. Io stavo fermo, non avevo ancora staccato le mani dal volante, intanto lei, dopo avermelo guardato compiaciuta, mi stava tirando una sega.

A un certo punto, incredibile!, abbassò la testa sul mio inguine e me lo prese in bocca. Questa cosa mi lasciò senza fiato. Neanche Francesca lo fa, o meglio l’ha fatto due o tre volte, ma sempre malvolentieri e mai con impegno. Invece lei l’aveva fatto subito, e lo faceva bene! Vedevo la sua testa velata di nero alzarsi e abbassarsi sotto di me, un calore umido intorno al mio uccello, e mi stava facendo godere sul serio.

Dopo poco si alzò, mi guardò, la bocca era bagnata di saliva, e mi chiese:

-Lo facciamo?-

-Sì, certo- risposi. Allora lei si sistemò sul sedile, e armeggiò per sfilarsi calze e mutande, poi si affaccendò per abbassare il sedile.

Intanto io mi sfilai il maglione e feci la difficile manovra per scavalcare cambio e freno a mano e passare dalla sua parte. Lei mi spettava sdraiata sul sedile, sorridendo maliziosa. Mi piazzai tra le sue cosce ancora coperte dalla veste e mi abbassai jeans e boxer. Ero soddisfatto, ce l’avevo bello duro, la situazione straordinaria e il lavoretto che mi aveva fatto con la bocca avevano causato un bell’effetto.

Le sollevai la gonna, scoprendole le gambe nude. Pelle chiara, ossute, glabre. La alzai fino alla pancia, le guardai il sesso, nero, folto, non depilato. La trovai invitante e volli restituire il favore, così mi abbassai e gliela leccai. Era pulita, lavata di recente, forse a casa di Francesca, umida di eccitazione. Le succhiai il grilletto, leccai le labbra e penetrai con le dita. Fui sorpreso dalla sua reazione, mi aveva preso la testa tra le mani e la stringeva forte, intanto sentivo i suoi gemiti alti, ansimanti, ad alta voce. Francesca non geme così, le viene il fiatone, sussurra le cose, ma sempre a bassa voce, lei invece si faceva sentire, mi piaceva quella donna!

Proseguii per un paio di minuti, poi mi tirai su e mi accinsi a scoparla.

Mi piazzai tra le sue cosce, lei aveva il volto acceso, sempre sorridente in modo malizioso, il fiato grosso, mi spiaceva che avesse ancora la veste chiusa fino al collo, avrei voluto vederla nuda.

Mi afferrò l’uccello, era ancora durissimo, lo accarezzò un paio di volte, poi lo tirò verso di sé e lo puntò contro la sua vagina. La penetrai, affondai dentro di lei con facilità, la sua eccitazione e la mia saliva l’avevano resa scorrevole. Iniziai a scopare e lo feci bene, lei mi porgeva il bacino per facilitare la penetrazione, io affondavo dentro di lei con buon ritmo, senza esagerare con la velocità, ma non tropo lento.

Lei intanto, sotto di me gemeva, oh come gemeva! Le sue urla erano alte, acute, un “Ah!” proferito ad ogni mio affondo, come un grido sempre più alto, che secondo me si poteva sentire anche fuori dalla macchina chiusa.

Io continuavo inesorabile, ero soddisfatto della mia prestazione, la stavo facendo godere, ma non rischiavo di venirmene prima io, anzi, mi sembrava che lei fosse già prossima. Le palpai le tette, purtroppo erano nascoste sotto il vestito e un reggiseno, e a quel punto sarebbe stato veramente troppo complicato sfilarglielo, ma le intuii piccole e ben definite.

Lei venne, annunciò il suo orgasmo con gemiti sempre più alti e poi lo raggiunse gridando un unico lungo “Aaah” che durò per molti secondi.

Mi aveva afferrato le natiche tra le mani e guidato il mio movimento bloccandolo in un affondo completo nel momento massimo piacere.

Mi fermai, la guardai ansimare con gli occhi chiusi, sentivo il mio cazzo duro all’inverosimile dentro di lei, mi pareva addirittura di avvertire il pulsare della sua vagina.

Dopo poco, sempre guidandomi con le mani sulle natiche, mi fece riprendere il movimento. Io la seguii, poi aumentai il ritmo e l’intensità del mio affondare in lei, sentivo avvicinarsi il mio orgasmo. Lei mi incitò e assecondò col suo bacino portandomi alle soglie dell’orgasmo, poi quando si accorse dell’approssimarsi dell’esplosione, mi spinse fuori da lei. Mi afferrò l’uccello e lo masturbò quattro o cinque volte. Non ci volle di più, venni scopando la sua mano, un orgasmo intensissimo, il meglio che mi sia capitato da molto tempo.

Non fu neanche infastidita dalla mia eiaculazione, anzi, continuò a stringermi il cazzo e lasciò che mi scaricassi sul suo pelo e sul suo ventre. Non smise mai di masturbarmi durante tutta l’eiaculazione, poi continuò, sembrò quasi spremere il mio seme fino alle ultime gocce, diede ancora una carezza sulla punta per asciugarlo, poi se lo infilò di nuovo dentro. Ero spossato e il contatto sul pene appena venuto mi causava scatti di fastidio, ma resistetti e stetti dentro di lei.

Rincominciammo a scopare prima che mi si afflosciasse, lei è venuta ancora due volte prima che toccasse di nuovo a me. Di nuovo lei si occupò di me con la mano negli istanti finali, ci sapeva fare, molto più di quanto potessi immaginare.

Dopo il mio secondo orgasmo mi accasciai ansimante su di lei, la bocca contro il suo collo bianco. Avrei voluto baciarla, ma non ne ebbi il coraggio. Stemmo così, immobili ed ansimanti per un paio di minuti, poi mi tirai su e tornai al mio posto.

Ci ricomponemmo con calma, lei non pareva avere fretta, io neanche, ma alla fine rientrammo completamente nei nostri ruoli.

Riprendemmo il viaggio, lei mi fece i complimenti e mi ringraziò, io ricambiai, e ammisi che le mie esperienze con le altre ragazze, Francesca compresa, non erano alla sua altezza. Lei ne rise, mi disse che dovevo solo lasciare loro crescere.

Ci salutammo sulla soglia dell’istituto, come fosse niente, anzi, come se io fossi semplicemente un ragazzo che aveva accompagnato una suora in macchina.

1 commento: