*****ROXY E' TORNATA!

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Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

martedì 14 luglio 2009

VOUNARIA - IL CIMITERO (comico erotico)


Il bagno è sorprendentemente pulito.

Di sicuro molto di più di quanto ci si possa aspettare dai bagni dell’aeroporto di Atene, il Venizelos.
Il pavimento lucido, i sanitari puliti di fresco e, nell’aria, un tenue profumo di limone, nulla a che vedere con l’odore pungente ed aggressivo dei detergenti industriali.
Siamo rimasti piacevolmente sorpresi da tutto questo.

Il volo da Dublino è arrivato in perfetto orario.
I passeggeri sono sbarcati in modo tranquillo e ordinato, e quindi, anche noi dell’equipaggio, terminate le ultime e consuete formalità, ci siamo avviati verso l’uscita a noi riservata.

E lui era lì.
Ad aspettarmi.
Appena l’ho visto, ho capito che lo avrei avuto.
Come, sull’aereo, durante il volo, avevo sperato e avevo desiderato che accadesse.

Lui era seduto in un posto lungo il corridoio, ed ogni volta che io mi trovavo a passare, portando il pranzo o il caffè, mi aveva sorriso, gentile ed educato, facendo perdere colpi al mio cuore.
Dire che è bello è dire poco.
Vestito blu, camicia azzurra, cravatta rosso mattone, a righine bianche: l’eleganza fatta persona.
Sulla quarantina, capelli biondi e un po’ lunghi, con una spruzzata di grigio sulle tempie, un fisico certamente atletico, attorno al metro e novanta, mani larghe e dalle lunghe dita eleganti, unghie corte e curatissime: tutte noi hostess avevamo occhi solo per lui.
Ed il suo sguardo ci aveva seguito, mentre eravamo impegnate nei nostri lavori; uno sguardo divertito, ma profondo ed intenso, ironico e sensuale.
I suoi occhi, incredibilmente verdi, sembravano sfiorarti ed accarezzarti con un tocco leggero e impalpabile.

E, mentre l’Europa scorreva sotto di noi, avevo notato con estremo piacere che lui guardava soprattutto me.
Era evidente, ogni istante di più, che gli piacevo, che ero io l’hostess che più l’intrigava.
Forse i miei lunghi capelli neri, o forse le mie gambe slanciate.
Qualcosa l’attirava, lo spingeva a seguirmi con occhiate sempre più insistenti ed esplicite.
Mi capita spesso di essere oggetto dell’attenzione di qualcuno: sono conscia di essere una splendida ragazza di ventisei anni, e gli occhi degli uomini raramente non si soffermano su di me.

Ma, il più delle volte, la cosa quasi mi infastidisce o, nella migliore delle ipotesi, mi lascia totalmente indifferente.
Ma oggi no.
Mi sono sentita lusingata dalle sue attenzioni, irretita dal suo sguardo, eccitata dal suo manifesto interesse.

Quando è sceso dall’aereo, passandomi accanto, mi ha ringraziato con un sorriso smagliante, dicendomi che se tutti i voli fossero così piacevoli, viaggerebbe in aereo molto più spesso.
Poi è sparito nel tunnel che conduce al terminal.

Quando, mezz’ora più tardi, sono uscita dalla porta riservata al personale di volo, lui era lì.
Con lo stesso sorriso di poco prima.

Abbiamo preso un caffè al bar dell’aeroporto, parlando poco, ma riempiendoci gli occhi uno dell’altra.
Sentivamo di volere entrambi la stessa cosa, e le parole sembravano inutili, superflue, insignificanti.
Lo volevo.
E lui voleva me.
E così…

Mi sono diretta verso i bagni femminili, lui a qualche metro di distanza da me.
Ho spinto la porta e, con una rapida occhiata, ho controllato la zona dei lavabi, dove una donna non più giovanissima si stava rifacendo il trucco.
Impazienti, abbiamo atteso che finisse e che finalmente uscisse, lasciando il bagno vuoto, deserto e silenzioso..

Rapidamente lui ed io siamo entrati, chiudendoci nell’ultimo stanzino in fondo, sulla destra.
Il bagno che, come dicevo, abbiamo trovato sorprendentemente pulito.
Nello spazio ristretto, l’ho sentito girare il paletto di chiusura della porta e, un attimo dopo, la mia bocca era incollata alla sua.

Le lingue avviluppate, le labbra strette fra saliva e sospiri, sento le sue mani sbottonarmi la camicetta, spostare il reggiseno, sfiorare le tette, pizzicare i capezzoli fino a farli sporgere per l’eccitazione.
Anche le mie mani sono impazienti, vogliose di toccarlo, di stringere la sua carne.
Abilmente, gli faccio scivolare i pantaloni e i boxer attorno alle caviglie, liberando la sua erezione.
Mi manca il fiato per l’erotismo senza confini di questi attimi.
Gli faccio scivolare le mani sul cazzo, carezzandolo, palpandogli i testicoli, accennando solamente i movimenti di una lentissima sega.
Lui sussulta al contatto con le mie dita, e mi strizza le tette con maggior vigore.
Una scarica di piacere dilaga impetuosa nel mio cervello.

Continuiamo così per qualche minuto, mentre alcune donne entrano ed escono dai bagni accanto a quello in cui ci troviamo, controllando i nostri respiri ed i nostri gemiti, che a stento riusciamo a trattenere, e rilassandoci soltanto quando sentiamo che ai lavabi non c’è più nessuno.

Lui si mette una mano nella tasca interna della giacca (so che anche lui vorrebbe essere nudo, in una posizione più comoda, e avere un contatto totale e straordinario con la mia pelle accaldata) ed estrae un profilattico: me lo porge, l’urgenza nei suoi meravigliosi e profondi occhi.

Con mani malferme apro la confezione, mi inginocchio, appoggio il preservativo sulla cappella scoperta e lo srotolo accuratamente, saggiando di nuovo l’eccezionale turgore di quel membro pulsante.
Non resisto alla tentazione e, anche se per pochi secondi, me lo infilo in bocca, succhiandolo con forza, il gusto del lattice sulle labbra.

Ma lui gentilmente mi rialza, mi guarda negli occhi, e mi fa voltare.
Le mie mani si appoggiano alle bianche piastrelle del muro: allargo le gambe ed inarco la schiena, esponendo le mie natiche, protendendole verso di lui.
Una semplice e veloce scopata sarebbe troppo poco: lui vuole di più, e lo stesso desidero anch’io.

Ora è lui ad inginocchiarsi dietro di me: mi solleva la gonna sui fianchi e mi fa scivolare le mutandine lungo le gambe, sollevandomi un piede alla volta e sfilandomele via.
Ho il sedere esposto al suo sguardo e le mie gambe, slanciate dai tacchi alti delle scarpe, sono certa che rappresentino uno spettacolo sublime per i suoi occhi.
Mi inarco ancora di più, provocandolo e aspettando le sue mosse.
Ho la fica inondata dal piacere, e sento come i fluidi della mia eccitazione mi abbiano inumidito l’interno delle cosce.

Le sue mani sui miei fianchi, la sua bocca sui miei glutei.
Sento la sua lingua scendere nell’incavo tra le natiche, alla ricerca dell’orifizio che sarà, a breve, violato.
Sono eccitata, mentalmente e fisicamente, come di rado mi accade.
Stacco una mano dal muro, spostando tutto il mio peso sull’altra, portandola alla fica, e iniziando a titillarmi il clitoride.
Nel frattempo, lui mi ha messo le mani sulle natiche, allargandole il più possibile, e la sua lingua passa, avanti e indietro, sul mio ano impaziente, insalivandolo e umettandolo, facendo rilassare i tessuti e predisponendoli alla penetrazione.
Sono momenti unici, in cui il piacere mi si scioglie nell’anima, ed i brividi mi risalgono la schiena, facendomi rizzare i capelli sulla nuca.

Alla lingua si è aggiunto un dito, che si insinua delicato, aprendo e dilatando.
I muscoli si rilasciano, il desiderio si acuisce: quel dito magico mi esplora, mentre la mia mano si muove lenta, seguendo il ritmo della penetrazione, sul clitoride sporgente.

Finalmente lui si rialza.
Mi tendo, inarcando la schiena ed esponendo il culo ancora di più, sicuramente per aggiungere provocazione a provocazione, ma anche per pregarlo di porre fine a quel meraviglioso supplizio.
Le sue mani mi prendono per i fianchi, con forza, e la punta del suo cazzo, coperta dal liscio e scorrevole preservativo, si appoggia un attimo al mio orifizio.
Aumento la pressione sul clitoride e scosse di piacere dilagano per ogni centimetro del mio corpo.
La sola idea di essere chiusa in un bagno pubblico con uno sconosciuto che sta per sodomizzarmi potrebbe condurmi ad un orgasmo di intensità sconosciuta.
Cerco di calmare i miei sensi, di frenare la libidine che divora la mia pelle e la mia mente.

Spinge.
E’ delicato ed attento, ed io intuisco la sua straordinaria capacità nell’inculare una donna.
Spinge di nuovo.
E la cappella è dentro, dilatando i tessuti, inesorabilmente.
Si ferma, e attende.
Ha sentito quel mio unico gemito soffocato, un pò di dolore e molto di piacere.
Aspetta che il mio corpo accetti l’intrusione: la mia mente l’ha già accettata da tempo, desiderandola spasmodicamente.

Quell’accenno di fastidio svanisce, lasciandomi un languore profondo e indistinto, mentre la mia mano vola dal clitoride alla fica, esplorandola con le dita.
Lo voglio.
Tutto. In me. Nel mio culo. E voglio godere con lui, senza alcun ritegno.

Ora sono io che spingo all’indietro, nella sua direzione, impalandomi, centimetro dopo centimetro, sul quel meraviglioso cazzo duro che mi sta riempiendo.
Un primo orgasmo mi squassa letteralmente, accompagnato da ondate di piacere così intenso che vorrei urlare con tutto il fiato che ho in gola.
Mi trattengo, sapendo di non potermelo permettere, visto il luogo in cui ci troviamo.

Anche lui vuole godere, e mi incula poderosamente: sa che non provo più dolore, ed il suo cazzo scorre veloce, dentro e fuori, tutta l’asta nelle mie viscere, le sue palle che urtano ritmicamente le mie natiche.
Mentre il secondo orgasmo mi porta in paradiso, lo sento venire, con sospiri soffocati, ed immagino tutto lo sperma che il preservativo trattiene, evitando che mi allaghi il culo ora oscenamente aperto…

Come fossimo due ladri, sgusciamo fuori dai bagni femminili.
Sulla porta lui mi sorride, mi bacia delicatamente su una guancia e va via, scomparendo tra la folla dell’aeroporto.

Solo in quel momento mi accorgo di non conoscere nemmeno il suo nome.
E che lui ignora il mio.
Ma, in definitiva, forse è meglio così.
Negli anni tutto questo diventerà solamente un ricordo indistinto.
Ma resterà un ricordo meraviglioso, un attimo della mia vita, unico ed irripetibile.

FINE



IL CIMITERO (comico-erotico)

Aveva atteso quel posto di lavoro per più di sei mesi.
Ed ora era finalmente suo.

Yorgos passeggiava per i tranquilli vialetti del cimitero, spingendo una carriola con una scopa ed un rastrello poggiati sopra, ramazzando qua e là le foglie cadute, e familiarizzando con le tombe e con i silenziosi residenti delle stesse.
Molti degli ospiti del cimitero li aveva conosciuti in vita, essendo il villaggio abbastanza piccolo, ed era quasi impossibile non venire a sapere della morte di qualcuno.
Altri, invece, non li ricordava, essendo morti o quando lui era troppo piccolo, o prima che lui nascesse, ventisette anni prima.

Lo avevano assunto come custode cimiteriale da tre giorni.
Quando il sindaco l’aveva chiamato per comunicargli la buona notizia, Yorgos era esploso in incontenibili manifestazioni di gioia.
Aveva baciato il sindaco ed il segretario comunale, che si erano ritratti un pò schifati dalla sua salivosa allegria, e poi era corso alla taverna a spargere la buona novella agli sfaccendati che lì soggiornavano notte e giorno.
Era felice come un bambino a Natale, anche perchè aveva fregato il posto a quell’antipatico di Panaiotis, il figlio della Titta, una lontana (e stronza) cugina di sua madre.

Yorgos e Panaiotis erano entrambi invalidi civili.
Ma mentre Panaiotis aveva un’invalidità del cinquanta per cento, dovuta ad una gamba più corta dell’altra, ricordo di quando era finito sotto il trattore di famiglia, Yorgos era invalido all’ottanta per cento, e di testa per di più.
Lui non era stato vittima di incidenti.
Non era finito sotto un trattore, non era caduto dal tetto del fienile, e non si era tagliato nulla con la motosega.
Yorgos era nato così, destinato a restare un bambino in un corpo da adulto.
Non che fosse completamente deficiente, questo no, ma sicuramente la palma di scemo del villaggio non gliela aveva mai insidiata nessuno.

Insomma, Yorgos era, a tutti gli effetti, il nuovo custode del cimitero, e coscienziosamente si aggirava da tre giorni fra le lapidi, per farsi conoscere dagli ospiti di quel silenzioso e sacro luogo.

Passava da una lapide all’altra, leggendo i nomi dei defunti (e dimenticandoli subito dopo).
Delfina Koukullis, morta nel 1971.
Questa doveva essere la nonna di Vassili, il fornaio.
Miron Verdulakis, morto nel 1999.
Lui se lo ricordava bene, perchè era stato il medico del villaggio per tantissimi anni, e sicuramente aveva contribuito ad accrescere, e anche di molto, la popolazione del cimitero.
E poi ancora Christos, Despina ed il piccolo Tsambiko, morto di polmonite anni prima, Caterina, Tassos, Andreas e suo zio Nikos (ciao zio)…
Tutto il villaggio che non c’era più passava davanti ai suoi occhi, accendendo in lui ricordi più o meno nitidi.
E poi c’era la tomba di Leonidas Arkiatis.
La più bella e la più grande di tutte.
La tomba per eccellenza.
Una larga spianata di marmo chiaro, circondata da una bassissima siepe di sempreverdi, e una grande lapide con inciso il nome e le date di nascita e di morte dell’illustre residente.
E poi, la fotografia.
Ah… la fotografia !!
Un bell’uomo, sorridente e contento, gli occhi dallo sguardo profondo e sereno.
A Yorgos sembrava impossibile che un uomo così fosse morto.
Esattamente come tutti gli altri.
Proprio non se ne capacitava.

Leonidas Arkiatis era stato il signore del villaggio, ossequiato ed omaggiato da tutti.
Era stato un signore, però, democratico e benvoluto: sempre gentile e sorridente, aveva sempre una buona parola per tutti, non facendo mai pesare a nessuno la differente condizione sociale.
Ricco sfondato, si godeva la vita nel suo grande palazzo, fra pranzi luculliani e scopate memorabili.
Dalla città si portava in continuazione sventole sempre diverse, ma che facevano, però, sempre la stessa fine: a letto, a sollazzare il gaudente signore.
Celebre era rimasta, negli annali del villaggio, la sera in cui il buon Leonidas era stato visto nei giardini del suo palazzo mentre, vestito da Batman, inseguiva due fanciulle completamente nude, le quali, ridendo, lo sfidavano ad acchiapparle.
Le gole profonde del villaggio dicevano che Batman le aveva ben presto raggiunte, per poi inchiappettarsele sul prato, coperto solo dello svolazzante mantello…

Per rispetto, Yorgos passò la scopa sulla tomba, eliminando un paio di foglie, e si segnò.

Aveva voluto bene a Leonidas Arkiatis.
Quando Yorgos era piccolo, ogni volta che lo incontravano, il buon Leonidas pagava sempre il gelato ai ragazzini che gli si affollavano intorno.
E questo Yorgos non lo avrebbe mai dimenticato.

Vicino al cancello d’ingresso del cimitero vi era la piccola abitazione del custode.
Yorgos, che viveva da solo, l’aveva trovata bellissima ed accogliente, anche se in realtà si trattava di una catapecchia vecchia, puzzolente e sommariamente restaurata.
Ma lui, uomo semplice e senza pretese, aveva ringraziato la fortuna, non solo per il lavoro, ma anche per quella modesta abitazione.

Era l’una di notte, quando Yorgos fu svegliato da schiamazzi e grida.
Gettò i piedi giù dal letto ed aprì cauto la porta d’ingresso.
Il cimitero era avvolto dal buio, ma una pallida luce s’intravedeva, in lontananza, tra le tombe.
A torso nudo e con solo i pantaloni del pigiama indosso, il nuovo custode si avviò titubante verso quel chiarore.
Quando fu ad una ventina di metri, Yorgos si accorse che la luce proveniva da una lampada a gas appoggiata proprio sulla tomba di Leonidas Arkiatis.
Morto di paura e con il fiato corto, avanzò ancora, nascondendosi dietro una siepe di alloro.
Quel che vide lo lasciò letteralmente esterrefatto.

Un ragazzo ed una ragazza, completamente nudi, si accoppiavano sul marmo della tomba, quasi si trovassero su un ampio e comodo letto matrimoniale.
Lui la montava da dietro, alla pecorina, tenendola per i fianchi e strappandole lunghi gemiti di piacere.
Una seconda ragazza, anch’essa completamente nuda, si era seduta a cavallo della lapide del povero Leonidas, e si strofinava la fica su di essa, guardando i due amanti, e godendo senza alcun ritegno.
Yorgos, paonazzo, notò che una coscia della ragazza si strusciava sulla foto sorridente dell’esimio abitante di quella tomba.
Yorgos rimase immobile a guardare quell’orgia, il cazzo duro come un cetriolo dell’orto di sua madre.

Quando la ragazza seduta sulla lapide, evidentemente stanca di fare da spettatrice, scese e si mise a spompinare il ragazzo, che nel frattempo aveva mollato l’altra, Yorgos venne fragorosamente nei pantaloni del pigiama, muggendo come un toro e nitrendo come un cavallo con il culo arrossato.
I suoi versi disumani furono immancabilmente sentiti ed i tre, terrorizzati da quel baccano, fuggirono verso il muro di cinta posteriore del cimitero, portandosi in mano i vestiti e le scarpe.

Yorgos, stordito dall’accaduto, il pigiama imbrattato dal suo esplosivo piacere, tornò in casa.
E quella notte non riuscì più a chiudere occhio.

- Signor sindaco, le assicuro che questi maiali stavano…- .
- Sì, Yorgos, ho capito. Scopavano, lo so. Fottevano alla grande. Succede… soprattutto da quando hanno aperto quella discoteca, giù, verso il mare.
Si ubriacano e, tornando a casa, non trovano di meglio che entrare al cimitero per farsi una bella trombata. Non è mica una novità…- .
- Ecco… ma io… quando questi si incul… ehm… insomma… quando si … che devo fare ? – .
- Cacciali. Mandali via. Urla un pò di parolacce e vedrai come se la daranno a gambe. Fai un gran casino, e tutto si sistemerà per il meglio -.

Yorgos stava in piedi di fronte alla scrivania del sindaco.
Entrando, il primo cittadino del villaggio (che poi era un suo parente, sia pure alla lontana) gli aveva detto di non avere molto tempo da dedicargli, perchè stava esaminando. al computer, il nuovo piano regolatore della zona.
Ora, in effetti, sullo schermo si vedeva una mappa del paese, ma prima, quando si era accostato alla scrivania, a Yorgos era parso di intravedere che vi fosse la fotografia di una biondona con le poppe di fuori.
Ma, non intendendosi nel modo più assoluto di computer, pensò di essersi sbagliato.

- Piuttosto, Yorgos, che facevano esattamente quei tre ? – .
Quando arrivò a raccontare del pompino, il sindaco, rosso in volto, lo liquidò sbrigativamente.
Yorgos era sicuro che il brav’uomo fosse rimasto schifato da quanto da lui descritto: uscì dal comune del villaggio e tornò al cimitero, mentre il sindaco riprendeva a spararsi la sega, davanti alla foto della zoccola con le zinne di fuori, che aveva dovuto interrompere all’arrivo del deficiente.

Quel pomeriggio, mentre puliva e lucidava con scrupolo la tomba di Leonidas Arkiatis (cavoli, uno schizzo di sborra aveva coperto l’anno di morte, e la plastica sulla fotografia era tutta opaca, sicuramente macchiata dalla coscia umida della ragazza che vi si era strofinata come una gatta in calore), Yorgos studiò, per quanto le sue capacità intellettive glielo permettessero, un piano d’azione per la notte seguente.
Il sindaco aveva detto di cacciarli (ma che gli fregava al sindaco di conoscere i più sordidi dettagli di quello che era successo ? Lì proprio non ci arrivava a capirlo…) e lui li avrebbe cacciati, sicuro come il fatto che era il nuovo custode del cimitero.
Lucidò dunque la fotografia del signor Leonidas e… strano, ma… si ricordava che quel viso sorridesse nella foto… ora invece sembrava serio… quasi seccato.
Yorgos pensò che il pover’uomo fosse rimasto sconvolto da quello che era accaduto sopra di lui: di certo la sua pace eterna disturbata da quel finocchio (beh… mica tanto poi) e da quelle due zoccolette assatanate…
Ma quella notte avrebbe agito, e restituito il sorriso a quella foto.
Si sarebbe tramutato in una furia, se fosse stato necessario, ma il signor Leonidas avrebbe riposato in tutta tranquillità, cazzo !!

Si appostò poco dopo mezzanotte, dietro ad un pino, ad una quindicina di metri dalla tomba.
I grilli frinivano nell’afa notturna, ed un gufo lanciava il suo grido nella notte.
Yorgos aveva una paura fottuta, e scoreggiava in continuazione, nel disperato tentativo di alleggerire la tremenda pressione che gli attanagliava le viscere.
Per dirla tutta, si sentiva sull’orlo di cacarsi sotto.

Dopo più di un’ora di quel supplizio, quando già pensava che quella notte nulla sarebbe successo, li sentì finalmente arrivare.
Questa volta erano in quattro. due bastardelli sui vent’anni e due smandrappate poco più che diciottenni.
Arrivati alla tomba dell’Arkiatis, i quattro accesero una lampada da campeggio, si spogliarono rapidamente, ed iniziarono a darci sotto alla grande.
Una ragazza si era seduta su un cazzo di proporzioni giganti (ammirato, Yorgos era ammirato di quell’attrezzo poderoso…), mentre l’altra aveva spalancato le gambe e si faceva leccare la fica dal secondo montone.
Poi anche lei si era impalata sull’uccello del suo cavaliere (altro bastone di notevolissime dimensioni…), iniziando una cavalcata frenetica e rumorosa.
I maschi sdraiati, le due donne sedute sui loro cazzi, l’orgia notturna ebbe inizio, mentre Yorgos, gli occhi di fuori, continuava a scoreggiare con sempre maggiore intensità.

Quando le due donne presero a baciarsi tra di loro e ad accarezzarsi le tette a vicenda, Yorgos si accorse che stava per schizzare.
Ma, questa volta, non voleva spaventare i maialoni e le porcone con i suoi barriti di piacere.
Voleva che si cacassero sotto dalla paura (cosa che, anche se in minima parte, lui aveva già iniziato a fare…) per le urla e le grida, come il sindaco gli aveva consigliato di fare.
Si fece forza e cominciò a ragliare a pieni polmoni :

” Troie… brutti froci… mignottacce… schifose… terroristi… senzadio… maiali… andate via… andate a farvi fottere…vaffanculo… stronzi… teste di cazzo…” .

A corto d’insulti, e con il fiato grosso, Yorgos concluse con un rauco “ figli di troie ”.

Sotto quel diluvio, i quattro, sghignazzando e facendo sonore pernacchie, scapparono ridendo nella notte.

Ancora agitato, e tutto sudato per quanto aveva gridato (nonché per lo sforzo sovrumano di non ammollare l’intero smottamento intestinale che stava per travolgerlo…), Yorgos si avvicinò alla tomba dell’Arkiatis, per controllare che nulla fosse fuori posto, dopo la ginnastica fatta dai quattro figli di mignotta.
Bastardi schifosi.
Puttane incallite.
Sedersi sui cazzi in quella maniera.

Alitò sulla foto e la lucidò con la manica della camicia.
- Li perdoni, signor Leonidas… sono dei delinquenti… ma… -
Per poco a Yorgos non scoppiò il cuore.
Leonidas Arkiatis, il defunto signore del villaggio, lo guardava con occhi di fuoco, lo sguardo indignato e furente.
- Signor Leonidas, le prometto che non succederà più. Il suo eterno riposo non sarà più disturbato da questi porci e da queste bocchinare… – .
Ora nella foto, però, era apparsa anche una mano dell’Arkiatis, che, con un dito, faceva cenno al buon Yorgos di avvicinarsi.
Sconvolto (ma nemmeno tanto, l’ottanta per cento di invalidità doveva pure contare qualcosa, no ?) Yorgos avvicinò la testa al viso incazzatissimo del signor Leonidas.
- La prossima volta… caro il mio custode ritardato… fatti i cazzi tuoi… stronzo! – gli disse il fu signore del villaggio.
Yorgos fuggì via terrorizzato, precipitandosi al cesso, e liberando, finalmente, l’intestino martoriato…

Da quella notte il cimitero divenne un bordello a cielo aperto.
Convinto che i defunti volessero gioire della vita degli altri, Yorgos accoglieva sempre sorridente gli scopatori di turno.
La tomba dell’Arkiatis era la più gettonata, e Yorgos, con tutto quell’andirivieni, si sentiva un pò anche il vigile urbano del villaggio.
Pensò anche di chiedere al sindaco una vera e propria divisa, con tanto di cappello e di fischietto.
Ad alcuni dei fornicatori di turno, per allietare ulteriormente la loro permanenza nel cimitero, arrivò ad offrire una birra.
E nella foto, Leonidas Arkiatis non solo ora era sempre sorridente, ma ogni volta che Yorgos passava da quelle parti, gli strizzava pure l’occhio.


FINE



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