*****ROXY E' TORNATA!

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Con grande eccitazione Roxy vi comunica che riparte l'aggiornamento costante del suo blog.Dopo una lunga pausa vi invita tutti a seguire i suoi post dedicati al mondo del sesso e più intrigante erotismo.Buona Lettura

Adult Ego

martedì 14 luglio 2009

TRA LA NEBBIA DEL GREKOHORI

“La vita non si misura da quanti respiri facciamo, ma dai momenti che ci tolgono il respiro.”

George Carlin

Il parco del Grekohori è avvolto nella nebbia.
Fitta, densa, spessa.
L’umidità penetra sotto la pelle, trasformando il freddo di questa notte di gennaio in un brivido gelido che si propaga in tutto il corpo, che s’irradia e s’insinua, subdolo e fastidioso, tra muscoli ed ossa.
Gli alberi scheletrici, i rami nudi e spogli, con solo il ricordo delle foglie, sembrano morti, angosciosi pezzi di legno sgocciolante che aspettano la primavera, il suo tepore e, con esso, l’annuale risveglio della natura.
Non c’è anima viva in giro, ed anche il sentiero che costeggia il fiume, così affollato di giorno, è completamente deserto.
Per un attimo mi viene da pensare che un regista non potrebbe trovare set più adeguato per girare un eccellente film dell’orrore.
Ci mancano solo i vampiri e gli zombi a completare l’atmosfera di questa notte desolata.

Solamente lei ed io ci troviamo a camminare nel buio e nel silenzio ovattato della fitta nebbia.
Unici coraggiosi, o incoscienti, ad avventurarsi nel solitario parco del Grekohori.
Di tanto in tanto superiamo una panchina, sola e abbandonata.
Non siamo, ovviamente, né vampiri e né zombi di quel film che nessuno sta girando, ma i nostri passi echeggiano ugualmente sinistri e spettrali nella notte.
I suoi tacchi, poi, esageratamente alti, martellano l’asfalto bagnato del vialetto, trasformandosi in un rumore che appare assordante, in un’eco che sembra rimbalzare sul muro di nebbia che ci circonda.

Le due di notte sono passate da poco.
Siamo usciti dal pub da una decina di minuti, e già siamo intirizziti dal freddo.
Ma fra poco ci scalderemo a vicenda, ricacciando il gelo lontano da noi, lontano dai nostri cuori, dalle nostre anime e dai nostri sensi.

Ci siamo conosciuti solo tre ore fa, tra una birra e una suma, sulle dolci melodie che il pianista suonava.
Il locale, luci soffuse, ambiente intimo, invitava agli incontri e alle confidenze.
Una conoscenza superficiale, certo, ma fra noi è scattato subito un qualcosa, un’attrazione folle e disperata, urgente ed irreale.
Abbiamo tenuto a freno la voglia improvvisa di toccarci, di sentire i nostri corpi uniti, di carezzare e di baciare.
Ma quando siamo usciti, a braccetto, sentivamo di non poter aspettare un attimo di più, e così ci siamo diretti verso l’ingresso del Grekohori, questo grande parco nel cuore della città, la nostra improbabile alcova per questa notte nebbiosa e solitaria.

Ci siamo presentati e poco altro.
I lavori che svolgiamo, le ultime vacanze fatte, cosa ci piace da mangiare.
Poche frasi, necessarie solo ad accompagnare quel flusso di parole non dette ma che i nostri sguardi si sono trasmesse con un’intensità mai provata.
E’ bastato guardarci, e abbiamo sentito entrambi il medesimo desiderio.
Fare l’amore e liberare i nostri sensi.
Darsi ad uno sconosciuto e prendere una sconosciuta.
Due urgenze che si sono magicamente incontrate, per fondersi in un’unica e dolce pazzia.

Continuiamo a camminare sul sentiero che costeggia il fiume che accompagna il lato sud del Grekohori.
A destra l’acqua che scorre placida, invisibile nella nebbia; a sinistra, prati e cespugli, radi alberi ed arbusti, anch’essi sfumati, inghiottiti dalla bianca cortina.
Cerchiamo un posto che ci garantisca un pò d’intimità, anche se potremmo scopare in mezzo a questo vialetto senza correre il rischi di venire scoperti.
Le persone con un briciolo di sale in zucca se ne stanno a casa: a dormire, a litigare, a guardare la tv, a fare l’amore. Ma al caldo, tra quattro mura.
Ma noi, lei ed io, di sale in zucca ne abbiamo poco, e continuiamo a vagare per il Grekohori alla ricerca di un angolo ancora più tranquillo e riservato.
Ci teniamo per mano, ora.
Malgrado il freddo, sento la sua pelle calda e asciutta, le sue dita sottili intrecciate alle mie, i suoi anelli che quasi mi graffiano.

Sulla sinistra gli alberi s’infittiscono, creando quasi l’illusione di un piccolo bosco.
E’ il posto che andavo cercando.
La voglia di averla è tale che decido immediatamente che il luogo è più che adatto; usciamo dal sentiero e, camminando sull’erba fradicia di umidità, ci inoltriamo nel verde; pochi passi e la nebbia, alle nostre spalle, cancella il sentiero che stavamo percorrendo.

Il buio e la nebbia ci impediscono di vedere oltre la punta dei nostri rispettivi nasi.
Facciamo ancora qualche passo, le foglie ormai secche che frusciano sotto i nostri piedi, e andiamo quasi a sbattere contro il tronco di un’enorme quercia.
Siamo soli ed invisibili.
Avvolti dall’oscurità, stretti dalla fitta ed impenetrabile nebbia.

L’attiro a me e, finalmente, la bacio.
Labbra su labbra, lingua con lingua.
Le sue mani sono già sotto il mio giubbotto e mi stanno sbottonando la camicia.
Mi sembra di conoscerla da una vita, anche se non la conosco per niente.

Mi apre la camicia ed il morso del freddo sul petto è quasi eccitante.
Le sue dita mi esplorano, stuzzicandomi i capezzoli, e le sue lunghe unghie mi percorrono i pettorali, li disegnano e li tratteggiano con movimenti circolari ed insistenti.
Anche le mie mani si sono messe all’opera, aprendole il caldo piumino e sollevandole la maglietta: i seni, piccoli e perfetti, chiedono solo di essere toccati, sfiorati, accarezzati.
Ci diamo calore vicendevolmente, ed il freddo umido di questa notte invernale è solo un ricordo che fugge via nella nebbia del Grekohori.

I seni, che a malapena intravedo nell’oscurità, più candidi rispetto al resto della pelle ancora abbronzata, m’invitano, sollecitano la mia eccitazione, mi provocano impertinenti, quasi a volermi sfidare.
Scendo con la bocca su di loro, percorrendoli in punta di lingua, stuzzicando i capezzoli duri ed eretti, sporgenti non più per il gelo, ma per la voglia di essere presa che dilaga nella ragazza.
Le sue mani mi arruffano i capelli, mi tirano su, e la mia bocca si ritrova nuovamente incollata alla sua.
Febbrilmente, mentre le nostre lingue si aggrovigliano frenetiche, le sue mani mi allentano la cintura, mi sbottonano i pantaloni e s’insinuano dentro gli slip.
Mentre con le dita di una mano impugna e stringe il mio pene, con l’altra mi accarezza i testicoli, mugolando sempre più eccitata.
L’erezione è ormai al massimo del suo turgore, e la voglia di penetrarla mi esplode violenta nel cervello, facendomi dimenticare chi sono e dove mi trovo.

Mi sta masturbando delicatamente, ma lo stato di tensione erotica in cui sono sprofondato non mi consente di godermi le sue carezze: sto per venire, sto per inondarle le dita di sperma, e sono vicinissimo ad urlare tutto il mio orgasmo.
E allora le sollevo la gonna, tirandole in giù le minuscole mutandine che indossa.
Freneticamente lei le scalcia via, liberando le gambe dall’indumento.
Chissà dove saranno finite.
Sarà un problema ritrovarle, dopo.
Ci giriamo, fino a che la mia schiena è appoggiata al tronco dell’albero che assiste, impassibile, alle nostre effusioni.
Il silenzio della notte è rotto solo dai nostri sospiri.
E la nebbia è sempre più fitta.

I miei slip sono scesi lungo le cosce, ed il cazzo svetta impaziente.
La sollevo (è leggera, sinuosa, morbida, fantastica) e l’attiro a me.
Lei piega le gambe, serrandole attorno ai miei fianchi, agevolando il mio compito.
La punta del mio cazzo incontra immediatamente la sua fessura, fradicia di umori, e la penetra fino in fondo, con un unico movimento: in verità, è lei che si impala, scivolando su di me.

Tenendola per le natiche, la sollevo e poi la lascio ricadere sul membro che la riempie completamente,
Avanti e indietro, ci diamo uno all’altra, i nostri respiri affannosi che si condensano in bianche ed eteree nuvolette di vapore, che si confondono e si mischiano con la nebbia che ci avvolge.
Le sue parti intime sono calde, roventi, ed i suoi muscoli interni mi abbracciano il cazzo, masturbandomelo e carezzandomelo meravigliosamente.
Mentre con le dita della destra cerco il suo ano, per penetrarla anche da dietro, per riempirla tutta di me, un fruscio ci fa sobbalzare, interrompendo quella magica atmosfera nella quale ci stiamo crogiolando.

Immobili, il fiato grosso, tendiamo le orecchie per captare anche il più piccolo dei rumori, poiché la vista non ci può aiutare, ostacolata dal buio e dalla nebbia.
Ed eccolo, ancora: di nuovo un rumore, più vicino di prima.
Foglie calpestate, lo schiocco di un rametto secco che si spezza in due.
E poi un’altra volta, ora vicinissimo a noi.

La sento rabbrividire e le contrazioni della sua vagina mi strizzano ritmicamente il cazzo, ancora duro ed eccitato malgrado la paura.
Il cuore ci si ferma quando vediamo, nel buio, accanto a noi, due occhi che ci guardano e che sembrano brillare nell’oscurità.
Siamo paralizzati dalla paura, l’adrenalina che scorre a fiumi nel nostro sangue.

Il bastardino ci osserva, uggiolando e scodinzolando.
Avvicina il muso al terreno, annusa con lunghe soffiate, starnutisce, e poi torna a fissarci.

Torniamo a respirare, le sue gambe avvinte a me, le braccia serrate attorno al mio collo, il mio cazzo dentro di lei.
Ridiamo.
Una risata nervosa, per cancellare lo spavento che abbiamo provato.
E che vuole nascondere il timore che, visto che il cane non è sicuramente un randagio, ora arrivi anche il padrone.

Il cane continua a guardarci, e, secondo me, si sta divertendo come un matto.
La lingua che penzola da un lato, sembra sorridere a questi due buffi umani che, avvinghiati l’uno all’altra, sono mezzi morti di paura.

Un fischio lontano risuona nella notte.
Il padrone lo sta cercando.
Cazzo.
Lo sapevo.
Forse è meglio ricomporsi ed evitare di ritrovarsi in spiacevoli situazioni.
Il cane tende le orecchie e volta la testa in direzione di quel fischio.
Vai, bello.
Torna dal tuo padrone e alle sue carezze.
Ti prego.
Vai.

Il cane sembra non aver nemmeno sentito il richiamo.
Ma poi, dopo un’ultima occhiata verso di noi, quasi a salutarci, scompare nel buio e tra gli arbusti.
Il rumore delle sue zampe si allontana velocemente, fino a sparire nella notte.

Il silenzio torna ad avvolgerci.
Nuovamente soli.
Continuiamo a ridere, ricominciando a baciarci, sollevati per lo scampato pericolo.
La sua fica ha ripreso a scorrere veloce sul mio cazzo, fino al momento in cui lei è travolta dall’orgasmo, che alle mie orecchie, in tutta quella quiete nebbiosa, sembra un’esplosione pirotecnica: ansima e si morde la lingua per non gridare, mentre le sue unghie mi si conficcano nella pelle del collo.

Lentamente le faccio di nuovo appoggiare i piedi per terra.
Ho le gambe che mi tremano per lo sforzo e l’eccitazione.
Lei si appoggia a me, ancora affannata, e se non avessi il tronco dell’albero a sorreggermi, cadrei sotto il suo peso.
Non sono ancora venuto.
Senza preservativo, non me la sono sentita di sperare che lei prenda la pillola.
Almeno in questo, la ragione ha prevalso sull’istinto.
Ed ora ho i testicoli dolenti per lo sforzo che ho fatto.
Devo venire anch’io, e rapidamente.

Forse è telepatia.
Chissà.
La sua mano mi afferra e, sapientemente, inizia a masturbarmi.
La sento scorrere, scivolare, passare lieve lungo l’asta protesa.
Mi ritrae la pelle, fino in fondo.
Una, due, tre, quattro volte.
Ed io volo in paradiso, travolto da lunghi attimi di piacere sublime.

Gli schizzi di sperma, alla fine, si perdono sul terreno intriso d’umidità.

Ci siamo ricomposti alla meglio e, tenendoci per mano, usciamo dal parco del Grekohori.
Le nostre strade ora si divideranno, dopo essersi intersecate, avviluppate, aggrovigliate così intensamente per queste poche ore.
Un sorriso.
Una carezza.
Un ultimo sguardo.
Un bacio come addio.
Per non dimenticare.
La vedo sparire nella nebbia, quasi dissolversi in quest’ovatta spettrale che ci circonda, e che domani soltanto il sole riuscirà a dissolvere con il suo calore.

Se fosse stato un sogno, ora mi sveglierei, iniziando già a dimenticarne i particolari.
E poi, attimo dopo attimo, il sogno si sfalderebbe ed il ricordo si sbiadirebbe fino a sparire, cancellato per sempre, portato via dal tempo, come una foglia trasportata lontano dal vento.

Non la dimenticherò, invece.
Perché, anche se per poche ore, l’ho amata intensamente.
Mi volto e scompaio nella nebbia anch’io, rendendomi conto, forse solo in quell’istante, di quanto veramente fredda sia questa lunga notte invernale.

FINE


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