*****ROXY E' TORNATA!

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Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

martedì 14 luglio 2009

VIAGGIO TRA I RICORDI (sec. parte)

Non più padrone delle sue azioni, sconvolto da quello che aveva visto e dalle parole della donna, lui si era inginocchiato dietro Sebastianos, il cazzo puntato verso il culo esposto dell’uomo: la mano di Venia gli aveva subito afferrato il pene, guidandolo e aiutandolo in quella penetrazione anale.

E, a quel punto, lui aveva definitivamente rotto gli indugi: preso l’uomo per i fianchi, lui aveva iniziato ad incularlo, a montarlo con veemenza, strappandogli grida di dolore e di piacere, mentre la moglie, sdraiatasi sul letto a gambe divaricate, aveva incominciato a masturbarsi freneticamente, godendo in continuazione e senza alcun ritegno, stravolta da quel rapporto omosessuale che si svolgeva davanti ai suoi occhi febbrili…

Aveva nuovamente cambiato stazione radio, e la voce di Elton John risuonava gradevole nell’abitacolo dell’auto.
Ora che la neve si era definitivamente tramutata in pioggia, e che le lastre di ghiaccio sull’asfalto erano in pratica sparite, lui aumentò notevolmente l’andatura, iniziando a sorpassare con più frequenza gli autoarticolati più lenti, sentendosi di nuovo totalmente padrone dell’auto.
Aveva sempre più fretta di arrivare alla frontiera e di trovare un bar aperto per prendersi quel benedetto caffè che da ore sognava.

Alla fine, anche se con una certa fatica, era venuto ancora una volta, inculando Sebastianos, e schizzando quel suo terzo orgasmo della serata nel preservativo che gli avvolgeva il cazzo.
Venia appariva stralunata e sconvolta anche lei, gli occhi ora chiusi, due dita della mano destra ancora infilate a fondo nella fica oscenamente aperta.
Lui aveva approfittato di quel momento per alzarsi dal letto, le gambe ancora tremanti mentre si rivestiva, e abbandonare Sebastianos e Venia su quel letto, al dolce languore del sesso appena consumato.

Dopo quella notte di assoluta follia, i rapporti con la coppia erano diventati per lui francamente imbarazzanti: Sebastianos e Venia gli avevano chiesto più di una volta di tornare da loro, ma lui, in crisi con se stesso e con la sua virilità, era riuscito a declinare sempre i loro inviti (anche se con molto dispiacere, perché, volente o nolente, quello che era accaduto in quella notte indimenticabile a lui era piaciuto da morire) tanto che, l’ultima sera della sua permanenza a Paros, vide i due, seduti al bar dell’hotel, chiacchierare amabilmente con una ragazza bionda, certamente straniera: con ogni probabilità, se non con certezza, quella notte sarebbe stata lei lo strumento dei giochi erotici di Sebastianos e Venia.
E quando finalmente giunse la mattina dell’ultimo giorno di quella settimana di vacanza, lui fu più che contento di ripartire e di lasciarsi alle spalle quello che era accaduto nella camera da letto della coppia.
Non li aveva più visti né cercati.
Venia e Sebastianos dovevano restare per sempre due fantasmi, figure indistinte nel suo più intimo e nascosto passato.

Il cartello stradale, storto e scolorito, a stento leggibile, indicava che mancavano solo trenta chilometri al confine di stato: trenta chilometri e avrebbe lasciato con estremo piacere la Bulgaria, per rientrare, dopo i due giorni del congresso, in Grecia.
Finalmente stava rientrando a casa.
Si sentiva stanco e sempre più assonnato.
Gli occhi, gonfi e pesanti, gli si chiudevano, e solo con un enorme sforzo di volontà lui riusciva ancora a tenerli aperti.
Il ricordo di quella notte con Sebastianos e Venia, come al solito, lo aveva svuotato di ogni energia: per lui, ritornare con il pensiero a quel letto era, ogni volta, come immergersi nell’acqua con la testa e restare in apnea fino a che il cuore ed i polmoni non arrivavano al punto di scoppiare.
Solo allora riusciva a riemergere, riempiendosi affannosamente i polmoni di tutto l’ossigeno che gli era mancato.
Sapeva di non essere come lo zio Leo: lui non era un “frocio”, e i fatti di quella notte di due anni prima rappresentavano solo un’eccezione nella sua vita, una vita interamente dedicata alle donne, alla loro conquista finalizzata al sesso.
Nei momenti di maggior depressione, però, lui non riusciva a non considerare quell’esperienza come un neo, come una macchia indelebile nella sua strepitosa carriera d’impenitente donnaiolo.
Era pur vero che si era scopato la splendida Venia, in lungo ed in largo, ma era altrettanto vero che si era fatto succhiare il cazzo da un uomo, aveva preso in mano il suo pene e aveva goduto mettendoglielo nel culo davanti alla moglie.
E tutto ciò gli era piaciuto infinitamente.
Al diavolo.
Era successo solo una volta, ed era ora di smetterla con tutte quelle menate.

Un chiarore, qualche centinaio di metri più avanti, indistinto nella pioggia e nella nebbia, attirò subito la sua attenzione.
Dopo alcuni secondi, quando fu più vicino, lui vide l’insegna illuminata: un posto di ristoro, aperto a quell’ora, su quella maledetta strada, gli sembrava un vero e proprio miracolo, perchè ormai non ci sperava più, convinto di poter prendere quel famoso caffè solo sull’autostrada greca verso Atene.
Attivò subito la freccia, segnalando il suo cambio di direzione:
Dopo pochi istanti ancora, spegneva il motore della potente BMW davanti alle vetrine appannate dalla condensa di un modesto bar per camionisti.

Il caldo soffocante del locale gli tolse il respiro.
Il bar era affollato da decine di camionisti, molti assiepati davanti al bancone, ed altri seduti attorno a tavolini di plastica verde, stracarichi di bottiglie di birra e di piatti sporchi: alcune cameriere si aggiravano indaffarate in tutta quella confusione.
L’aria era pesante, greve di odori di cibo, di fumo e del tanfo inconfondibile del sudore mischiato all’umido degli indumenti: lui, disgustato, decise all’istante che avrebbe preso soltanto un caffè e sarebbe ripartito immediatamente, non avendo alcuna intenzione di trattenersi più a lungo in quel lurido posto.

Si fece largo a fatica nella calca, conquistandosi un posto al bancone.
Ordinò il caffè ad un uomo sudato e scarmigliato che sembrava fosse dotato di quattro mani, tanto rapidamente serviva le consumazioni alla massa vociante che aveva davanti.
Lui pagò la consumazione e si allontanò dal bancone, appoggiando la tazzina su un basso frigorifero vicino ad una delle vetrate.

Il bar, a quanto poteva vedere, non offriva ai clienti solamente bevande e cibo: davanti ad una porta chiusa, sul fondo del locale, stazionavano tre o quattro ragazze, sommariamente vestite e pesantemente truccate.
Di tanto in tanto, qualcuno si avvicinava alle ragazze e, dopo un rapido scambio di battute, spariva oltre la porta con una di loro.
Di certo, a quelle puttane, visto il numero degli avventori che gremivano quel posto, il lavoro non mancava.
Per un attimo pensò di andare anche lui con una di loro: una moretta, fasciata in un succinto abito bianco e corto, con stivali neri sopra il ginocchio, gli piaceva in modo particolare e aveva subito attirato la sua attenzione.
Avrebbe potuto chiedere il prezzo e, quindi, varcare anche lui la porta in fondo al bar: si sarebbe fatto fare magari un bel pompino, una pausa rilassante e gradita in quel lungo viaggio che sembrava non dovesse aver mai fine.

Scacciò rapidamente il pensiero perchè non voleva perdere altro tempo: e poi, ad Atene, la sera successiva, ci sarebbe stata Yvonne a farlo divertire.
La piccola, dolce, sensuale e perversa Yvonne.

Lasciò la tazzina vuota sul frigorifero, si diresse verso i bagni e svuotò la vescica; poi, con un’ultima occhiata alla brunetta, uscì dal bar e risalì in auto.
Ancora pochi chilometri e sarebbe rientrato in Grecia.

Di nuovo seduto comodamente in auto, lui aumentò di molto la velocità, anche se la pioggia continuava a cadere fitta e la nebbia riduceva ancor di più la visibilità.
La rapida sosta ed il caffè preso al bar non lo avevano aiutato affatto a sconfiggere la sonnolenza: alzò il volume della musica e si ripromise, per l’ennesima volta, di restare concentrato sulla guida, malgrado fosse stufo marcio di quel viaggio infernale.

Ad un tratto, gettando una rapida occhiata al sedile accanto al suo, sentì tornare immediato il buonumore, perchè dentro la busta bianca che si trovava sul sedile, appoggiata sopra la sua ventiquattrore, c’erano due falli in lattice, esageratamente grandi, il primo verde intenso, l’altro rosa pallido.
Erano il regalo che aveva comprato a Yvonne, pensò sorridendo e con un delizioso brivido d’eccitazione.
Al solo pensiero della ragazza sentì l’erezione montare immediata e premergli nei pantaloni.
I ricordi legati a Venia e Sebastianos ora erano finalmente lontani anni luce.

La ragazza, Yvonne, era francese, di Parigi per l’esattezza, e lavorava come segretaria all’ambasciata di Atene del suo paese.
Erano già due anni che era stata trasferita in Grecia: Yvonne era una ragazza bella e disinibita, sfrontata e maliziosa, amabile e puttana come poche.
Mai sazia di sesso, al limite dall’essere ninfomane, lui era perfettamente a conoscenza, perché lei non ne aveva fatto mai mistero, del fatto che andava a letto con chiunque le capitasse a tiro, senza alcuna distinzione di sesso, infilandosi sotto le lenzuola con compagni e compagne sempre diversi: all’ambasciata erano pochi gli uomini che non se l’erano scopata, ed anche varie lesbiche avevano approfittato di quella sua assoluta disponibilità sessuale.
Ma la cosa, a lui, lo lasciava del tutto indifferente, non essendo assolutamente geloso di lei.
Quello che a lui interessava solamente era che Yvonne andasse a letto anche con lui, e tutte le volte che lui ne sentiva la voglia ed il desiderio.
Non cercava nient’altro in quel rapporto, come poi non cercava nient’altro in tutti i suoi rapporti con le donne: solo il sesso era al centro dei suoi pensieri, un’esigenza primaria, da soddisfare rapidamente e senza ulteriori e fastidiose complicazioni.

La francesina, di appena ventitrè anni, amava fare uso di falli artificiali per soddisfare le sue insaziabili voglie.
Ne possedeva d’ogni tipo e dimensione, ed era più che felice di riservargli spettacoli incredibilmente erotici e frizzanti.
Fra loro, con il passare del tempo, si era instaurato una sorta di preciso rituale: di solito, era il medesimo che si ripeteva ogni volta, praticamente immodificabile. Per la verità, era un modo di fare l’amore che Yvonne, in realtà, gli aveva imposto, ma che lui si era fatto imporre più che volentieri.
I loro incontri si svolgevano, dunque, in questo modo.
La ragazza lo faceva accomodare su una poltrona, o anche su una sedia, accanto al letto, completamente nudo.
Quindi Yvonne andava a sdraiarsi, anche lei ovviamente nuda, sulle lenzuola e, con studiata lentezza, prendeva ad accarezzarsi le tette, a massaggiarsi il corpo, a far andare le mani su ogni centimetro della sua pelle, così perfetta ed ambrata come lui aveva raramente riscontrato in una donna.
E la pelle non era di certo l’unica parte del corpo di Yvonne che lui apprezzava: viso, seno, gambe, sedere, tutto concorreva a fargliela apparire sensuale ed eccitante: ma era il suo modo di fare, così allegro e solare, che lo intrigava e lo legava a lei così intensamente.

Quando Yvonne si sentiva eccitata al punto giusto (e questo avveniva quando lui era eccitato già da un bel pezzo, ed il trattenersi iniziava ad essergli quasi impossibile), la ragazza francese iniziava a penetrarsi, tenendo le gambe incredibilmente divaricate, con un lungo fallo, sempre di un colore diverso (quello che lui preferiva, però, era quello nero, sicuramente non fra i più lunghi, ma di una notevole circonferenza); e lui doveva restare a guardarla, non staccarle mai gli occhi di dosso, accarezzandosi il pene, ma evitando di masturbarsi, e senza assolutamente godere.
Era quella, per lui, una tortura veramente deliziosa, alla quale si sottoponeva però con estrema arrendevolezza, ricompensato dal fatto che, dopo un tempo che spesso gli sembrava interminabile, e durante il quale la ragazza si scopava senza sosta con il finto cazzo, Yvonne lo supplicava di penetrarla anche da dietro, di aprirle il culo in due con un secondo grosso fallo.
A quel punto, lui la faceva attendere sempre per qualche minuto, quasi a volersi prendere una rivincita per quell’intollerabile tensione erotica a cui Yvonne lo stava sottoponendo, fino al momento in cui il desiderio di lei si faceva ancora più violento: allora lui si accostava al letto, le umettava lungamente l’ano con la saliva, la penetrava con le dita per prepararla, e quindi la inculava con il secondo fallo che la ragazza aveva scelto in precedenza.
E così, presa davanti e dietro, Yvonne raggiungeva orgasmi travolgenti, godendo in ogni fibra del suo corpo, urlando frasi oscene ed irripetibili, e quasi dimenticando la presenza dell’uomo.

Insomma, dopo tutto questo giocare con i falli, e come si può ben immaginare, lui era sconvolto dal desiderio, con i testicoli pieni e dolenti per essersi trattenuto così a lungo.
Seguendo fedelmente quel rituale che avevano instaurato, lui si andava a rimettere nuovamente seduto, sulla poltrona o sulla sedia, e Yvonne, inginocchiandosi eccitatissima tra le sue gambe, afferrava con la mano il cazzo congestionato, scappellandolo fino in fondo, esponendo così la larga e sensibilissima cappella, per poi scivolare nuovamente con la mano verso la punta, in una dolce e suadente sega.
Era un lentissimo supplizio che lo avvicinava passo dopo passo al piacere, così stoicamente a lungo represso.
Quando Yvonne sentiva che lui stava per venire, avvicinava il viso all’asta dura e svettante, passava sapientemente la lingua sulla cappella e, aumentando il ritmo con la mano, si faceva schizzare del suo sperma le labbra, le guance, gli occhi…
E lui, finalmente, raggiungeva il tanto sospirato orgasmo.

Solo più tardi Yvonne gli si concedeva.
Si sdraiava con uno sguardo perverso sul letto e, a gambe nuovamente divaricate, la fica ancora inondata dagli umori degli orgasmi precedenti, lo invitava a penetrarla.
E lui non la faceva mai attendere troppo, desiderandola intensamente.
Appena il tempo di riprendersi dalla prima eiaculazione, e si accostava alla ragazza con il cazzo di nuovo duro ed eccitato, e la scopava violentemente, la inculava fino allo sfinimento, donandole orgasmi continui ed impetuosi.

Una delle ultime volte in cui si erano incontrati, dopo aver fatto per l’ennesima volta l’amore, Yvonne gli aveva proposto di avere un rapporto a tre, ospitando nel loro letto anche una ragazza che aveva conosciuto (e con la quale aveva già fatto sesso) solamente una decina di giorni prima.
Lui aveva ovviamente accettato, e con un sorriso si era chiesto se fosse proprio la sera successiva quella in cui avrebbe avuto Yvonne e la nuova amica a sua completa disposizione…

Il camion viaggiava lento ed ansimante nella notte.
L’autista, stanco per il lungo viaggio, contava mentalmente i chilometri che mancavano per arrivare a Sofia.
Guidava da ore ed ore, senza interruzione, il pesante autoarticolato carico di pesce surgelato, destinato a due ditte della capitale bulgara.
Gli occhi che pericolosamente gli si chiudevano per la stanchezza, l’uomo non vedeva l’ora di arrivare a destinazione, scaricare la merce ed andarsene a casa; e poi, quella dannata pioggia che scendeva torrenziale e sembrava non finire mai, e che rendeva la guida ancor più faticosa e difficile.
Aveva sentito alla radio che, più avanti, avrebbe incontrato anche la neve: dalle voci gracidanti dei colleghi, voci che provenivano dal baracchino sotto il cruscotto, aveva capito che si trattava di una vera e propria bufera.
Imprecò per la millesima volta contro la sua cattiva sorte.
Sbadigliò, quindi, quasi fino a slogarsi la mascella, continuando a maledire in cuor suo il lavoro che faceva ormai da trent’anni, e che, inesorabile, gli stava risucchiando la vita.

Ah… Yvonne… domani le avrebbe subito telefonato… aveva proprio voglia di vederla… l’avrebbe fatta felice con il suo regalo… di certo lei gli avrebbe mostrato subito quale uso ne sapesse fare… e poi, se ci fosse stata anche quell’amica… lo spettacolo avrebbe rischiato d’essere superbo…

Fu in pratica a metà di una larga curva che si apriva sulla sinistra che l’autista del camion vide i fari dell’auto che stava venendogli incontro nella pioggia e nella nebbia.
Proveniva chiaramente in senso contrario, e stava lentamente abbandonando la giusta corsia di marcia, invadendo ogni istante di più quella del traffico che sopraggiungeva in senso opposto.
E correva.
Correva troppo velocemente.
Il camionista ebbe solo una frazione di secondo per sperare che il guidatore della vettura si accorgesse del suo autotreno, e che rientrasse con rapidità nella sua corsia di marcia, riprendendo la giusta traiettoria.

Sì… ne era più che certo… la ragazza francese avrebbe gradito moltissimo il suo regalo, e gli avrebbe offerto uno dei suoi fantastici spettacoli… la vedeva già, nuda, eccitata, bella e sensuale… la sognava fremente di desiderio, disinibita e scatenata come solo lei poteva esserlo… e alla fine l’avrebbe scopata, ad ennesima dimostrazione che lui non era assolutamente “frocio”…

Il camionista iniziò a frenare convulsamente, attaccandosi disperato al potente clacson, urlando e bestemmiando in modo concitato, conscio che tutto sarebbe risultato ormai inefficace, perché le ruote del gigantesco automezzo non riuscivano a far presa sull’asfalto viscido e bagnato.
E, infatti, fu tutto inutile.
La potente auto, senza nemmeno accennare ad una frenata dell’ultimo momento, si andò a schiantare rovinosamente contro il muso dell’enorme TIR, in un orribile fracasso di lamiere contorte e di vetri che esplodevano.
E poi, per alcuni lunghissimi secondi, fu il silenzio a divenire assordante.

- La solita jella… bastava che non si addormentasse per altri otto chilometri… e poi il tutto sarebbe stato di competenza dei greci… e noi ce ne saremmo stati al caldo da qualche parte… -
- Già. Però anche dall’altra parte hanno i loro problemi… ho sentito che, subito dopo il confine, c’è stato un tamponamento a catena… con una decina di feriti… -
- Uhm… maledetto questo tempo di merda… -
I due agenti della polizia stradale bulgara osservavano depressi ed infreddoliti i vigili del fuoco intenti a tagliare le lamiere della potente BMW con la fiamma ossidrica.
Il corpo della vittima era rimasto incastrato nell’abitacolo dell’auto, ridotta ad un ammasso di ferraglia contorta.
Altri agenti, in mezzo alla strada, stavano cercando di regolare il traffico che continuava a scorrere, lento ma incessante.
Tutta la scena era illuminata dai lampeggianti azzurri delle auto della polizia e da quelli rossi del camion dei pompieri; anche una potente fotoelettrica era puntata sui resti della BMW.
L’autista del camion, intontito, era seduto in una delle auto della polizia, con un caffè tra le mani: beveva a piccoli sorsi, lo sguardo fisso nel vuoto, le guance rigate dalle lacrime, incapace di capire perché quel povero diavolo si fosse andato a schiantare proprio contro il suo camion.
Nella notte piovosa, le scintille della fiamma ossidrica sembravano luminarie di una festa di paese, una sagra povera e dimenticata da tutti.
Un’ambulanza, a luci spente, attendeva a lato della strada.
L’autista, il medico e gli infermieri stavano fumando le loro sigarette, in silenzio, battendo i piedi per riscaldarsi: avrebbero dovuto solamente portare un corpo all’obitorio, senza ormai alcuna fretta.
Non c’erano più vite da salvare quella notte.

Ad un certo momento, i due agenti della stradale, sempre più bagnati ed intirizziti, videro avvicinarsi uno dei pompieri.
- Ehi, ragazzi… guardate un pò cos’ho trovato… -
Tra gli spessi guanti che gli proteggevano le mani teneva i due falli di gomma che avrebbero dovuto essere il regalo per Yvonne.
- Dove diavolo stavano ? – chiese, incuriosito, uno dei due agenti.
- Nell’auto di quel poveraccio. Voi che dite ? Sarà stato un frocio, magari, eh ? – rispose il vigile del fuoco, ridacchiando divertito.

A quella battutaccia, i due poliziotti si guardarono, perplessi ed incerti.
Che cazzo !
Ci vuole rispetto per i morti.
Deferenza e rispetto per tutti.
Froci o meno che fossero.
Non si scherza davanti alla morte.
Con la scusa di andare ad aiutare i colleghi che dirigevano il traffico, i due agenti si allontanarono dal pompiere, che, ammutolitosi, si continuava a rigirare ancora tra le mani i due falli di gomma che Yvonne non avrebbe mai ricevuto in regalo.

Smise di piovere soltanto quando la carcassa dell’auto venne rimossa dal carro attrezzi.
E, quasi contemporaneamente, anche la nebbia si dissolse, spazzata via da un improvviso vento che annunciava finalmente un miglioramento del tempo.

FINE

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